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Il potere di Schumi
24 ago 2018
24 ago 2018
Storia della carriera di Michael Schumacher, il Kaiser.
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L'ultima impresa

Il Gran Premio di Montecarlo è considerato il più prestigioso tra gli appuntamenti nel calendario della Formula 1. Michael Schumacher nella sua carriera se lo è aggiudicato cinque volte, un numero comunque ridotto rispetto ai successi in altri appuntamenti: Belgio, Canada, Francia, Giappone, San Marino, Spagna, oltre al simbolico Gran Premio di Europa.

Schumacher ha annunciato il suo secondo ritiro dalla Formula 1 nell'ottobre del 2012, dopo la sua ultima partecipazione al Gran Premio di Monaco. Quando è sceso in pista nel Principato non sapeva che quella sarebbe stata l'ultima occasione. Su di lui pendeva un'altra situazione: avrebbe dovuto scontare cinque posizioni di penalità sullo schieramento di partenza perché nel Gran Premio precedente, a Barcellona, aveva causato l'incidente con Bruno Senna - nipote di Ayrton - frenandogli addosso, troppo tardi, alla prima staccata.

C'è un'immagine, nelle qualifiche di quel Gran Premio di Montecarlo del 2012, che più di ogni altra testimonia che cosa fosse Michael Schumacher, forse più di tutte le altre che ci sono state trasmesse nella sua carriera. Mentre attraversa la seconda velocissima curva della prima chicane delle Piscine, toglie la mano sinistra dal volante per cambiare la ripartizione di frenata nella staccata successiva, più violenta rispetto a quella precedente del Tabaccaio. Schumacher ottiene il miglior tempo, 80 millesimi più veloce rispetto a Mark Webber su Red Bull e 147 millesimi più rapido del suo compagno di squadra, Nico Rosberg sull'altra Mercedes.

Foto di Boris Horvat / Getty Images.

Parte in sesta posizione, ritirandosi a 15 giri dalla fine senza chance di vittoria. Per l'ultima volta, tuttavia, Schumacher è stato il più veloce in Formula 1. Non gli era mai successo, da quando era rientrato nel 2010 dopo tre anni di assenza, e non succederà nuovamente.

Dominio piatto

In quella immagine di Michael Schumacher che danza tra i muri a oltre 200 all'ora con una sola mano sul volante, mentre stampa il miglior tempo, c'è l'essenza di Michael Schumacher. Un pilota veloce e ossessionato dalla ricerca del dettaglio, dalla cura meticolosa. Di Schumacher si è sempre sottolineata più la componente mentale rispetto a quella del talento naturale, quello della guida senza sforzo. In questo Schumacher era certo dotato ma non inavvicinabile.

Il suo approccio mentale alla Formula 1 era invece unico. In un'intervista rilasciata a Sky a fine carriera, disse: «Ho vinto tanto ma ho sempre avuto la mente aperta, mi sono sempre sentito un pilota che voleva imparare. Guardavo gli altri per capire se facessero qualcosa meglio di me. I miei compagni mi hanno sempre insegnato qualcosa, facevo attenzione ad ogni dettaglio per capire come potessi migliorare». Vitantonio Liuzzi, ex pilota di Formula 1, lo affrontò per la prima volta alle finali del Mondiale kart del 2001, alle quali Schumacher partecipò per diletto essendo disputate a Kerpen sulla sua pista di casa: «La cosa che saltava subito agli occhi era la sua grandissima professionalità», ricorda Liuzzi. «Già da quando venne a correre nel kart vidi che era una macchina da competizione, ottimizzava e cercava di migliorare ogni lato della sua guida e del kart in ogni minimo aspetto. Era un pilota affamato di vittorie».

Schumacher grazie a questa solidità mentale è diventato un esempio paradigmatico del concetto di dominio piatto, perfettamente calato nell'idea contemporanea della Formula 1, dove più che in ogni altro sport la componente umana si sta assottigliando per come viene percepita dall'esterno. A differenza di altri campioni - Ayrton Senna, Nigel Mansell, Gilles Villeneuve e perfino Lewis Hamilton - il suo approccio scientifico gli ha impedito creare un rapporto troppo empatico con il pubblico. Per questo ha avuto pochi passaggi a vuoto, ed è riuscito a nascondere bene alcune sue debolezze. Schumacher era una figura fredda e inscalfibile, poco umana, almeno all’apparenza. Somiglia quindi a figure come Niki Lauda e Alain Prost, più razionali e lontane dall'idea romantica del pilota come animale da corsa.

