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La miglior atleta olimpica a non aver mai vinto una medaglia
23 lug 2021
23 lug 2021
La storia di resistenza di Vanessa Ferrari.
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Vanessa Ferrari partecipa alle Olimpiadi per la quarta volta. La prima volta, a Pechino, non era neanche maggiorenne: a novembre di quest’anno compirà trentun’anni. È la prima ginnasta italiana a gareggiare in quattro edizioni delle Olimpiadi, e ha vinto praticamente tutto quello che si può vincere nella ginnastica artistica tranne la medaglia olimpica.

Nel 2006, a 15 anni, vince l'oro nella finale individuale dei Campionati Mondiali. Nonostante una caduta alla trave, conquista il primo posto nell’all-around con un esercizio a corpo libero praticamente perfetto, sulle note del 'Nessun dorma'. Quell’anno porta a casa anche due bronzi, alle parallele e al corpo libero.

Dalla prima edizione del 1934, questa competizione è stata vinta sempre dall'Unione Sovietica finché è esistita, poi da paesi dell'ex Unione Sovietica. Negli ultimi vent'anni poi gli Stati Uniti hanno gradualmente conquistato la ginnastica artistica, con il dominio di Simone Biles. Il podio di Vanessa Ferrari è un momento storico, per l’Italia e per tutta la storia della ginnastica artistica.

Da quella vittoria in poi ogni appuntamento importante è arrivato insieme a un carico di aspettative, ma anche di infortuni: dopo il successo del 2006, ai Mondiali dell’anno successivo Ferrari cade e si frattura un osso durante un salto Comaneci, uno degli elementi più complessi che si possano svolgere alle parallele asimmetriche. Già lì continua a gareggiare e ottiene il quarto posto per l'Italia nella competizione a squadre, che è il miglior piazzamento raggiunto dalla nostra nazionale dal 1950.

Questa è la storia di Vanessa Ferrari. La quarta partecipazione alle Olimpiadi arriva a seguito di una carriera straordinaria, di risultati e infortuni che si rincorrono e si superano a vicenda. L’ultima qualificazione è un primo posto al corpo libero conquistato a fine giugno in Coppa del Mondo: è in squadra e gareggerà, per l’unica medaglia che le manca, su tutti e quattro gli attrezzi – neanche il suo allenatore lo credeva possibile stavolta.

Le medaglie della ginnastica artistica

Vanessa Ferrari ha vinto 30 medaglie, 19 di livello mondiale e 11 continentale, tra cui 11 ori, in tutte le competizioni più importanti di questo sport. Da quindici anni è una delle migliori atlete al mondo al corpo libero, un dominio che per estensione sarebbe al livello di quello di Nadal su terra rossa se non fosse per l’Olimpiade mancante. Ci sono diversi aspetti complessi nel funzionamento delle competizioni della ginnastica artistica di cui bisogna tener conto per capire il valore di certi risultati. Come si vince dipende innanzitutto da come si gareggia, e poi da come vengono dati i punti.

La ginnastica artistica femminile comprende quattro specialità: volteggio, trave, corpo libero e parallele asimmetriche. Il punteggio viene assegnato sulla base di un coefficiente di difficoltà legato ai singoli elementi che compongono l’esercizio, più alcuni bonus, e da un coefficiente di esecuzione. Gli elementi spesso sono talmente complessi che non dovrebbe essere possibile per un corpo umano eseguirli, è difficile descriverli a parole, e per un occhio inesperto neanche si vedono. In ogni competizione ci sono medaglie per ognuna delle quattro singola specialità, e una per l'all-around (AA), cioè la somma delle quattro specialità a livello individuale. Le competizioni più importanti sono competizioni internazionali a squadre, dove una ginnasta può vincere sia le medaglie individuali, sia vincere come team nazionale: oltre ai Giochi Olimpici, ci sono i Campionati Mondiali e la Coppa del Mondo.

