40 giovani da seguire nel 2018
Abbiamo messo insieme i giovani talenti che più ci interesserà seguire nell’anno appena cominciato.
Pablo Maffeo, ‘97, Manchester City/Girona
di Emiliano Battazzi
In un calcio che ha disperato bisogno di giocatori capaci di coprire la fascia, e in cui i terzini hanno ormai ampliato il proprio bagaglio tattico fino a diventare registi occulti, su Pablo Maffeo le aspettative sono già molto alte. Catalano cresciuto nell’Espanyol, dove ha esordito nella squadra B addirittura a 15 anni, è stato poi portato al Manchester City da Beguiristain, DS dei Citizens. Guardiola lo ha fatto giocare da titolare in Champions (prima nei preliminari contro lo Steaua, poi contro il Celtic) e in Coppa di Lega nel derby contro lo United, ma mai in Premier League. In effetti, il suo grande limite è la sua statura: piccolo (1,73) e compatto, non ha ancora la struttura muscolare per reggere gli scontri continui della Premier.
Dalla sua ha però altre importanti doti fisiche: una grande velocità, sia nei primi passi che in progressione; una grande aggressività, anche in marcatura, che lo rende perfetto per un sistema basato sulla riconquista alta del pallone, ma lo ha reso perfetto addirittura per marcare Messi a uomo, con successo (a differenza di Kovacic); la capacità di usare entrambi i piedi sia per andare al cross che per dribblare (pur essendo destro). In questa prima parte di stagione è uno dei segreti del Girona, squadra spin-off del City: usato da esterno nel 3-5-2, Maffeo garantisce grande spinta e copertura. Deve migliorare però nelle scelte di difesa posizionale, e soprattutto nella visione di gioco, ancora poco sviluppata: come semplice esterno di fascia è già tra i migliori della Liga, ma se vuole ambire al livello di elite, Maffeo dovrà necessariamente affinare gli aspetti più legati alla gestione della palla. Il tempo è dalla sua parte, e lui è abituato ad anticipare tutti.
Mikel Oyarzabal, ‘97, Real Sociedad
di Daniele V. Morrone
Foto di Miguel Riopa/AFP/Getty Images.
Oyarzabal è un giocatore intelligente, che sembra poter modellare la sua tecnica e il suo gioco per qualsiasi tipo di calcio. Ha capito che i ruoli in campo non sono posizioni ma funzioni, può giocare ovunque davanti perché sa quello che serve a seconda dell’altezza del campo in cui si trova. Sono tre anni che Oyarzabal è ormai una presenza fissa in Liga e in Europa: è in prima squadra dal gennaio 2015 ed è diventato titolare la stagione successiva, quando da ottobre in poi le ha giocate praticamente tutte.
Un ragazzo appena maggiorenne, mancino dai piedi enormi (pur essendo 180cm porta il 47 di scarpe) e, nonostante ciò, con un’ottima tecnica, oltre a una mentalità aggressiva e quell’insieme di tante piccole cose che migliorano la manovra di una squadra: le giocate ad un tocco che mantengono la velocità della circolazione del pallone, la capacità di giocare spalle alla porta pur ricevendo lanci sull’esterno per far assestare la squadra sulla trequarti, le letture con la palla per capire quando partire in conduzione e quando disfarsi subito della palla, e senza per andare a giocare dove serve.
Oyarzabal non è mai fermo nella stessa posizione ma si muove tra appoggi al centrocampo a ricevere largo, ad andare tra le linee, ad attaccare il centro dell’area di rigore. Sono passate due stagioni, continua a giocare dove serve per la squadra (al momento indifferentemente in una delle due fasce) e quello che è migliorata ancora di più è la capacità di mantenere la precisione tecnica ad alto ritmo, e soprattutto di trovare una dimensione superiore in termine di definizione: in questa stagione è già a 8 gol e 5 assist in 18 partite tra Liga e Europa League. A vent’anni punta già a chiudere la stagione in doppia cifra di gol e assist.
Alessandro Bastoni, ‘99, Atalanta
di Flavio Fusi
Alessandro Bastoni è nato ad aprile del ‘99, è cresciuto nel settore giovanile dell’Atalanta e ha fatto tutta la trafila con le Nazionali giovanili. Ha debuttato tra i professionisti già più di un anno fa: pochi minuti la scorsa stagione, pochi in questa (14 in campionato contro il Crotone e l’intera partita in Coppa Italia contro il Sassuolo), ovviamente. Quest’estate è diventato di proprietà dell’Inter. È un centrale difensivo mancino alto un metro e novanta, forte di testa e bravo a impostare il gioco da dietro. Lo abbiamo intervistato qualche mese fa e riportiamo qua sotto riportiamo alcune sue parole particolarmente significative (qui trovate l’intervista completa).