Il suo stile comunicativo è sempre stato abbastanza rude ma misurato. Schumacher ha sempre mostrato una grandissima personalità, ma sotto certi aspetti anche quella piccola e necessaria fragilità e insicurezza di chi aspira a diventare e ad apparire invincibile, sempre migliore, perfetto, cercando in ogni modo di essere all’altezza della propria reputazione. Forse questa è un'operazione che gli è riuscita meglio in età matura: «Mi fa paura la gente che si aspetta troppo da me, non vorrei deluderla», diceva a inizio carriera.

Alcune sue fragilità psicologiche sono emerse da un interessante paragone di Flavio Briatore con Fernando Alonso, un tema molto caro all’ex team manager di Benetton e Renault che li ha avuti entrambi: «Fernando rende meglio sotto pressione, Michael non era così capace di gestire la pressione e commetteva più errori». Una visione condivisibile che prescinde tuttavia da aspetti gestionali all’interno del team, molto importanti per un pilota nella Formula 1 moderna, nei quali Schumacher ha fatto scuola a chiunque e Alonso si è dimostrato invece piuttosto carente.

Sulle debolezze di Schumacher dal punto di vista tecnico, Eddie Irvine - suo compagno di squadra in Ferrari dal 1996 al 1999 - diceva di lui a Repubblica: «Aveva la capacità di risolvere i problemi. Era bravissimo nello sviluppo del motore. Ma in fatto di gomme, telaio e aerodinamica direi che era il peggiore con cui abbia mai lavorato». Però sulla sua competitività non aveva dubbi: «La Ferrari del 1996 è la peggiore macchina che io abbia mai guidato. Michael quell'anno vinse tre gare e partì quattro volte in pole position. Eravamo pieni di ammirazione per lui».

Nei suoi periodi migliori Schumacher era una sorta di automa. In gara, in particolare, aveva la capacità di alzare il livello, di realizzare i tempi migliori al momento opportuno. A Imola nel 2006, ad esempio, abbassò improvvisamente di circa un secondo il proprio tempo nel giro successivo alla sosta di Alonso, che era nettamente più veloce di lui, e riuscì a rimanergli davanti. Schumacher ha poi ereditato da Senna il titolo platonico di mago della pioggia: uno status rappresentato soprattutto dalla sua prima storica vittoria in Ferrari, a Barcellona nel 1996, dominando le più veloci Williams sotto il diluvio.

Schumacher diceva di preferire uno stile di guida pulito, che lo ha aiutato nelle sue numerose imprese sotto l'acqua. La sua caratteristica fondamentale era quella di dare dei colpetti di gas in frenata al ritmo delle scalate, per evitare il beccheggio all'indietro dato dall'aumento di freno motore della marcia inferiore, equilibrando la vettura. Questo non gli impediva di avere delle debolezze: «Nei circuiti che generavano molto sottosterzo» spiega l'ingegnere Luigi Mazzola «Rubens Barrichello (compagno di squadra di Schumacher in Ferrari dal 2000 al 2005, nda) andava più forte di Michael». In molti casi, tuttavia, il suo talento di guida gli ha consentito di compiere vere e proprie imprese, come ad esempio il secondo posto in Spagna nel 1994 guidando per buona parte della gara con il cambio bloccato in quinta.

La sua forza mentale gli ha inoltre permesso, nelle prime esperienze in Formula 1, di non rimanere schiacciato dalla pressione dei campioni già affermati. «Quando un ragazzo cerca di farsi strada in un ambiente chiuso, in cui i piloti con più esperienza hanno già marcato il proprio territorio» disse «qualcuno può non essere d'accordo e creare qualche problema». Il probabile riferimento è alla ramanzina plateale subita da Ayrton Senna dopo il tamponamento a Magny Cours nel 1992, un contesto dove il brasiliano avrebbe potuto tranquillamente prendere in disparte il suo interlocutore, senza esporsi in maniera così evidente alle telecamere, sottolineando la volontà di esprimersi con un tono pedagogico e intimidatorio.