Quindi la prima cosa da sapere è che il podio dipende da un punteggio dato da giudici, i voti dei giudici tengono conto di tanti fattori diversi, e il calcolo per cui questi fattori vengono messi insieme è una convenzione e un’approssimazione. La seconda è che ci sono molti modi di vincere una medaglia, ma la competizione individuale all-around è il più complesso, perché vuol dire che sei la miglior ginnasta su ogni singolo attrezzo e che hai svolto una gara praticamente perfetta – e quindi in un certo senso vale di più. Il terzo è che la nazione a cui appartieni ha un peso nel determinare quante medaglie potrai indossare, perché solo le nazioni in grado di schierare almeno quattro atlete di alto livello hanno accesso e sono competitive nella gara a squadre, e oltre al talento e la tecnica individuale conta anche il prestigio della federazione.

Tutte le volte che era finita

In una carriera lunga come quella di Vanessa Ferrari ci sono tanti momenti cruciali. Nella sua in particolare si tratta di appuntamenti importanti dove arrivano contemporaneamente avversità spietate e risultati insperati. Di recente uno di quei momenti è capitato nel 2017. I Mondiali si disputano a Montréal, luogo immortale per la ginnastica artistica, teatro del dieci perfetto di Nadia Comaneci che ha cambiato la storia di questo sport. Ma quello del 2017 è un campionato sfortunato, che ha segnato il record per numero di infortuni occorsi in una competizione.

Per l’ennesima volta Vanessa Ferrari deve lottare non con le sue avversarie, ma contro il tempo e i suoi segni, e contro le delusioni di un’altra Olimpiade maledetta. A Montréal manca Simone Biles, che nel 2016 a Rio ha vinto 5 medaglie, di cui 4 ori, e poi ha scelto di prendere una pausa dalle competizioni: «Vado in terapia perché ci sono stati momenti in cui non volevo mettere piede in palestra», dice, iscrivendo nella storia le sue vittorie e il loro peso specifico in termini di dolore. A Rio, Ferrari sembra già una veterana e ha un dolore fisso ai tendini di Achille; nonostante questo arriva quarta al corpo libero, superata di poco da Amy Tinkler, britannica (di nove anni più giovane di Ferrari; nel 2020, a 21 anni, annuncia il ritiro dall’attività agonistica).

Vanessa Ferrari, a Montréal 2017, si qualifica per la finale a corpo libero: a ventisei anni e dieci mesi, è già l’atleta più anziana a competere su questa specialità. Il suo esercizio è sulla musica del primo movimento del Carmina Burana. Durante la finale, in gara, alla fine della seconda diagonale atterra male. Cade, e non si rialza: rottura del tendine di Achille.

Viene portata fuori in braccio, e da quel momento passeranno 500 giorni senza ginnastica e senza competizioni; ma nel momento della caduta non fa una smorfia. Rimane a terra, i tratti del viso tesi e concentrati sono gli stessi di qualche istante prima mentre svolgeva l’esercizio; nessuna espressione di dolore. Il primo istinto è quello di rialzarsi per non compromettere l’esercizio, ma poi il corpo non risponde, e lei si porta una mano alla caviglia: si vede solo un’ombra di allarme nello sguardo mentre si guarda intorno, la musica si abbassa, e arrivano i soccorsi sulla pedana.

Il dolore come specialità

«Il giorno in cui mi sono rotta il tendine, ormai quasi due anni fa, a Montréal, ho sentito dentro una paura profonda esplodermi all’improvviso. Il mio cervello ha fatto un milione di calcoli in tempo reale, ha valutato mille ipotesi, come se fosse un computer, nel tentativo di scartare quella che già sapeva essere quella giusta. In realtà ho capito subito che si trattava di un problema grave perché al momento dello stacco è successo qualcosa di strano e di rapidissimo che mi ha sbalzato verso l’alto. Mentre roteavo, prima di cadere, ho fatto in tempo persino a dirmi che forse si era solamente rotta la pedana. Poi però, un millesimo di secondo dopo, ho sentito un suono sordo e secco, come delle dita schioccate a pelo dell’acqua quando tieni le orecchie sotto, e un colpo, come una sassata lanciata precisa a colpirmi dietro il polpaccio. Quando sono atterrata ho preso in mano il piede, ho visto un buco tra il tallone ed il polpaccio e immediatamente ho cancellato tutte le altre opzioni».