“Ho avuto questa fortuna anche di crescere nel settore giovanile dell’Atalanta in cui anche dal punto di vista tecnico ti trasmettono tanto. Mi hanno sempre insegnato a far gioco, a giocare palla a terra e quindi faccio questo. Ormai il mediano dai piedi buoni è praticamente sempre marcato a uomo dalla squadra avversaria, quindi penso che le responsabilità in fase di costruzione dei difensori cresceranno ulteriormente. (…) Penso sia proprio la mentalità che mi è stata imposta nel corso degli anni: giocarla sempre, buttarla via mai.”
Foto di Marco Luzzani / Stringer.
“A me piace molto guardare in Spagna il Barcellona e in Inghilterra il Manchester City, perché Guardiola ha allenato entrambe e mi piace vederle giocare palla a terra.”
“Il gol è una cosa che ho sempre avuto. Ho sempre detto che quando sono in area non penso come un difensore, ma divento un attaccante e per adesso mi è andata spesso bene. L’obiettivo primario del difensore resta quello di non far prendere gol alla propria squadra, ma bisogna essere capaci di cambiare in base alla situazione della partita e a dove ti trovi in quel momento in campo.
Tom Davies, ‘98, Everton
di Daniele Manusia
Thomas Davies il centrocampista dell’Everton (da non confondersi con il difensore di sei anni più vecchio Thomas Christopher Davies, del Coventry City) è un inglesissimo box-to-box che a 18 anni da poco compiuti ha già più di 50 presenze in Premier League, oltretutto fatte giocando in ogni ruolo del centrocampo: mediano, mezzala e persino trequartista. Se non bastassero i capelli lunghi biondi a farlo notare a colpo d’occhio, Davies è anche uno dei pochissimi a giocare ancora con i calzettoni bassi sulle tibie bianchissime.
Un metro e ottanta senza troppa potenza muscolare, ma con un dinamismo fuori dal comune e, soprattutto, un coraggio senza senso. Quando l’intensità della Premier non se lo mangia sembra un surfista che ha preso l’onda giusta, entrato in un tunnel che lo proietta direttamente palla al piede nella trequarti offensiva.
Tom Davies and his merseyside memories.
Roll on 2:15pm.pic.twitter.com/EjktXAsWqr
— OLBG Betting Tips (@OLBG) 10 dicembre 2017
Il bello di Tom Davies è che ingaggia una sfida continua ai propri limiti fisici e tecnici: contro il Chelsea l’ho visto ricevere una palla dalla difesa, controllare palla girandosi fronte alla porta, proteggerla da una scivolata di Kanté e poi allungarsela oltre Bakayokò che non poteva recuperarlo. Tecnicamente è capace di cose egregie, di prendere decisioni difficili e vedere passaggi che non vedono tutti (in verticale soprattutto), ma anche di perdersi in un bicchiere d’acqua, con una confusione che solo il calcio inglese può tollerare ad alto livello (e lo dico in senso positivo). Se vi piacciono i calciatori giovani che sembrano aver preso la macchina del tempo dal calcio degli anni 80’, Tom Davies fa per voi. La stagione dell’Everton per ora è un mezzo disastro, ma Davies va tenuto d’occhio prima che si normalizzi in qualche modo (tipo mettendo su i muscoli) perché ora come ora è davvero un tipo strano e interessante.
Jadon Sancho, 2000, Borussia Dortmund
di Emanuele Atturo
Nella collezione di giovani fantastici del Borussia Dortmund, Jadon Sancho spicca per la sua eccentricità. Innanzitutto perché è inglese, e un inglese che va a giocare a 18 anni in Bundesliga dalle giovanili del Manchester City non si era mai visto. E poi ovviamente perché è un ala dribblomane iper-tecnica con i capelli di James Brown. In estate il suo trasferimento ha fatto rumore: Guardiola aveva fatto di tutto per convincerlo a restare in Inghilterra, e si è lamentato aspramento col club una volta che Sancho aveva preferito comunque andare in Germania. Nonostante, a quanto pare, il tecnico avesse un accordo informale col giocatore per farne il più pagato del settore giovanile del City.
Tutto questo rumore ha funzionato bene per creare hype attorno al giocatore, che per ora ha messo insieme appena 16 minuti in prima squadra (tutti prima che venisse esonerato Peter Bosz). Gran parte della sua reputazione Sancho se l’è costruita agli Europei U-17 del maggio scorso, dove è sembrato fisicamente e tecnicamente ingestibile per qualunque avversaria. Nella nazionale inglese, che ha vinto poi la competizione, Sancho ha contribuito a 10 dei 15 gol segnati dalla squadra.