Schumacher, tuttavia, è riuscito ben presto a imporsi, anche reggendo il confronto con un compagno invadente come Nelson Piquet nei primi mesi in Benetton. La rivalità con Senna - che stava esplodendo in quel 1994, vero e proprio anno zero della Formula 1 contemporanea - avrebbe potuto modificare le sorti della sua carriera. In un certo senso suona ironico che sarà proprio il nipote di Senna, indirettamente, a impedirgli di realizzare la 69esima e ultima pole position della sua carriera a 43 anni compiuti, diventando in quel caso il quarto pilota più anziano nella storia della Formula 1 a riuscirci. Oltre che impedirgli la 92esima vittoria, l'ultimo possibile sigillo di un viaggio glorioso.

La gavetta

La storia di Michael Schumacher possiede i connotati caratteristici della predestinazione, ma a differenza di altri campioni di F1 non è cresciuto in una famiglia molto benestante. Pur non essendo avvolti nella ricchezza, i frattelli Schumacher hanno avuto la fortuna di nascere da un padre proprietario di una pista di kart, a Kerpen-Manheim, vicino Colonia.

Su questa pista Michael, già pluri-campione del Mondo in Formula 1, è tornato nel 2001 per disputare la finalissima del Mondiale kart: «Non credo sia venuto per marketing, ma per una sua passione. Lui è sempre stato ultra-innamorato del mondo del kart, come la maggior parte di noi piloti», ha detto Vitantonio Liuzzi, che quel Mondiale lo vinse. «Penso che a lui sia mancato di vincere un Mondiale kart e l'opportunità di parteciparci di nuovo, in casa, in una prova così, è stata una bella esperienza dove è andato anche molto forte. Avemmo anche uno scambio di sorpassi, lui dimostrava di non voler mai mollare, ma io dovevo usare di più la testa essendo in lotta per il campionato e a un certo punto lo lasciai andare, anche se mi avrebbe fatto piacere scambiare ancora più sorpassi». Proprio recentemente, a gennaio 2018, è stato annunciato che questa struttura verrà abbattuta per essere convertita in una miniera di carbone. Il tracciato era diventato una sorta di culto del motorsport tedesco e mondiale.

Divisi da sei anni di età (Michael è il più anziano), i fratelli Schumacher ebbero quindi l'opportunità di allenarsi e girare liberamente sul kartodromo di Kerpen. «Michael diceva che un giorno il fratellino lo avrebbe battuto» racconta Beppi Hantscher, amico di infanzia degli Schumacher. «Si fece la fama di testardone, e Ralf non lo amava troppo. Prese a chiamarlo "Besserwisser", cioè "saputello"». La loro relazione fraterna non è sempre stata solida. In gara gli Schumacher hanno ingaggiato alcuni duelli molto aspri, come ad esempio in Austria nel 1998 o a Montecarlo nel 2005, al quale è seguita un'accesa discussione. Giorgio Terruzzi ha inoltre rivelato che il loro rapporto si era interrotto prima del drammatico incidente di Michael sugli sci, e che rischia ora di essere compromesso per sempre.

Foto di Tobias Heyer / Getty Images.

Ma prima che suo fratello venne messo al mondo, Michael Schumacher aveva già iniziato a girare sui kart all'età di quattro anni. «Mi divertii fino agli undici anni, fino al 1980» disse «poi finirono i soldi e mio padre non poté più permettersi di farmi correre». Da quel momento il suo percorso è stato legato alle iniziative economiche e manageriali di uomini che si interessavano alla sua carriera, finanziandone la crescita, una condizione imprescindibile per emergere ai massimi livelli nel motorsport. Schumacher, in ordine cronologico, fa i nomi di Gerard Noack (proprietario del kart-shop all'interno del suo kartodromo), Jurgen Dilk e Adolf Neubert, importatore per la Germania dello storico brand Kalì Kart. Si susseguì poi la figura forse più importante della sua carriera: il manager Willi Weber.

