«Il giorno in cui mi sono rotta il tendine, ormai quasi due anni fa, a Montréal, ho sentito dentro una paura profonda esplodermi all’improvviso. Il mio cervello ha fatto un milione di calcoli in tempo reale, ha valutato mille ipotesi, come se fosse un computer, nel tentativo di scartare quella che già sapeva essere quella giusta. In realtà ho capito subito che si trattava di un problema grave perché al momento dello stacco è successo qualcosa di strano e di rapidissimo che mi ha sbalzato verso l’alto. Mentre roteavo, prima di cadere, ho fatto in tempo persino a dirmi che forse si era solamente rotta la pedana. Poi però, un millesimo di secondo dopo, ho sentito un suono sordo e secco, come delle dita schioccate a pelo dell’acqua quando tieni le orecchie sotto, e un colpo, come una sassata lanciata precisa a colpirmi dietro il polpaccio. Quando sono atterrata ho preso in mano il piede, ho visto un buco tra il tallone ed il polpaccio e immediatamente ho cancellato tutte le altre opzioni».