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I migliori punti del 2021 recensiti
29 dic 2021
29 dic 2021
Scambi e colpi memorabili dell'anno del tennis maschile.
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Il solito colpo di fine anno di Benoit Paire

Non c’è compilation di fine anno senza un colpo di Benoit Paire, che è nato per coltivare quest’estetica un po’ fine a sé stessa ma sempre appagante. È stato un anno particolarmente duro per Paire, perché cos’è un artista senza il suo pubblico? «Il tennis senza pubblico non è una bella cosa» ha tagliato corto, mentre applicava una rara forma di tanking al tennis, perdendo ai primi turni pur di tornare a fare la sua vita (com’è la sua vita? Una corona fresca fra le dune del deserto).

Quest’estate, con gli spettatori che lentamente prendevano posto sugli spalti ad assistere allo spettacolo, ha ritrovato un senso alla propria vita, al tennis, alle partite, ai colpi estemporanei per cui è al mondo. Si può pensare quello che si vuole di Paire, ma certi suoi colpi non si capisce proprio da dove vengano - come li abbia concepiti. Contro un avversario come Kovalik, al primo turno del torneo di Gstaad, può assecondare il flow, e questa prima a rete, a cui segue una volée che non saprei come definire. È il contrario di come ti insegnano la volée a scuola tennis: corpo floscio, braccio floscio, nessuna decisione, nessuna praticità. Paire butta la racchetta in un modo o nell’altro verso la palla, e quella obbedisce a questa sua volontà perversa e oltrepassa la rete giusto un attimo. Sbircia solo un momento dall’altra parte e dopo un giro veloce torna indietro. Tutti, Paire compreso, hanno vissuto attimo di incomprensione di fronte allo strano viaggio della pallina, mentre Kovalik correva in avanti assecondando l’istinto sciocco del topo fregato dal gatto.

Le cose che non smetterà di fare Rafa Nadal

Che anno è stato per Rafa Nadal? Lo abbiamo visto dominare a Barcellona, bestia mitologica della terra rossa, poi schiantarsi al Roland Garros contro il monolite Djokovic. Come tradizione vuole, qualche settimana dopo una sconfitta di Rafa al Roland Garros, escono fuori notizie su una salute precaria che darebbe logica alla sconfitta. Non si scalfisce l’assunto “su terra, tre su cinque, in condizioni normali, Rafa non può perdere”.

È ricomparso sul cemento americano indossando completini stranamente sgargianti per la sua età: i polsini fosforescenti, la bandana verde antrace. E poi le foto di Rafa che gira in bici per Washington e si scatta un selfie indossando espressioni interdette. Foto buffe in cui sembra sempre leggermente fuori posto, come i nostri nonni che si fotografavano di fronte alla Torre Eiffel durante il viaggio di nozze. Dentro quelle foto si intravede un’aria malinconica che avvolgerà la seconda parte di stagione di Rafa: a Washington perde al terzo turno contro Lloyd Harris e sarà il suo ultimo torneo dell’anno. È rimasto fuori per i mesi successivi, ufficialmente per i problemi al solito piede, quello che a nemmeno vent’anni stava per trascinarlo a un ritiro che sarebbe stato drammatico per questo sport. Il fisico di Nadal però è così corroso dal suo tennis che ricondurre tutto a un singolo problema è un esercizio inutile.

La stagione su terra non è stata la solita marcia trionfale nadaliana, ma a Barcellona è stato ancora capace di prestazioni mastodontiche, culminate in una vittoria da quasi quattro ore contro Stefanos Tsitsipas in finale. Pure in un anno minore, Nadal è riuscito a riempire le compilation di punti dal sapore vintage. Dentro un corpo dalle possibilità ridotte, è ancora capace di trovare i vincenti più impossibili negli scambi più compromessi. Questo più che un colpo è un trucco di magia: Nadal sputato con la schiena ai teloni di fondo scivola alla sua sinistra per recuperare un dritto lungolinea di Nishikori, e mentre scivola con la leggerezza dei maestri dell’argilla, inventa questo colpo di puro polso angolatissimo, che Nishikori non riesce nemmeno a toccare.