Weber nell'ambiente è stato soprannominato Mister 20% perché secondo alcune fonti, non verificabili, chiedeva indietro il 20% dei ricavi del suo assistito, anche se la pagina sia italiana che inglese di Wikipedia parla di 15%. Dopo essere diventato vice-campione del mondo di kart e aver debuttato in Formula Ford nel 1988, grazie ai suoi manager precedenti, Schumacher fu portato da Weber nella Formula 3 tedesca e al prestigiosissimo Gran Premio di Macao. In entrambi si impose nel 1990: a Macao ripercorse le orme di altri suoi colleghi arrivati in Formula 1, come Senna, Patrese, Coulthard e suo fratello Ralf.

Nell'estate del 1991 arrivò la svolta della sua carriera. Il pilota della Jordan, Bertrand Gachot, finì incredibilmente in carcere pochi giorni prima del Gran Premio del Belgio di Formula 1, per aver aggredito un tassista con uno spray urticante illegale. Schumacher racconta, quindi, che «Neerpasch (il capo del team Sauber-Mercedes, che aveva in mano il destino di Schumacher, nda) voleva farmi fare un'esperienza in Formula 1 ed Eddie Jordan ci propose di guidare in Belgio la monoposto di Gachot». In realtà sembra che fu proprio Willi Weber a contattare Jordan, che conosceva da anni, per ottenere quel sedile, facendo poi pagare alla Mercedes una cifra non precisata: si spazia dai 150.000 dollari, per arrivare ai 300.000 o addirittura ai 450.000. Non solo, ma come rivelato da Weber qualche anno dopo ad Auto Motor und Sport, «dissi a Jordan che Michael conosceva bene la pista di Spa, abitando pochi chilometri vicino. In realtà non ci aveva mai girato, fui smascherato solo dopo che aveva già ottenuto il settimo tempo in qualifica».

A giocare a favore di Schumacher ha contribuito anche la grande adattabilità specifica della Jordan al circuito di Spa, testimoniata anche dalla grande gara del suo compagno Andrea De Cesaris, ritiratosi a tre giri dalla fine quando era in seconda posizione. La corsa di Schumacher finì invece dopo pochi metri per la rottura della frizione, dopo una grande partenza, ma le prestazioni dell'intero weekend furono sufficienti a convincere Flavio Briatore a metterlo immediatamente sotto contratto con la Benetton fin dal Gran Premio successivo, a Monza.

All'inizio del 1992 Schumacher si approcciava alla sua prima stagione completa in Formula 1 con la tuta della Benetton addosso. Il 4 febbraio di quell'anno la Sauber-Mercedes annunciò che sarebbe stato suo pilota nel debutto in Formula 1 della scuderia svizzera, nel 1993, dopo il lungo periodo nel campionato sportprototipi Gruppo C nel quale proprio lo stesso Schumacher aveva fatto parte del team. Poco prima di quell'annuncio, però, il tedesco aveva detto: «Il mio contratto con la Benetton è fino al 1995, ma la Sauber può riscattarmi dal 1993 in poi. Comunque l'ultima parola resta mia: sarò io a decidere con chi gareggiare e quando».

Schumacher non salirà mai sulla Sauber. Nel 1992 ottenne, proprio sul circuito di Spa dove aveva debuttato, la sua prima vittoria in Formula 1, in Benetton. Rimase nel team di Briatore anche nel 1993, dove vinse un'altra gara in Portogallo, all'Estoril. Concluse il Mondiale Piloti al terzo posto nel 1992, davanti a Senna, e al quarto posto nel 1993. Rimanevano altri due anni di contratto in Benetton e la scelta di onorarli fino in fondo fu la più azzeccata della sua carriera.

La leggenda

L'inizio del Campionato 1994 fu un monologo, in gara, della Benetton di Schumacher, che solo in qualifica era stato battuto dalle impareggiabili doti sul giro secco di Ayrton Senna. Il brasiliano era passato alla Williams, dominatrice delle due stagioni precedenti, ma lo aveva fatto nella stagione in cui le sospensioni attive - il motivo principale dei successi nel 1992 e nel 1993 - erano state vietate. Adrian Newey, il leggendario progettista, fu costretto a cambiare rotta e sbagliò la prima versione della Williams.

Il primo maggio a Imola, per colpa di una saldatura improvvisata al piantone dello sterzo, Senna pagò a caro prezzo le imperfezioni del progetto originale della Williams 1994: morì, andando a sbattere a 300 all'ora sul muro esterno alla curva Tamburello, per colpa della rottura proprio del piantone dello sterzo che durante le prove lui stesso aveva chiesto di allungare.

