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Metodo Zar
30 ott 2017
30 ott 2017
Cosa ha rappresentato Sergej Bubka per il salto con l'asta e viceversa.
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C’è stato un tempo in cui il salto con l’asta non era semplicemente una delle specialità dell’atletica leggera, ma un metro di paragone, una metafora, anche un simbolo. Insomma qualcosa di cui si parlava nelle case e si discuteva al bar, un argomento che spostava l’opinione pubblica. E proprio per questo veniva usato nelle pubblicità. Che ci crediate o no, tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta aste flessibili e asticelle altissime si potevano vedere negli spot in televisione.

Erano gli anni dello “Zar” Sergey Bubka, a sua volta testimonial di una nota marca di abbigliamento sportivo e di una di lamette da barba, prima di tanti calciatori, piloti e tennisti. Come Carl Lewis, ma totalmente diverso. Bubka era l’uomo nato dietro la cortina di ferro, capace di saltare al di là del confine neanche troppo immaginario nel preciso momento in cui il mercato si è sostituito alle ideologie, un atleta capace di sorridere del suo essere rigorosamente perfetto. In un’epoca in cui i viaggi nello spazio vivevano la prima vera flessione all’interno dell’immaginario collettivo, a causa di troppi incidenti e qualche brutto film, a volare nel cielo era un sovietico nato in Ucraina.

Le scarpe nuove di Sergey valgono un teatro d’opera.

The next level

Oggi Bubka è vicepresidente della Iaaf, la Federazione internazionale dell’atletica leggera, un ruolo che gli calza a pennello. Lui che testimonial è nato, sempre sorridente, disponibile e fine calcolatore senza apparire cinico. Basta fare visita al suo sito personale per farsi un’idea di quanto l’ex fenomeno del salto tenga al suo sport e a quel mondo che gli ha dato tutto. Tre brevi frasi riassumono il suo credo e la sua missione: lavorare con passione per rendere lo sport sicuro e pulito; usare il potere dello sport per cambiare la vita dei giovani; portare lo sport ad un livello superiore.

Proprio questo ultimo punto rappresenta ciò che il Sergey atleta ha perseguito negli anni della sua carriera, costruendo i suoi record un centimetro alla volta, raggiungendo il numero incredibile di 35 miglioramenti in vent’anni di carriera. Poi si è issato, una volta appesa l’asta al chiodo, fino a ruoli di responsabilità nel Comitato olimpico internazionale (Cio) e divenendo pure presidente del comitato ucraino, oltre che braccio destro di Sebastian Coe e collaboratore dell’Unesco.

Su di lui il giudizio è unanime: si tratta del più grande saltatore con l’asta di tutti i tempi. E a confermarlo ci sono alcuni dati impressionanti: ancora oggi il record mondiale all’aperto di specialità gli appartiene, lo ha fissato a 6.14 metri il 31 luglio 1994 nella “sua” Sestriere. Negli ultimi due decenni una intera generazione di atleti si è fermata molto più in basso, tanto che le prime dieci performance di specialità portano un solo nome: il suo.

L’unico ad aver toccato, seppure per un istante irripetibile, la soglia in cui lo zar ha vissuto per almeno dieci anni è il francese Renaud Lavillenie che nel febbraio del 2014 gli strappò il primato indoor saltando 6.16 a Donetsk, Ucraina. Quel giorno, irripetibile per diversi motivi, fu lo stesso Sergey a premiare l’erede Renaud abbracciandolo e sorridendo, da sportivo vero.

Sussidiario illustrato di cosa ha rappresentato Sergey Bubka per il salto con l’asta, e viceversa.

Uno sportivo da 43 salti oltre i 6 metri in carriera e da 13 medaglie d’oro con due diverse bandiere, prima l’Urss e poi la madre Ucraina. Bubka nella sua carriera non ha mai conosciuto altri gradini del podio se non il più alto, nessuno lo ha mai battuto ad armi pari.

C’è, però, una macchia nella sua carriera scintillante: l’Olimpiade di Barcellona 1992, dove si presentava da olimpionico in carica, campione iridato e primatista mondiale con 6.11 metri. Eppure, quella sera catalana Bubka non ruscì a superare la soglia dei 5.75, dopo aver sbagliato per due volte i 5.70 metri.