Prendete il video dell’infortunio di Spinazzola durante la partita dell’Italia contro il Belgio, poi guardate quell’espressione sul viso di Vanessa Ferrari, e date un peso alle sue parole, quando dice: «Un ginnasta ci convive, col dolore». Il Corriere l’ha intervistata prima che partisse per Tokyo, e le ha chiesto se si è aiutata con un mental coach: «Ho provato in passato con qualche psicologo sportivo, ma non mi trovo bene. Certe cose se non fai ginnastica non le capisci». Come se la familiarità con il dolore di una ginnasta fosse qualcosa oltre il margine della teoria psicologica attuale.

Nella ginnastica artistica il dolore non è quello dell’infortunio, ma è parte integrante della pratica sportiva quotidiana, dell’allenamento, è una condizione del raggiungimento di ogni risultato. Non è il sacrificio e il limite dove si spinge chi vuole raggiungere medaglie e vittorie, ma piuttosto un passaggio normale dell’esecuzione dei gesti più essenziali di questo sport. La flessibilità, la forza, la precisione, si ottengono solo spezzando resistenze, cadendo, spingendo il corpo oltre i propri limiti. Fermarsi quando si sente dolore non è un’opzione, anzi: la capacità di gestire quel dolore è allenata in funzione della capacità di gestire l’emozione e la pressione nella gara.

Nella carriera di Vanessa Ferrari il dolore è stato molte cose. Gli infortuni, ma anche le medaglie rincorse fino al traguardo e perse per un soffio. Londra 2012: la finale al corpo libero fa più male di tutto. La sua gara vale 14.900. Il primo posto è di Raisman (USA), a 15.600. Ponor, rumena, graziata alle qualificazioni dopo un errore piuttosto grave, strappa un punteggio generoso anche in finale e finisce seconda con 15.200. Il punteggio di Ferrari è da terzo posto, ma c’è un parimerito con Mustafina, russa. I giudici lo risolvono assegnando 3 centesimi in più per l’esecuzione a Mustafina. Nel pugilato, per la regola dell'ex aequo, sarebbero stati premiati entrambi gli atleti con due medaglie di bronzo, e anche la ginnastica in passato aveva applicato la stessa procedura, ma non quell’anno. Il quarto posto di Vanessa Ferrari arriva poche ore dopo quello di Tania Cagnotto, concludendo l’Olimpiade di Londra nel modo più amaro.

L’età di una ginnasta

A Londra Vanessa Ferrari era arrivata con la convinzione che quello fosse il suo anno. Dopo l’oro del 2006, la prima Olimpiade era Pechino 2008: unica atleta minorenne italiana, gareggia con la tendinite e con la pressione delle aspettative dell’intera delegazione nazionale, e non riesce a qualificarsi in nessuna specialità. Alle Olimpiadi del 2012 si presenta al corpo libero con un esercizio che contiene salto mai eseguito prima: un enjambé cambio ad anello con 360° di rotazione, che da allora viene inserito nel Codice dei Punteggi con un coefficiente di difficoltà D (su una scala da A a F). Lo trovate a pagina 154, si chiama il Ferrari.

Dopo il quarto posto si parlava di ritiro. Ferrari aveva ventidue anni, e un’altra Olimpiade quattro anni dopo sembrava fuori portata. La delusione sembrava troppo grande, le sue dichiarazioni in lacrime ai microfoni di Rai Sport non lasciavano troppe speranze: «Voi la vedrete in maniera positiva, io non ci riesco. Deciderò quello che farò quando sarò a casa».

Due Olimpiadi, oltretutto, sembrano già una lunga carriera nella ginnastica artistica: tra le atlete più medagliate di questo sport, alcune sono campionesse di una singola edizione, molte di due, pochissime di tre. Con il big bang di Nadia Comaneci, quattordicenne e piccolissima, che espande i confini di questo sport, l’immagine della ginnastica è rimasta quella di una disciplina per bambine prodigio.