L'immagine dell'incidente, vista dal camera car di Schumacher, rappresenta l'allegoria perfetta del macabro passaggio di consegne. Il tedesco insegue da vicino Senna, che all'improvviso prende la tangente e scompare, lasciandogli strada libera verso la vittoria.

Schumacher vinse le prime quattro gare del Mondiale, ma da quel momento nacque una serie incredibile di controversie. Si disse che la Benetton fosse dotata di controllo di trazione illegale. «Dietro le quinte era in atto una guerra politica tra Flavio Briatore e i capi della Formula 1» disse Schumacher «e trovarono una scusa per squalificarci». Venne escluso prima dal Gran Premio di Silverstone e da due gare successive per aver sorpassato Damon Hill durante il giro di ricognizione, pensando che l'inglese avesse dei problemi e ignorando successivamente le penalità su consiglio della squadra, che voleva chiarire i fatti a fine gara. «Ci squalificarono anche a Spa» prosegue «dove il nostro fondo piatto era troppo sottile, anche se un piccolo incidente (un suo testacoda in gara, nda) lo aveva logorato. La nostra tavola di legno sul fondo era spessa 8,1 millimetri a fine gara, contro i 9 minimi obbligatori. Nessuno però sa che quella della macchina che aveva vinto a Hockenheim (la Ferrari di Berger, nda) era spessa 4 millimetri e non vennero presi provvedimenti».

Schumacher si aggiudicò il primo titolo mondiale dopo un altro episodio controverso, l'incidente con il suo rivale Hill all'ultimo Gran Premio, ad Adelaide. Divenne, a 25 anni e 314 giorni, il secondo Campione del Mondo di Formula 1 più giovane di sempre, dopo Emerson Fittipaldi nel 1972, e venne superato solo successivamente da Fernando Alonso, Lewis Hamilton e Sebastian Vettel. Quel successo, tuttavia, aprì soprattutto la strada al Mondiale dominato l'anno successivo e all'approdo in Ferrari, nel 1996.

Michael Schumacher in quel momento era diventato indiscutibilmente il pilota più forte in Formula 1. La sua presenza non si limitava alla capacità di portare al limite la vettura, ma si esprimeva anche nel coordinare lo sviluppo e il lavoro di squadra all'interno del team. Dopo Schumacher, la Benetton si aggiudicherà soltanto il Gran Premio di Germania del 1997 con Gerhard Berger, prima di diventare Renault nel 2002. Tutti gli uomini chiave dei successi di Schumacher, dal direttore tecnico Ross Brawn al progettista aerodinamico Rory Byrne, furono portati in Ferrari.

La risalita della Rossa fu lenta e costellata di episodi negativi o sfortunati. Nel 1996 la vettura non era competitiva, ma Schumacher riuscì lo stesso a ottenere tre vittorie. Perse, tuttavia, sia il titolo del 1997 che quello del 1998 all'ultima gara. Nel primo caso, per difendere la leadership all'ultima corsa, tamponò volutamente Villeneuve pagandone le conseguenze con il ritiro, la squalifica e il successo mondiale del canadese. Nel 1998, invece, il momento decisivo della stagione si consumò in Belgio: una gara dominata da Schumacher, che stava approfittando del ritiro del rivale Mika Hakkinen, si infranse su David Coulthard - compagno del finlandese in McLaren - che per farsi doppiare sotto il diluvio rallentò senza spostarsi dalla traiettoria ideale, facendosi centrare forse appositamente da Schumacher.

Ma i tempi per entrare definitivamente nella leggenda erano maturi. Nel 1999 Schumacher fu messo inizialmente fuori gioco dal terribile incidente di Silverstone e a fine anno non riuscì ad aiutare Irvine nella lotta al titolo. Nel 2000, invece, Schumacher si presentò a Suzuka, alla penultima gara, con otto punti di vantaggio su Hakkinen: con una serie di giri record riuscì a passare con la strategia il suo rivale della McLaren. Vinse e celebrò con un'energia mai vista prima, sciogliendo tutta la sua abituale compostezza. Qualche anno più tardi dirà: «Jean (Todt, direttore della Scuderia Ferrari, nda) quel giorno sul podio disse che la vita, da quel momento, sarebbe cambiata».