Il braccio d'oro di Mate Pavic

Nikola Metkic e Mate Pavic hanno chiuso l’anno al numero uno del mondo di doppio ed è quindi giusto celebrarli inserendo uno dei loro pezzi di magia in questo pezzo. Nel 2021 hanno vinto l’oro olimpico e Wimbledon. Ci siamo accorti del loro talento di doppisti nostro malgrado in Coppa Davis, dove hanno cancellato la nostra coppia Fognini-Sinner e le nostre residue speranze di qualificazione. Il doppio è una disciplina diversa, con ritmo e geometrie tutte sue, e il talento di Pavia e Metkic le sanno esplorare meglio di tutti in questo momento. Per questo vederli giocare è uno spettacolo glorioso e peculiare. Nessuno dei due è un tennista formidabile, presi colpo per colpo, ma sanno coordinare i loro corpi l’uno con l’altro per gestire le variabili impazzite di un doppio e coprire gli spazi a tutte le altezze.

In questo match avevano di fronte un’altra grande coppia (il circuito di doppio è un circolo esclusivo dai pochi iscritti) dai nomi usciti direttamente da un romanzo di Henry James: Rajeev Ram e Joe Salisbury. È uno scambio che comprende almeno due colpi eccezionali e il primo è il pallonetto di Ram, un colpo di sensibilità pura, che forse pochi singolaristi sarebbero in grado di eseguire. Mate Pavic però - croato, mancino - ha qualcosa di speciale nel suo braccio, e in una zona di campo impossibile per fare una cosa qualsiasi, esegue un tweener che scavalca Ram con un contropallonetto. Dall’altra parte Salisbury prova un colpo speculare e sembra uno spettacolo degli Harlem Globetrotters; stavolta il pallonetto è corto e Metkic chiude lo scambio con una volée sbrigativa, e dopo indica Pavic, autore del vero vincente.

Le compilation di fine anno sono piene di tweener, ovviamente: sempre più piene. Al punto che è lecito chiedersi se non sia un colpo che i tennisti hanno ormai imparato a fare troppo bene, inflazionandolo, rendendolo una cosa banale. Questo pallonetto di Pavic però ha un coefficiente di difficoltà clamoroso, per la posizione di campo da cui è stato eseguito, e per aver scavalcato non una ma ben due persone. C’era un piccolissimo corridoio di spazio dentro cui far passare quella pallina.




Cosa significa giocare contro Jenson Brooksby

Il tennis americano dà segni di vita. È stato un anno di piccola rinascita, con la crescita costante di Reilly Opelka e i vari exploit di Fritz, Brooksby, Tiafoe: mai costanti ma sempre pericolosi nei tabelloni dei tornei. Brooksby contro Opelka è uno scontro fra due titani dell’anti-estetica nel tennis, due esseri umani che esplorano delle possibilità molto diverse di quanto si può essere brutti sul campo. Potete dire che l’estetica è soggettiva, e sono d’accordo, allora forse vale la pena parlare di anti-convenzionalità. Opelka e Brookby non sembrano dotati di un particolare talento tennistico, se per talento intendiamo una certa coordinazione cinestesica nel rapporto tra corpo, racchetta, racchetta, pallina e campo. Eppure hanno trovato il modo per circumnavigare la propria inadeguatezza per diventare tremendamente efficaci.

Opelka ha un fisico che non dovrebbe permettergli di eccellere nello sport, eppure ci si è aggrappato disperatamente per spremerne l’eccezionalità. Le altezze vertiginose da cui spara i servizi, una presenza ineludibile dall’altra parte della rete quando c’è da imporre un po’ di violenza.

Brooksby ha dei colpi tutti strani, che nascono da una visione non ortodossa della pallina e del campo, e trovano una luce particolare ma evidente. Ha un’intelligenza diabolica, con cui riesce a sfiorare la sconfitta evitandola. È uno di quei giocatori a cui non daresti una lira ma che giocandoci ti accorgi di quanto siano tosti, ad Anversa un Opelka disperato si è chiesto tra sé e sé: «Come ha fatto Djokovic a vincere un game contro questo tipo». In questo scambio ci sono i suoi riflessi, un istinto difensivo peculiare, che lo porta a intercettare il brutale pallonetto di Opelka e trasformarlo in un vincente. Un colpo che non è un dritto, non è una volée, non è uno smash, ma è una cosa in mezzo a tutte queste cose.




