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Foto di Catherine Ivill/Getty Images
Calcio Daniele Manusia 2 maggio 2019 10'

Ancora vi stupite per Messi?

Contro il Liverpool abbiamo assistito ad un’altra prestazione indimenticabile del dieci argentino.

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Certo, non possiamo non tenere conto dell’insaziabilità di Lionel Messi. Di come il calciatore con la maggiore sensibilità tecnica del pianeta sia anche un cannibale, che a 32 anni si nutre ancora della carne di ogni difensore o portiere che osi mettersi sulla sua strada. È una contraddizione di fronte a cui ci troviamo ormai da 15 anni: Messi avrebbe avuto bisogno di tutti questi gol e trofei per marchiare a fuoco il suo nome nella storia del calcio? Probabilmente no.

 

Ma è vero anche che dopo 600 gol ufficiali con la maglia del Barcellona (perché se contiamo anche quelli con la Nazionale sono 665; e se aggiungiamo anche la squadra B e C del Barcellona e le selezioni giovanili argentine diventano 692) siamo ancora qui a stupirci davanti a ogni manifestazione tangibile del suo talento. Se la paura, in teoria, è che ci si abitui a una simile grandezza, le facce meravigliate degli spettatori dietro la porta di Alisson, che un giorno ricorderanno ai propri nipoti di aver visto la punizione del 3-0 segnata al Liverpool, dovrebbero bastare come garanzia. Oppure, se non bastassero, ci sono le facce di Rio Ferdinand e Gary Lineker nel box dei commentatori, il sorriso metà sarcastico metà ammirato di Jurgen Klopp.   

 

In questo senso, la fame di Messi (che, va detto, Ronaldo ha influenzato, anche se è impossibile sapere quanto, e quanto Messi ha influenzato Ronaldo) è anche una forma di generosità. Pensate a quante persone, un giorno, potranno dire di aver visto un grande gesto di Messi dal vivo. Io non ero al Camp Nou ieri sera, mi accontento di averlo visto dal divano come devo accontentarmi di vedere le orche assassine su Netflix. D’accordo, un’orca assassina dal vivo mi lascerebbe più impressionato (e magari van Dijk o Fabinho potrebbero dirci cosa si prova a vedere Messi da vicino), ma non per questo le orche di Our Planet mi sembrano meno imponenti, spietate e violente.

 

Ieri sera, in una semifinale tesa e difficile, in cui Klopp ha fatto di tutto per giocarsela alla pari con il Barcellona, e almeno per mezz’ora il Liverpool è riuscito ad essere persino superiore, non sono state solo la sensibilità, il controllo, la visione di gioco – la visione del calcio – di Messi a fare la differenza, ma anche il serial-killer che è in lui. Che guarda caso si sveglia spesso nei momenti decisivi delle grandi partite.

 

 

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“Dopo 15 anni non sapevamo più come raccontare il più forte, gli aggettivi erano ripetitivi e i numeri noiosi, iniziammo a contare gli occhi sgranati e le mandibole slogate dai suoi gol”. #messi

Un post condiviso da Simone Conte (@simontecone) in data: Mag 2, 2019 at 2:54 PDT

 

Come ha scritto Simone Conte: “Dopo 15 anni non sapevamo più come raccontare il più forte, gli aggettivi erano ripetitivi e i numeri noiosi, iniziammo a contare gli occhi sgranati e le mandibole slogate dai suoi gol”.

 

La Champions League ormai è un tale concentrato di qualità individuale e collettiva che all’interno delle partite più belle dell’anno, giocate dalle squadre più preparate e meglio organizzate al mondo (e forse di sempre), i singoli giocatori di maggior talento trovano sempre un’occasione per utilizzare il proprio talento (1) . L’occasione per Messi, stavolta, è stata una punizione da posizione centrale, da una trentina di metri di distanza.  

 

Sapevamo che sarebbe potuta entrare. E sapevamo che, se fosse entrata, lo avrebbe fatto in quell’angolino. Eppure qualcosa in quella punizione ci ha meravigliato. Qualcosa che senza dubbio è descrivibile in termini puramente fisici (sarà stata la velocità, o forse la rotazione, la parabola: la combinazione di più di queste cose (2)) ma che crea in noi una sensazione di stupore che davvero, senza retorica, è la sensazione più vicina a quella che proveremmo se esistesse davvero la magia. Se Messi anziché aver messo la palla all’incrocio avesse fatto uscire delle ali dalla sua schiena e fosse volato via, tornando sul pianeta da cui proviene.