La consacrazione in Ferrari. Foto AFP / Getty Images.

Schumacher vincerà cinque titoli consecutivi, arrivando al record assoluto di sette, e aggiudicandosi 72 gare e 116 podi con la Ferrari. Il suo dominio è stato messo a rischio soltanto nel 2003, una stagione controversa sul fronte degli pneumatici: la Michelin, fornitore dei rivali (la McLaren di Raikkonen e la Williams di Montoya), stava prendendo il sopravvento ma fu costretta a ridurre in larghezza la misura delle gomme, come da regolamento. Il successo decisivo per Schumacher arrivò a Indianapolis, sotto la pioggia, sfruttando anche le migliori performance delle sue Bridgestone in quelle condizioni.

L'egemonia Ferrari si interruppe nel 2005, principalmente ancora per una questione di pneumatici. La bizzarra regola che in quell'anno impediva il cambio gomme durante la gara favorì nuovamente le Michelin, che dominarono. Schumacher vinse solamente nella corsa più anomala della storia della Formula 1, ancora a Indianapolis, con le sole sei vetture gommate Bridgestone - Ferrari, Jordan e Minardi - a partecipare. Nel 2006 tornò a lottare per il Mondiale, contro Alonso e la Renault. A pari punti con lo spagnolo a due gare dalla fine, Schumacher fu tradito dal motore dopo tantissimo tempo mentre era in testa al Gran Premio di Suzuka. A Monza aveva già annunciato il ritiro, a fine anno: la splendida vittoria in Cina a Shanghai, nuovamente in condizioni meteorologiche miste, rimase il suo ultimo successo in Formula 1.

I lati oscuri

Quando si ha a che fare con Michael Schumacher, come per tutti gli altri grandi campioni specialmente di questo sport, è impossibile delineare la sua figura senza dare un ruolo centrale al naturale istinto prevaricatore che tutti coloro che hanno aspirato a diventare Campioni del Mondo possiedono. Quell'innata indole a marcare il proprio territorio violando il regolamento, se ritenuto necessario, che diventa molto sottile da percepire se messa in campo da piloti astuti e sicuri di sé. Come ad esempio accadde nelle qualifiche di Montecarlo nel 2006, dove Schumacher provocò forse volutamente una bandiera gialla per congelare la sua pole position, sbagliando l'uscita alla Rascasse, un comportamento che fu però giudicato scorretto e punito dalla direzione gara.

Schumacher, in realtà, si è reso protagonista di alcuni episodi negativi abbastanza evidenti. Oltre al contatto con Villeneuve a Jerez 1997, che gli costò l’esclusione dal Mondiale, Schumacher aveva già effettuato una manovra analoga. Ad Adelaide nel 1994 Hill fu troppo irruento, o forse ingenuo, nel provare l'attacco proprio subito dopo l'errore di Schumacher che aveva baciato il muro. Il tedesco, però, sterzò in maniera abbastanza brusca nonostante il suo avversario fosse quasi del tutto affiancato all'interno, compromettendo forse volutamente la gara di entrambi per rimanere così in testa al Mondiale e aggiudicarselo.

I due furono coinvolti in altri duelli nell'anno successivo: in entrambi i contatti, sia a Silverstoneche a Monza, la colpa fu chiaramente di Hill, che sembrava essersi legato al dito l'episodio dell'anno precedente e aver acquisito un'eccessiva sfrontatezza, quasi forzata. L'astio sportivo tra i due si prolungò fin quando Hill, sulla Arrows, decise di far perdere molto tempo a Schumacher al Gran Premio del Giappone 1997, impedendo per un giro intero di farsi doppiare.

La naturale ruvidezza dei duelli nel motorsport e del carattere di Schumacher ha inevitabilmente generato degli attriti, non solo con Hill ma anche con altri personaggi tra cui il talentuoso e irriverente Juan Pablo Montoya e il suo ex compagno di squadra Barrichello, che più volte in carriera si è lamentato del differente trattamento ricevuto in Ferrari. Fu proprio Barrichello ad essere messo in pericolo da una mossa difensiva scellerata e intenzionale di Schumacher, dopo il suo rientro in Formula 1, che a Budapest nel 2010 lo chiuse quasi a muro in pieno rettilineo.