That pass from @England‘s Phil Foden, though. The finish by Jadon Sancho isn’t bad either. #U17EURO pic.twitter.com/DzxUVAyAKe
— UEFA.com (@UEFAcom) 17 maggio 2017
Sancho è un’ala di piede destro, che può essere schierato sia a piede naturale che invertito. È tecnico e veloce, specie sui primissimi passi, ma la sua migliore qualità è l’estre e la leggerezza con cui gioca sulla trequarti. Non tocca quasi mai la palla in modo banale e cerca di ricamare qualsiasi azione in cui è coinvolto. Quando la palla arriva a Sancho qualcosa deve succedere, e non per forza una cosa buona visto che giocare così spesso di suola o di tacco spesso porta a perdere il pallone. Un’attitudine che dovrà essere limata man mano che verrà inserito nel calcio dei grandi, ma che al momento rappresenta la sua qualità migliore. Un giocatore bizzarro, di cui ancora non si capiscono del tutto le potenzialità, ma che è di sicuro già ora entusiasmante da veder giocare. Questa stagione ha giocato solo 16′, magari nella prossima avrà più spazio.
Ryan Sessegnon, 2000, Fulham
di Emiliano Battazzi
Ma quanti compiti deve svolgere un terzino? Mentre il calcio cambia la risposta stagione per stagione (dai “falsi” agli specialisti, dai difensori veri agli offensivi, dai registi ai marcatori), il Fulham (in Championship) si gode il suo terzino sinistro, 17 anni, titolare già dalla scorsa stagione. Nato e cresciuto in una famiglia di calciatori (il fratello gemello è con lui nel Fulham, anche lui come terzino sinistro, senza giocare; e il cugino gioca nel Montpellier), Sessegnon ha una caratteristica molto rara nei terzini, il senso del gol: ben 7 in questa prima parte di campionato (il migliore tra tutti i difensori del torneo), e in totale 14 nelle sue 58 partite da professionista (e in più 8 assist). Anche per questo, nelle giovanili è stato spesso utilizzato da ala sinistra, e in quel ruolo ha vinto l’Europeo Under 19 con l’Inghilterra (e il titolo di capocannoniere con 3 gol).
Al Fulham, però, sono convinti che debba giocare più in basso, appunto da terzino, e non hanno torto: dotato di grande velocità (sia di punta che nel lungo), è molto più imprevedibile partendo da dietro, e con spazi più ampi da percorrere. Sessegnon infatti fa tutto con la naturalezza di chi sa che supererà gli avversari, ma questo è anche il suo più grande limite attuale: controllo di palla migliorabile (frequenza di tocco troppo bassa), così come il dribbling (a volte in finta e controfinta sembra perdersi il pallone) e la visione di gioco. Tutti difetti ampiamente superabili, per un ragazzino di 17 anni: e infatti squadre come Tottenham e Liverpool si sono già interessate, sempre alla ricerca di terzini-razzo che aiutino ad aumentare i ritmi e ad attaccare, che per Pochettino e Klopp è davvero la miglior difesa.
Matthijs de Ligt, ‘99, Ajax
di Daniele V. Morrone
Foto via Ajax.
Il 2017 è stato un anno da sogno per Matthijs de Ligt, passato a 17 anni dalle giovanili dell’Ajax alla titolarità in nazionale nelle amichevoli contro Marocco e Romania. In pochi mesi è diventato il leader della difesa della squadra che con Bosz ha raggiunto la prima finale europea da più di vent’anni. A Lione, al termine della semifinale di ritorno di Europa League, è rimasto lui solo in campo davanti ai tifosi dell’Ajax ad iniziare i cori di festeggiamento. Non è neanche maggiorenne ed è già capopopolo della più importante squadra olandese. Per spiegare in poche parole che giocatore sia de Ligt penso che si debba prendere in prestito dal basket la figura dell’Unicorno, ovvero un giocatore unico nel suo genere, capace di incarnare tutti i concetti di riferimento del gioco della sua epoca.
Questo perché de Ligt ha la faccia da bambino ma il fisico già formato su 188 cm e spalle larghe; è reattivo e ha un controllo del corpo che lo rende in grado di difendere sulla velocità del gioco contemporaneo. Aggressivo in marcatura, è a suo agio a salire in anticipo e soprattutto a difendere in avanti anche ben lontano dalla porta. Con la palla ha già una precisione millimetrica nel lancio e la visione per poter provare filtranti taglia linee palla a terra. Dal punto di vista tecnico, insomma, è il prototipo perfetto del centrale contemporaneo.