Eliminato subito e undicesimo posto, peggio di lui soltanto l’americano Bright che non superò la soglia d’entrata. Come dire, capita anche ai più grandi.

Una finale senza padroni che nessuno si aspettava.

Bubka, oggi

Oggi l’atleta Sergey è nel ricordo di generazioni di uomini e donne come di un professionista impeccabile e padrone del proprio talento. Oggi parliamo ancora di “metodo Bubka” quando vogliamo indicare come si possa ottenere il massimo del risultato dal massimo del talento e dello sforzo. Basta allenarsi forsennatamente, studiare nel più piccolo dettaglio ogni possibile miglioramento e poi decidere con freddezza dove e quando passare all’incasso. C’è persino chi ha paragonato la prassi di programmare i nuovi record del mondo applicata dal saltatore ucraino alla obsolescenza programmata degli apparecchi tecnologici.

Lo stesso ritiro dall’attività agonistica per Bubka non fu altro che un passo avanti nel suo progetto di vita, un progetto molto chiaro: «Per me non fu difficile. Pianificai tutto», ha detto al Corriere della sera lo scorso agosto. «Dopo Sydney avevo deciso che, qualsiasi fosse il risultato, avrei smesso. Ero già membro Cio in quota atleti e membro della commissione atleti Iaaf. Mi ero portato avanti con il lavoro. Mi è sempre piaciuto programmare gli allenamenti e le gare nel dettaglio: usai lo stesso approccio anche con il dopo carriera».

Immaginate un uomo di 37 anni che nei precedenti trenta ha solo pensato ad allenarsi e gareggiare in funzione dell’atletica leggera e che nel primo giorno da “pensionato” si infila un abito e la cravatta come fosse normale. «L’importante è essere organizzati». Quello che Bubka non ha potuto prevedere, sono stati gli scandali che da qualche anno infestano l’atletica e che sono arrivati fino a lui. Secondo quanto scriveva nell'edizione del 20 settembre scorso Le Monde, la commissione etica del Comitato olimpico internazionale starebbe indagando su Sergey. Il quotidiano progressista francese ha parlato di ''legame finanziario opaco'' tra l'ex campione e un uomo al centro dello scandalo di corruzione alla Iaaf durante l'iter di assegnazione dei Giochi olimpici del 2016 a Rio de Janeiro.

Valentin Balakhnichev, ex capo della Federazione russa ed ex tesoriere della Iaaf, è sospettato di aver nascosto casi di doping nel suo Paese e di avere preteso del denaro da atleti, per questo è stato squalificato a vita dalla Iaaf nel gennaio 2016, decisione confermata dalla Corte di arbitrato per lo sport il 21 agosto. A tirare in mezzo Bubka c'è un passaggio di denaro (circa 45 mila dollari) che vedrebbe coinvolta anche una società riconducibile a Papa Massata Diack (figlio dell'ex presidente dell'Iaaf, Lamine Diack), destinatario di un mandato d'arresto internazionale. Bubka ha negato ogni intenzione fraudolenta, ma non il versamento che sarebbe andato alla società del collega russo, in cambio di una consulenza su un circuito di competizioni dedicate al salto con l’asta, quel Pole vault stars di cui Sergey è patrocinante.

Mancano le prove che leghino fattualmente Bubka alla manovra che avrebbe consegnato le Olimpiadi 2016 a Rio de Janeiro, resta il fatto che l’ex saltatore è entrato nel giro dei famigerati protagonisti di questo raggiro internazionale: l’immancabile Balakhnichev e la famiglia Diack, padre, ex presidente Iaaf, e figlio, ex gestore dei diritti tv.

Bubka, ieri

Sergey Nazarovic Bubka è nato come cittadino sovietico a Lugansk il 4 dicembre 1963 e ha cominciato a saltare quando aveva nove anni. A quindici è uscito di casa per trasferirsi a Donetska diciannove era già campione del mondo, con la misura di 5.70. Il suo regno ha avuto inizio così e si è concluso soltanto nel 2001, con una giornata di salti con gli amici di una vita nel palazzo di Donetsk, quello del regicidio di Lavillenie, quello che non esiste più.

«Quel giorno, lo ammetto, fu dura. Mi organizzarono una festa incredibile, alla fine della quale mi ritrovai seduto al centro della scena, illuminato dalle luci, circondato da bambini nello stadio stracolmo. Riposi l’asta nella fodera, mi tolsi le spikes e la canottiera. Era finita. Piangevano tutti. Tranne me».