Il lato sopraffattore di Schumacher, tuttavia, non venne fuori solo nei duelli in pista. Con il tempo il tedesco diventò sempre più potente dal punto di vista politico. Nel suo debutto in Ferrari, nel 1996, impose di relegare a semplice collaudatore il favorito per affiancarlo come titolare, Nicola Larini: Schumacher non voleva la pressione mediatica del confronto con un pilota italiano. Sempre all'inizio della stagione 1996, Schumacher fu battuto dal suo compagno Irvine nella prima qualifica in Ferrari e gli impedì di compiere test privati per un bel po' di tempo.

Rimangono avvolti nel mistero, inoltre, i rapporti proprio con Irvine nel 1999, la stagione in cui l'irlandese si ritrovò a lottare per il Mondiale. Nonostante Schumacher gli abbia regalato la vittoria in Malesia, il tedesco disse a fine anno: «Non è un segreto che io non sia rimasto deluso dal fatto che Eddie non abbia vinto il Mondiale». Fu colto in una festa in un locale di Suzuka, dopo la gara, esibirsi goliardicamente insieme al fratello Ralf e a tanti uomini della McLaren, un atteggiamento giudicato inopportuno dalla Ferrari.

Irvine, anni dopo, disse: «La Ferrari smise di sviluppare la vettura dopo l'incidente di Michael e iniziò a farlo per quella dell'anno successivo. Il loro punto di vista era logico, ma mi ha seccato scendere in pista per dei falsi collaudi che servivano solo per dare l'impressione di stare puntando su di me per vincere il Mondiale 1999». Più che al comportamento in pista di Schumacher, le motivazioni del mancato titolo del 1999 vanno forse ricercate nel potere politico e mediatico del tedesco, designato già in anticipo come l'uomo che avrebbe dovuto riportare il titolo piloti a Maranello dopo Jody Scheckter nel 1979, a costo di aspettare un altro anno.

Epilogo

Il 23 dicembre del 2009 Schumacher annunciò il ritorno in Formula 1, dopo tre anni completi di inattività. Lo fece con il rinascente team Mercedes, che raccoglieva le ceneri della Brawn GP, apparsa solamente nel 2009 e vincitrice di entrambi i titoli mondiali. Schumacher qualche mese prima aveva rinunciato a sostituire Felipe Massa in Ferrari fino a fine stagione perché nei test avvertiva ancora dolore al collo, derivante da un suo incidente in moto avvenuto in pista, nel febbraio precedente. Fece ritorno nella massima categoria a inizio 2010, con il marchio che pagò per farlo debuttare in Formula 1 nel 1991.

La sua parabola in Mercedes fu sbiadita, inconsistente, con pochi lampi e con la sensazione che, ben oltre i 40 anni, Schumacher avesse perso buona parte dei riflessi oltre che l'abitudine alla ricerca della perfezione e al dominio. In tre stagioni perse sempre il confronto interno in classifica con Nico Rosberg e mise insieme una quantità rilevante di incidenti. Ebbe degli acuti, come la pole virtuale di Montecarlo nel 2012 e l'unico podio, a Valencia sempre nel 2012. In un certo senso la storia dimostra che la sua diminuita competitività in Mercedes fosse la certificazione, quasi paradossale, della grandezza immensa della sua vera carriera, conclusa nel 2006.

Schumacher annunciò il suo secondo ritiro, definitivo, a ottobre del 2012, lasciando spazio in Mercedes a Lewis Hamilton. Nel suo messaggio, letto in conferenza stampa alla vigilia del Gran Premio del Giappone, c'è una frase amara, ma che suona come un presagio: «In questi tre anni non abbiamo raggiunto il traguardo di creare una squadra vincente alla Mercedes».

La casa di Stoccarda inizierà a dominare ripetutamente dal 2014 in poi, con l'arrivo dei nuovi regolamenti e dei motori ibridi. Si può dire che Michael Schumacher abbia posto le basi per i due cicli più vincenti della storia della Formula 1, uno dei quali vissuto in prima persona. Ma che non abbia mai potuto assistere neanche all'avvio del secondo, essendo ormai da troppo tempo in attesa di scoprire il proprio destino.

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