 

Volendo, sulla punizione di Messi, si può notare anche che c’è un tocco quasi impercettibile di Joe Gomez in barriera, che però non cambia giro alla palla ma sembra solo allargarne di poco la traiettoria. O si può parlare della barriera di Alisson, forse troppo corta sul lato sinistro (ma la palla passa sopra l’ultimo uomo, non oltre: chi ci dice che, se ci fosse stato un uomo in più, Messi non avrebbe semplicemente calciato sopra il penultimo uomo?). Il punto è che nessuna spiegazione razionale può diminuire la forza che quella punizione ha avuto su di noi. E non possiamo chiedere niente più di questo a uno sportivo professionista.

 

Sappiamo che nella Masia del Barcellona, dove Messi è cresciuto, e anzi si potrebbe dire nato, non allenava i calci di punizione. Né li tirava in partita. Si dice che sia stato Maradona, ai tempi in cui allenava la nazionale argentina (nel 2009, prima di un’amichevole con la Francia vinta 2-0, in cui Messi ha segnato, ovviamente) a insegnargli come si calcia una punizione. Lo ha detto Fernando Signorini al quotidiano argentino La Nacion, ma vai a capire in che modo le parole del D10S – “Ascoltami, non staccare il piede dalla palla così velocemente, altrimenti non saprà cosa vuoi da lei” – o il suo esempio pratico, possano aver influenzato il talento allora ventunenne.

 

Quella punizione non ci sembra il prodotto della storia di Messi, o di tutti gli esercizi fatti da Messi in allenamento. Ma della sua stessa unicità; ci sembra di vedere coi nostri occhi la ragione per cui quel particolare essere umano è venuto al mondo. Siamo fortunati a poter vedere una cosa del genere, almeno quanto è fortunato, quell’essere umano particolare, ad essere venuto al mondo in un periodo storico in cui la sua abilità con la palla da calcio non solo è più remunerativa di quasi ogni altra abilità, ma ha anche la capacità di affascinare un numero così grande di altri essere umani.

 

Perché d’accordo, noi racconteremo di aver visto Messi giocare a calcio. Ma come deve essersi sentito lui mentre correva verso il pubblico che aveva mandato completamente fuori di testa? Cosa è uscito dagli occhi di chi lo guardava, per entrare nei suoi? Se ci fosse una risposta, sarebbe buona anche per la domanda: di cosa si nutre l’orca assassina Lionel Messi?

 

https://twitter.com/SkySport/status/1123869732262809600

 

 

Da una parte, ancora oggi, guardiamo a Messi come a un maghetto fragile, un eterno outsider, come se avesse sempre bisogno degli ormoni della crescita. Dall’altra, ci aspettiamo che il suo talento si esaurisca da un momento all’altro, o che sfumi lentamente in un declino fisico che non manchiamo di sottolineare appena possibile. Messi sta invecchiando, Messi cammina per lunghi tratti delle partite, anche quelle più importanti. Messi è finito, oppure sta finendo (3).

 

E invece il talento di Messi è intatto, come la croce d’oro di Notre Dame che brilla nelle macerie dell’incendio, non per un miracolo divino, ma perché è fatto di una lega con un punto di fusione più alto dei materiali comuni. Anzi, la violenza del gioco di Messi ieri sera era più visibile che mai. Forse perché aveva davanti una squadra e avversari forti: fisicamente, tatticamente, mentalmente. Jurgen Klopp a fine partita era soddisfatto per il modo “coraggioso” con cui i suoi hanno difeso molte situazioni difficili.

 

All’undicesimo, ad esempio, Messi se ne va a Fabinho. Prima finge di andare a sinistra, con Fabinho che si sposta leggermente da quella parte, poi all’improvviso Messi usa l’interno del piede sinistro per sterzare a destra. Fabinho ha anche il riflesso giusto, con la gamba sinistra prova a intercettare il pallone prima che sia troppo tardi, ma la sterzata di Messi non è solo stretta, è praticamente all’indietro.

 

Una sterzata calcolata – con il processore che ha solo Messi – proprio per non farci arrivare la gamba di Fabinho. Dato che se l’è spostata praticamente all’indietro, Messi deve compiere una specie di saltello sul posto per coordinarsi e controllarla con il destro, ma a quel punto si è tolto da davanti Fabinho e può accelerare.

 

Conquistato quel mezzo metro di vantaggio torna a portare palla verso sinistra, con l’esterno, ma Fabinho, proprio un attimo prima di ritrovarsi del tutto alle spalle di Messi, esegue una scivolata miracolosa con cui allunga la palla verso la sua difesa.