Fine di un’epoca.

Le sue bandiere hanno sventolato più in alto di tutte per vent’anni: Bubka ha fatto la gioia prima dell’URSS, poi della CSI e infine dell’Ucraina. Ha vissuto l’ultima grande stagione dell’impero di madre Russia, il caos dell’implosione e la travagliata nascita della nuova Repubblica. Figlio di un paese enorme nel quale «non dovevamo preoccuparci, i ruoli erano chiari, la filosofia dello sport anche. Quando siamo passati sotto la bandiera delle Repubbliche indipendenti tutto è cambiato, non si capiva più niente, non si sapeva a chi bisognasse dare retta, ognuno aveva i suoi programmi, le sue gerarchie. È stato il momento peggiore, quello più incerto, più difficile per chi è atleta e ha bisogno di calma e sicurezza».

Dal 1983 al 1993 nessuno è stato capace di batterlo in un Mondiale. Bubka è stato il primo essere umano a saltare sopra i 6 metri, nel 1985. Dopo di lui ce l’ha fatta Rodion Gataullin nel 1989, il terzo addirittura sarà il sudafricano Okkert Brits, dieci anni dopo. Nel frattempo Bubka è arrivato su un altro pianeta ancora. D’altronde non si viene soprannominati Sputnik, Terminator e Re dei cieli senza un motivo. Sergey Bubka, finché è rimasto sulla pedana, è stato un alieno per i suoi avversari: correva i 100 metri in 10’’3 e saltava 8 metri nel lungo.

Ha vinto il Mondiale di Tokyo nel ’93 con un’infiltrazione alla caviglia. Alla fine della carriera ha accumulato 49 salti oltre i 6 metri, il resto del mondo, sedici anni dopo, non è ancora arrivato a quaranta.

Isaksson salta 5.54 metri, record mondiale all’epoca, a Los Angeles nel 1972. La sua tecnica ricorda molto quella dello “Zar”.

Bubka ha rivoluzionato il suo sport: era più veloce, più forte e più atletico di chiunque altro prima di lui e che si confrontava con lui. Questo gli ha permesso di avere maggiore velocità nell’approccio ala pedana, di utilizzare un’asta più pesante e rigida, capace di restituire maggiore spinta verso l’alto. Inoltre, è stato capace di usare un’impugnatura più alta degli altri, così come aveva fatto lo svedese Kjell Isaksson. Bubka riusciva a tenere in pugno quel pezzo di fibra di vetro lungo 5.20 metri a un paio di centimetri dalla cima grazie a una forza e una velocità superiore. Una rivoluzione che è stata paragonata a quella realizzata venti anni prima da Dick Fosbury nel salto in alto.

Il salto con l’asta è letteralmente uno sport spaventoso, sono stati diversi gli atleti nella storia che per affrontarlo hanno dovuto superare la paura del volo o del vuoto. O più semplicemente quella di morire. Il caso più recente riguarda il campione olimpico di Pechino 2008, l’australiano Steve Hooker che ha confessato al New Yorker che si è rivolto a psicologi sportivi e persino a ipnotizzatori per superare il blocco che sentiva ogni volta che doveva prendere la rincorsa verso l’asticella, posta a sei metri d’altezza.

Un video girato dalla saltatrice Allison Stokke può rendere l’idea di cosa si affronta con un’asta in mano.

Anche Jenn Suhr, vincitrice dell’oro femminile all’Olimpiade cinese, ha confessato di non aver iniziato prima dei 22 anni, per il terrore verso una specialità che si fonda principalmente sulla velocità orizzontale e dove basta una piccola esitazione per ritrovarsi sospesi nel vuoto, o peggio a cadere dalla parte sbagliata.

D’altronde il salto con l’asta è la specialità con il più alto numero di incidenti di tutta l’atletica, ultimo quello capitato all’austriaca Kira Grünberg rimasta paralizzata dopo essere atterrata fuori dai materassi nel 2015.

Sergey Bubka non ha mai avuto paura di saltare oltre i propri limiti, perché sapeva già come sarebbe andata, aveva calcolato tutto prima ancora di partire. Il panico, semplicemente, non ha mai saputo cosa fosse.

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