Ma quello che realmente stupisce è la serenità con cui gioca, la tranquillità con cui sembra rialzarsi e scrollare le spalle dopo ogni errore e ricominciare a guidare la linea che tiene in pugno con un carisma innato. Il suo vero unico punto debole è l’esperienza. Un punto debole ovviamente destinato a sparire con il passare dei mesi, già dal 2018, l’anno in cui deve anche decidere se rimanere a casa o partire. Le grandi d’Europa già gli circolano attorno come squali. Il Barça sta fremendo per portarlo in Catalogna e farne l’erede di Piqué.
Oleksandr Zinchenko, ‘96 (dicembre…), Manchester City
di Emiliano Battazzi
Quanto sia forte Zinchenko non lo sa davvero nessuno: da sempre grande stella delle giovanili ucraine, è arrivato a giocare gli Europei in Francia con la sua Nazionale. Nel frattempo. Lucescu lo aveva scartato, Guardiola lo ha adottato, e poi Cocu lo ha sottoutilizzato (al PSV in prestito, nella scorsa stagione). Secondo Pep, Zinchenko è soprattutto un giocatore intelligente, e di qualità: quel tipo di giocatori che lui sistema a piacimento sulla scacchiera, reinventandone compiti ed attitudini. Ed ecco che un giocatore da trequarti avversaria, un creativo abituato a giocare tra le linee per servire assist, o sulle ali per garantire superiorità numerica o tagli interni, al Manchester City è stato usato solo ed esclusivamente terzino sinistro – falso, certo, se pensiamo ancora ai terzini del XX secolo. Con risultati buoni, tra l’altro: d’altronde era stato preso come erede di De Bruyne, nel lungo periodo – che, secondo Keynes, un un concetto fallace perché “nel lungo periodo saremo tutti morti”; ma è vero che la cortissima “vita” lavorativa dei calciatori relativizza la questione.
Per Zinchenko per ora è meglio partire dalla fascia per accentrarsi nell’inizio azione, a giostrare sostanzialmente da regista sinistro: e nel frattempo imparare ad essere aggressivo in fase difensiva. Un campionario delle sue qualità lo ha mostrato nella semifinale di Coppa di Lega contro il Bristol: gestione perfetta dei tempi della giocata, e una serie di splendidi cambi di gioco da sinistra a destra per Sterling, oltre a un filtrante magico per Sanè, liberato in area. Zinchenko è un giocatore estremamente associativo, dominante nella trequarti avversaria per visione di gioco e assistenza alle punte, ma con scarse – quasi nulle – capacità realizzative. Viste però velocità in conduzione, e in progressione, il ruolo di falso terzino per ora gli si addice perché coniuga perfettamente i suoi pregi, nascondendo i difetti. Nonostante tutto questo talento, però, nessuno sa davvero dove possa arrivare: quanto, cioè, le sue qualità riusciranno ad emergere ad alti livelli di competitività. Nel calcio d’elite serve uno scatto in avanti, soprattutto a livello di continuità: di talenti come Zinchenko se ne sono già bruciati tanti. Speriamo che la sua luce, nel 2018, sia quella di una lampada sempre accesa, e non quella di un falò delle qualità.
Han Kwang-Song, ‘98, Perugia
di Dario Saltari
La capacità realizzativa sembrava il talento meno appariscente di Han, il primo giocatore nord-coreano ad esordire in Serie A, e invece si sta rivelando come una delle sue più grandi qualità. A Perugia, in Serie B, Han ha già realizzato 7 gol, molti dei quali su palle sporche raccolte in area, oppure a seguito di stacchi imperiosi. Han, insomma, si sta evolvendo in maniera inaspettata, se si pensa che era arrivato in Italia con la nomea del giocatore talentuoso ma troppo leggero fisicamente. Nonostante ciò, sembra al momento un po’ indietro nelle gerarchie della sua squadra, nel 2018 sarà interessante vederlo crescere ancora, soprattutto se dovesse confermare il suo talento anche a livelli più alti. Chissà che non possa rivelarsi un attaccante molto più completo di quanto non sembrava inizialmente.