Roger Federer dalla cripta

Come sta il fantasma di Roger Federer? Ci chiedevamo quando è tornato, a marzo di quest’anno, per rimettere in moto il suo corpo di quarantenne, preso tra le ruggini dell’operazione al ginocchio e l’ambizione di giocare un grande Wimbledon (l’ultimo?). Il 10 marzo è tornato nello scenario irrealistico di Doha, in un calore dorato di soldi che non ha mai nascosto di apprezzare.

Daniel Evans è un tennista raffinato che in un’epoca meno esigente avrebbe forse avuto un’altra carriera, e Federer lo ha scelto come partner di allenamento nelle due settimane precedenti al torneo. Il caso li ha messi di fronte al secondo turno e Federer ha vinto una partita lottata in tre set, lasciando che in alcuni momenti si scoprissero certe vestigia gloriose del suo talento impolverato dal tempo. Questo è uno di quei momenti. Federer segue la prima a rete e smorza una volée di rovescio con maestria; Evans, che ha un bel braccio, trova un buon angolo, Federer ci arriva con qualche passo camminato alla sua sinistra. Non sembra proiettare nessun gesto preciso sulla palla, e questo confonde Evans, la palla lo ha scavalcato e il modo in cui mette la racchetta suggerisce che possa provare al massimo un lungolinea. Invece Federer la incrocia con un angolo stretto. Gli occhi di Federer osservano la traiettoria ancora prima che parta. Quando abbiamo visto questa partita la proiettavamo nel futuro, cercavamo segni del Federer che sarà (come sta? Come arriverà a Wimbledon? È ancora lui?), oggi la ricopriamo di nostalgia e ci appare in tutta la sua bellezza consolatoria.




Come si rimbalza sul cemento, a Novak Djokovic Masterclass

https://twitter.com/SkySport/status/1461034999029846017

Qual è quell’animale che ha due zampe, il rovescio a due mani e che quando sta per perdere un punto o una partita in realtà le sta per vincere?

Il matchup tra Djokovic e Rublev è un incrocio di stili suggestivo che purtroppo ha prodotto finora un’unica partita, questa di fine anno, nel Palalpitour di Torino per le ATP Finals. Rublev coi suoi colpi violenti e perentori, sparati per lo più verso il centro del campo; Djokovic con la sua leggendaria capacità di assorbire la forza e la fretta avversaria per rigirargliela contro come un maestro di jiu-jitsu. Questo scambio, sulla superficie ultraveloce di Torino, ci mostra le possibilità di questo scontro al massimo. Djokovic fatica a contenere l’esuberanza del braccio di Rublev, quando quello gli tira un dritto incrociato impetuoso che lo piega sulle gambe. Lo piega è dir poco: Djokovic si apre in due, va in spaccata con l’elasticità che è una dote naturale che ha coltivato e rinfrescato grazie allo yoga. Rimanda di là un dritto da attaccare, e Rublev lo divora facendolo sfrecciare sul lato destro. Djokovic scivola sul cemento come solo lui sa fare (dice che è lo sci praticato da ragazzo, ma gli sciatori non sciano sul cemento), e col rovescio tira un passante di tecnica e opposizione, che sorprende Rublev ancora troppo lontano dalla rete.

C’è una fotografia di Djokovic scattata quest’anno in un torneo su cemento. Grazie all’artificio temporale della fotografia, capace di isolare i momenti per raccontare una bugia, Djokovic pare stia volando. È sollevato da terra di qualche centimetro, il corpo tutto proteso in avanti, gli occhi fiammeggianti non si staccano dalla pallina.

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Foto di Corinne Dubreuil.

Se è una bugia, è una bugia raccontata bene.




Lo scambio più angosciante dell'anno

Tra le forme possibili di un futuro distopico più sciapo e infelice di questo c’è di sicuro anche la seguente. Due tennisti molto simili l’uno all’altro, si affrontano nel patio di un'astronave. Tirando colpi molto simili, intrecciano uno scambio che non sembra mai poter esaurire le sue possibilità, virtualmente infinito. Mentre le luci verde prato spargono nell’ambiente vibrazioni da orto botanico alla fine della natura, il talento dei due tennisti sembra pareggiarsi in maniera perfetta. La loro bravura si incaglia in quella dell’altro e lo scambio diventa una forma di ipnosi, di noia e ripetizione. Due esseri umani programmati per eseguire gli stessi gesti ancora e ancora, senza il logoramento della fatica che conduce all’errore, o lo slancio di vita che permette un vincente. Poi qualcosa nel matrix si rompe, e un tennista riesce a superare l’altro con un colpo imprevisto, una variabile di codice impazzita.