 

Che fatica difendere Messi. A inizio secondo tempo, nel momento migliore del Liverpool, quello in cui Messi sembra riprendere le forze per il finale di partita, su una transizione sono quattro i giocatori del Liverpool a circondarlo per sbarrargli la strada. Al sessantesimo, di nuovo, tutta la linea difensiva del Liverpool sta guardando Messi che al limite dell’area sposta la palla con l’esterno del piede cercando lo spazio per calciare di sinistro, o per passargli attraverso palla al piede, e nessuno si accorge di Vidal che è tutto libero in area. Per fortuna loro, Vidal spreca male il filtrante di Messi (facendolo arrabbiare).

 

Ogni giocatore del Liverpool ha vinto almeno un duello con Messi (che ha tentato 14 dribbling, sbagliandone 5). Magari in raddoppio, magari con un recupero in extremis, ma se si cerca di essere un minimo obiettivi difficilmente si può rimproverare qualcosa a Robertson, Matip, van Dijk, Fabinho. O a Klopp. Ma se compi interventi “coraggiosi” per tutta la partita prima o poi finisci per compiere un errore.

 

Il secondo gol, a un quarto d’ora dalla fine, nasce da una ricezione di Messi alle spalle di Fabinho, su cui esce in pressione Milner, mandandolo a destra, tra le gambe di Fabinho. La scivolata di Fabinho, un altro grande recupero, diventa un assist per Sergi Roberto, che appoggia a Suarez tutto solo davanti a Alisson. Quando Suarez calcia Messi è leggermente dietro van Dijk, ma se l’olandese si piega esausto sulle ginocchia pensando che la palla sarebbe entrata, Messi compie un brevissimo scatto verso la palla, sentendo, invece, che l’azione non era finita, raddrizzando poi la schiena per il controllo con altrettanta reattività.

 

È vero che Messi ha camminato per la parte centrale di partita, ma è vero anche che, fosse stato per lui, il Barcellona avrebbe segnato almeno altri due gol dopo il 3-0. E quando il Liverpool, con le ultime energie, ha provato a segnare un gol fondamentale per la partita di ritorno, Messi ha difeso con grande intensità, facendo anche qualche fallo.

 

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L’ultima azione da ricordare della partita di Messi, forse, è un dribbling a centrocampo, su Matip che prova a bloccare l’ennesimo contropiede. Messi ha palla sul sinistro e vuole servire Rakitic, che sta scattando nello spazio e non avrebbe nessuno davanti, ma Matip avanza il piede destro e gli chiude la luce per il passaggio. Che problema c’è? Messi scartando praticamente sul posto Matip, con un colpo di interno sinistro, poi serve Rakitic di destro.

 

Contro il Liverpool di Messi è stato visibile praticamente tutto. Il talento tecnico, l’intelligenza tattica, persino quel carattere che qualcuno mette in dubbio abbia (perché, di fatto, non è stato capace di vincere un Mondiale da solo). Ma ci ricorderemo, giustamente, della sua magia. Di quella capacità di stupirci nonostante ormai sappiamo quello di cui è capace.

 

Perché lo scopo per cui Messi sembra essere venuto al mondo non è giocare a calcio, ma stupirci.

 

***

 

(1) – Nel film Glass, che chiude la triologia di Night Shyamalan sui dei super-eroi suoi generis, il grande cattivo interpretato da Samuel L. Jackson deve convincere un altro cattivo rinchiuso in un ospedale psichiatrico a mettere in mostra i propri poteri. La gente non crede più, che ci sono persone con dei poteri, per questo il suo grande piano è andare in un posto pubblico e combattere con un altro supereroe. Più o meno è quello che fanno i migliori giocatori al mondo ogni anno dai quarti di finale di Champions in avanti..

 

(2) – – Sempre in Glass, Samuel L. Jackson dice: “Ogni cosa straordinaria può essere spiegata, ma resta vera. (…) Ogni cosa che vediamo e facciamo ha una base scientifica. Ma ci sono dei limiti: questo è il mondo reale, non un fumetto. E però, qualcuno non muore neanche se gli sparano, qualcun altro riesce a piegare il metallo. E questa non è fantasia”.

 

(3) – Persino ieri sera, prima della doppietta con cui ha raggiunto quota 600, Alessandro Antinelli su Rai 1 ha detto una cosa come “non il solito Messi” (non l’ho sentito, me l’hanno riportato).

 

Tags : Barcellonachampions leaguemessi

Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013) e "Daniele De Rossi o dell'amore reciproco" (66th & 2nd, 2020).

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