Federico Valverde, ‘98, Real Madrid/Deportivo La Coruña
di Daniele V. Morrone
Se ci fosse un mercato azionario dei giocatori questo sarebbe il momento adatto per comprare le azioni di Valverde. Il suo valore è innegabile, ma finito in una squadra disfunzionale pur se ricca di talento come il Depor, sta accumulando esperienza lontano dai riflettori (che nel suo caso sono quelli del Real Madrid di cui fa parte). Andrebbe comprato adesso, perché l’estate del 2018 potrebbe essere già troppo tardi. Il talento di questo centrocampista era debordante quando giocava con i suoi coetanei ed esce fuori a sprazzi con i più grandi, ma con l’esperienza accumulata in Galizia potrebbe esplodere da un momento all’altro. Valverde è perfettamente a suo agio vicino alla propria area come a quella avversaria, dove con un tiro potente può essere pericoloso sempre, un vero tuttocampista che non ha paura di prendersi responsabilità con la palla e senza.
Valverde è un centrocampista intelligente, instancabile, tecnico e dinamico, la cui migliore caratteristica è la conduzione che gli permette di spezzare le linee di pressione trascinando di peso la manovra della squadra avanti. Il controllo del pallone e l’atletismo di cui dispone vanno quindi a sommarsi alle ottime letture per sapere come e quando partire in conduzione. È creativo e con la sua visione di gioco può tentare anche passaggi rischiosi, si vede che nel suo calcio, magari in un futuro prossimo, c’è la possibilità di dare anche l’ultimo passaggio. Non è inimmaginabile pensare che già a fine 2018 sarà difficile trovare punti deboli nel suo gioco.
Justin Kluivert, ‘99, Ajax
di Emanuele Atturo
Al termine dell’ultima finale di Europa League, mentre i giocatori di Ajax e Manchester UTD erano in giro per il campo a salutarsi in attesa della premiazione, Josè Mourinho è andato da Justin Kluivert e con un atteggiamento teatrale ne ha benedetto il talento: «Ti fai un altro anno, poi vieni al Manchester UTD e vinciamo Champions League e Premier League». Un po’ cinematografico: il vecchio maestro della panchina che al termine di una partita che assegnava una coppa è andato a promettere il destino a un giovane talento avversario, figlio predestinato di un altro grande calciatore. Bisogna però dire che Mourinho non è mai stato generoso in questo tipo di complimenti (a differenza di altri colleghi…), e questo dà più credibilità alle sue parole.
Kluivert ha esordito in prima squadra neanche un anno fa, il 15 gennaio del 2017, e nel 4-3-3 di Peter Bosz ha trovato il contesto ideale per ambientarsi nel calcio professionistico. In un sistema che faceva largo affidamento sugli uno contro uno sugli esterni, Kluivert ha potuto esprimere tutto il proprio talento nel dribbling e nel controllo palla. Quest’anno il suo rendimento è già salito e il 26 novembre, contro il Roda, ha siglato una tripletta che ha fatto sognare potenzialità infinite. Kluivert è un’ala velocissima, ma ciò che lo rende speciale è soprattutto un controllo palla al velcro, sia nella prima ricezione che nel dribbling. Il modo in cui, quando corre, riesce a entrare in simbiosi col pallone ha qualcosa di intangibile che appartiene a pochi giocatori.
Da quello che sta mostrando in questa stagione, Kluivert ha grandi margini di miglioramento soprattutto come finalizzatore. La facilità con cui inganna i portieri calciando in maniera scolastica sul secondo palo – nascondendo la forza dei suoi tiri – è un’altra cosa da tenere d’occhio.
Kluivert è uno dei giovani che dovreste seguire con più attenzione non solo perché è uno dei giocatori più divertenti da veder giocare, ma anche perché dove potrà arrivare, anche solo alla fine di quest’anno, nessuno lo sa.
Joris Gnagnon, ‘97, Rennes
di Dario Saltari
Gnagnon è un talento precoce: quella scorsa è stata la sua prima stagione da titolare, eppure si è già affermato come uno dei migliori giovani centrali difensivi francesi in circolazione. Gourcuff senior, che lo allena al Rennes, ha detto di lui: «Sa usare il fisico benissimo, ma sa anche leggere la gara benissimo e portare palla. Per me è il difensore ideale». In realtà, Gnagnon è ancora un giocatore molto acerbo (e non potrebbe essere altrimenti, d’altra parte): spesso è troppo passivo nel leggere i movimenti avversari e il suo rendimento è ancora troppo dipendente dalla propria esplosività sui primi passi. È aggressivo in marcatura, anticipa bene e ovviamente in copertura è un avversario difficilissimo da superare. In questa stagione sta dimostrando una forma meno scintillante della scorsa, ma se dovesse confermare le sue qualità in anticipo, nell’utilizzo del corpo e nell’aggressività, il 2018 potrebbe regalare un altro grande prospetto alla Ligue1 pronto per il salto.