In realtà, quella delle quattordicenni è stata una fase della storia della ginnastica artistica, corrispondente a un periodo in cui le federazioni e gli allenatori di area sovietica hanno applicato un sistematico talent scouting, setacciando regioni e paesi, scuola per scuola, alla ricerca di chi era più portato per fare ruote e capriole. Negli anni successivi il limite minimo d’età è stato alzato dai 14 ai 16 anni (malgrado il dissenso di Bela Karolyi, che dopo aver trovato Comaneci in una scuola elementare della Romania è diventato allenatore del team statunitense); e contemporaneamente le carriere si sono gradualmente allungate.

Tra le tante sfide che Vanessa Ferrari può dire di aver superato nella propria carriera ci sono anche i disturbi alimentari, legati proprio all’immagine di esilità, leggerezza, grazia, impressa nei miti fondativi della ginnastica artistica. Lei è riuscita a volersi sentire più forte, e attribuisce il merito al rapporto solido con il proprio allenatore, Enrico Casella; tra le sue parole si intravede la storia di altre atlete e altri allenatori, e di tutte le carriere troppo brevi di questo sport.

Non solo Vanessa Ferrari non si ritira dopo Londra, e continua a gareggiare; ma il 2013 è un anno di risultati in crescita, che le porta 4 medaglie di livello mondiale, due argenti e due bronzi. Ai Mondiali di Anversa del 2013 è seconda dopo Biles a corpo libero, e quarta sempre dopo di lei alla trave, per 33 millesimi.

Non si ritira nemmeno dopo Rio 2016, e la delusione di aver perso quello che sembrava l’ultimo treno, una forma di ostinazione. Ancora dopo l’infortunio del tendine di Achille del 2017, il peggiore di una carriera con un’operazione alle mani e cinque ai piedi, Ferrari supera una riabilitazione lunghissima, torna in Coppa del mondo e vince. Poi è costretta a fermarsi di nuovo, perché avverte ancora dolore. Si sottopone a una nuova operazione, dove per risolvere il problema decidono di intervenire limando parti di ossa di entrambe le caviglie. Poi disturbi da tiroidite autoimmune, l’asma, e il Covid.

Quante atlete, quanti atleti, avrebbero trovato la forza di proseguire a questo punto? Non è soltanto una questione di quarta Olimpiade, malgrado atlete straordinarie come Tania Cagnotto e Federica Pellegrini possano farlo sembrare ordinario. Contano gli ostacoli superati: oltre agli infortuni, una pandemia mondiale, le competizioni cancellate, e lockdown e quarantene, in uno sport dove l’attrezzo apparentemente più semplice è una pedana quadrata a molle di almeno 14 metri per lato.

Riscrivere la propria storia

A Tokyo, Vanessa Ferrari gareggerà su Con te partirò di Andrea Bocelli: lui l’ha ringraziata postando un video su Instagram in cui è con sua figlia Virginia, che ha 8 anni e fa ginnastica artistica - e nel video porta anche la frangetta, come Vanessa nel 2006.

Il 25 aprile 2021, agli Europei di Basilea, Ferrari vince la medaglia di bronzo al corpo libero con un esercizio accompagnato dalla musica di Bella Ciao, che diventa virale, e dedicando la vittoria alla Festa della Liberazione: «Questa medaglia è simbolo di resistenza». Con questa medaglia si colloca al terzo posto, dopo Oksana Chusovitina e Daniele Hypólito, fra le ginnaste che vantano il maggior numero di anni trascorsi fra la prima e l'ultima medaglia internazionale: quindici, dal 2006 al 2021. Chusovitina, a 46 anni è alla sua ottava Olimpiade, e merita una storia a sé: uzbeka, nelle prime edizioni ha gareggiato per l’URSS, per due edizioni è stata anche tedesca, per ripagare la Germania delle cure per suo figlio malato di leucemia, che oggi sta bene e ha l’età media delle avversarie in pedana di sua madre.

Vanessa Ferrari si è qualificata per le Olimpiadi a meno di un mese dall’inizio dei giochi, all’ultima tappa della Coppa del Mondo a Doha. Il suo esercizio a corpo libero conteneva la stessa diagonale che non ha mai concluso per l’infortunio di Montréal 2017. Trent’anni, cicatrici vistose alle caviglie, non ha avuto paura: si è presa, di nuovo, il primo posto della classifica generale dell’intero circuito biennale, e un biglietto per Tokyo.

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