Un altro momento in cui Bublik voleva dimostrarvi il suo talento

Come Benoit Paire, anche Bublik vive per finire in questo tipo di classifiche, con quell’aria trasandata da ragazzo in pubertà che vive in cameretta e ha fatto in tempo a sviluppare visioni oscure sulla società e le relazioni. È inutile sottolineare che Alexander Bublik è molto talentuoso, ed è inutile sottolineare che il modo rapsodico con cui utilizza questo talento mal si addice a uno sport rigoroso come il tennis. Anni fa aveva smontato il mito vocativo che dobbiamo per forza proiettare sugli atleti di alto livello: «Non vedo niente di positivo nell’essere un giocatore di tennis. Gioco solo per i soldi. Se non ci fossero dei soldi in gioco, mi ritirerei subito». Come al solito, troppo melodramma. Bublik sul campo da tennis si diverte a tastare i confini di quello che si può fare con una racchetta, in un gioco dalle possibilità espressive sostanzialmente limitate. In questo vincente contro il povero Kwon, sembra aver creato una finestra di tempo supplementare in più in cui si è riuscito a colpire la palla prima che toccasse per la seconda volta terra. In questo tipo di recuperi disperati di solito si stacca la seconda mano dal rovescio, ma Bublik forse è troppo pigro per farlo. Probabilmente la tira su più col telaio che con le corde, ma funziona. Dopo si pietrifica un attimo, poi annuisce e controlla attorno a sé che tutti abbiano assistito a ciò che è capace da fare. Che stress deve essere, vivere con questa ossessione dimostrativa. Almeno lo pagano bene.




Il più bello

Non potevamo chiudere questa classifica senza celebrare il più bello di tutti, un uomo che probabilmente la sera si addormenta ascoltando la propria voce nelle cuffiette. I tennisti narcisi sono un classico: li trovate a ogni livello, anche al vostro circolo ci sarà quello che tira il rovescio a un mano con l’aria tronfia di chi si sta trasformando in un monumento vivente. Grigor Dimitrov è il santo protettore di tutti loro, e quest’anno si è concesso un unico grande torneo, a Indian Wells, dove s’è presentato col completino verde bosco e la classica fascetta da imitatore di Roger Federer. Le sue condizioni erano particolarmente brillanti, e il suo tennis agevolato da una superficie insolitamente lenta, che ha mandato ai pazzi giocatori che si cibano di velocità come Medvedev.

Hurkacz accelera con un rovescio longilinea che può essere solo vincente; l’agilità di Dimitrov però è sorprendente, copre subito il campo in orizzontale alla propria destra, scivola un po’, divarica le gambe, e riesce a pescare una soluzione impossibile, una volée bassa che muore nel campo aperto.




Buongiorno a tutti ma soprattutto a Carlos Alcaraz

È stato l’anno della rivelazione al mondo di Carlos Alcaraz, arrivato alle Next Gen ATP Finals da ultra-favorito, con un talento fuori scala rispetto agli altri partecipanti. Le sue partite degli ultimi mesi del 2021 hanno rappresentato un evento, venivano attese come una possibile rivelazione sulla forma che il tennis prenderà nel futuro. Fra i diversi ottimi giocatori che il tennis ha prodotto negli ultimi anni, nessuno aveva l’aria del talento generazionale come Carlos Alcaraz. L’unico che in campo mostra delle cose inedite, o almeno le mostra a una velocità inedita. La sua partita rivelazione, contro Tsitsipas agli US Open, è probabilmente anche una delle più belle dell'anno.

Questo scambio contro Brandon Nakashima, nel palazzetto di Milano, racconta il talento di Alcaraz nella sua straordinaria velocità di gambe, nella resistenza difensiva, nella capacità di mettere in modo un braccio che sembra volare. Ma soprattutto il talento nel produrre momenti di magia sul campo. Il passante di Nakashima colpisce il nastro, e cade beffardo al di là della rete. Alcaraz si è già coordinato per la volée, e vede la pallina con la coda dell’occhio mentre è già prostrato a terra. Il modo in cui intuisce al volo come uscire dalla situazione è emozionante come dimostrazione pura dell’istinto umano, di quella che viene chiamata destrezza. Quanti giocatori oggi riescono ad accendere così la folla? Benvenuto.




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