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Daniele V. Morrone
Messi ha perso una frazione di secondo
20 apr 2021
20 apr 2021
E non sembra più quello di una volta.
(di)
Daniele V. Morrone
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Messi, insomma, non ha perso la capacità di superare l’uomo, anche nelle grandi partite, eppure l’occhio mi dice che c’è qualcosa di diverso. Il suo gesto si è fatto più evidente: dato che il suo corpo è meno elastico e l’accelerazione del primo passo è inferiore, allora i suoi dribbling necessitano di angoli sempre più complicati e finiscono per mostrarsi di più. A volte sembra quasi puntare sul timore reverenziale che i giocatori hanno nei suoi confronti. È per questo che quando lo fermano mi sembra più clamoroso?

 

Per rispondere ci vorrebbero dati ancora più precisi di quelli che ho a disposizione, ma dopo averlo visto per circa 50 partite a stagione l'occhio mi dice che oggi Messi fa uno sforzo maggiore nel raggiungere il pallone passato non sui piedi dai compagni, che deve appoggiarsi ancora di più sulle combinazioni con i compagni più vicini perché la progressione disordina sempre gli avversari ma poi nelle stesse situazioni di prima in area il tiro è leggermente meno potente, leggermente meno rapido il caricamento e quindi più spesso di prima viene contrastato o bloccato dal portiere.

 

Nell’ultimo Clásico, Messi ha tirato verso la porta avversaria 7 volte, ma nessuna è andata vicino al gol: ogni tiro sembrava più stanco e impreciso del precedente. Delle tre punizioni vicine al limite dell’area calciate neanche una è andata vicina a rendersi pericolosa per Courtois. E a fine partita abbiamo avuto un'immagine che ormai abbiamo interiorizzato: Messi a testa basta, lo sguardo frustrato, la necessità di scappare dalle telecamere. Ancora prima un'altra scena mi aveva colpito: Messi



 



 



 

Poi una settimana dopo il Clásico è arrivata la vittoria nella Coppa del Re, con una sua grandissima partita condita da due gol uno più bello dell’altro. Ma ancora una volta non ho potuto fare a meno di notare la sua stanchezza nell'alzare la coppa, col corpo ricurvo, un sorriso accentuato dalle rughe attorno agli occhi.

 

La Coppa del Re è un trofeo che ha vinto sette volte negli ultimi dodici anni e che per quanto singolarmente rimane minore rispetto a una Liga o a una Champions League, in questo momento della sua carriera ha un grande valore, l’ha mostrato lui stesso con il sorriso prima e poi a parole dopo. Perché è il primo trofeo con il Barcellona alzato dopo praticamente due anni di magra, l’ultimo era quello della Liga nella primavera del 2019: per un giocatore abituato ad alzare trofei a cadenza almeno annuale nella sua carriera è un tempo lunghissimo. Lo stesso Barcellona l’ha celebrato col motto del primo di una nuova era, che è quella del "nuovo" presidente Laporta, del ricambio generazionale in atto con Koeman e forse l’assenza di Messi stesso. Dato che, in tutto questo, tra pochi mesi sarà libero di lasciare la squadra a contratto scaduto.

 

Il problema con il declino di Messi è la sensazione restituita nelle grandi partite, che prima era l'onnipotenza, adesso la frustrazione. Un sentimento che lo rende nervoso, distante dalla felicità pura, anche se apparente, che ha sempre mostrato con un pallone tra i piedi. L’ho visto rabbioso nei confronti degli arbitri, palesemente insoddisfatto degli errori dei compagni. Il calcio che gli sgorga dai piedi con una facilità disarmante non sembra più abbastanza per garantirgli le vittorie in campo, che non aveva nemmeno bisogno di ricercare con la famelica ossessione per la perfezione di Cristiano Ronaldo. Una frustrazione che forse era anche figlia di un ambiente dirigenziale che sentiva ostile, o degli stessi tifosi che gli chiedevano di essere onnipotente di fronte alle disfatte europee del Barcellona. Messi che da Re Mida si trasforma in Oreste, il figlio di Agamennone perseguitato dal suo passato, nel caso di Messi quegli standard impossibili che lui stesso aveva stabilito.

 

A un certo punto, le umiliazioni del Barcellona in Champions League sono diventate troppe per non lasciare ferite, fantasmi, con la paura di perdere malamente che ha sostituito la capacità di immaginare la vittoria. Inutile elencarle tutte, sicuramente l’8-2 contro il Bayern ne è stata la forma più crudele e al tempo stesso la più epica. Il miglior giocatore della storia del Barcellona presente in campo solo di nome nella peggiore sconfitta della storia dei blaugrana.

 

Negli ultimi anni Messi per la prima volta in carriera ha dovuto imparare a convivere con l’incapacità di vincere anche con il Barcellona: quella che era la sua isola felice al riparo dalle delusioni con l’Argentina si è trasformato in un altro tormento. Certo c’è l’appoggio incondizionato dei tifosi, ma la pandemia ha tolto anche quello, con lo stadio deserto il coro a suo favore è quello registrato che sentiamo noi dalla televisione e basta. Neppure quello reale di coro, comunque, lo aveva convinto a tirarsi indietro dalla

, scelta che sembrava irrevocabile e che ora invece comincia sempre di più a rientrare. Nel mentre è cambiata la dirigenza, con il ritorno del suo amico Laporta, il presidente dell’epoca d’oro. In occasione delle elezioni Messi per la prima volta si è presentato a votare, si è fatto fotografare, ha mostrato interesse diretto per le sorti del club, segnale principale del fatto che il suo malcontento non è mai stato diretto al Barcellona come entità ma a chi lo dirigeva e l’ha portato al declino sportivo e al limite del disastro economico. 



 



 
Anche in occasione della doppietta contro l’Athletic Club in finale i due gol hanno mostrato sia una serie di azioni familiari nello svolgimento, come la finta sul tiro nel primo gol o il triangolo con Jordi Alba e poi il tiro di prima nel secondo. In entrambi i casi, però, i suoi movimenti sono sembrati terreni, la sua velocità di punta non imprendibile: Messi per arrivare alla porta si è dovuto appoggiare a uno scambio continuato tra le linee con Frenkie de Jong. La stessa finta è allo stesso tempo essenziale nel gesto e anche molto accentuata, cosa che può sembrare in antitesi: Messi tocca la palla due volte, per liberarsi dell’avversario quasi salta sul posto con un colpo d’anca, mandando fuori giri l’avversario più per la sorpresa che per la velocità del gesto, una cosa da Di Stéfano o Kubala negli anni ’50.

 

Anche se ovviamente il suo atletismo è diverso rispetto a quello che ha caratterizzato i finali di carriera di Di Stéfano e di Kubala, o quello di Maradona alla fine degli anni ‘80, la sensazione credo non sia troppo diversa da quella che proviamo adesso a guardare una partita di Messi. Un giocatore che si muove lungo tutto il fronte offensivo come sempre ma che, dopo anni in cui è sembrato camminare sulle acque leggero quasi quanto il pallone, che come diceva Galeano gli finisce dentro il piede più che è attaccato al piede, ora sembra pesare ogni passo che fa, trascinando il pallone, studiando prima gli scatti che può fare.

 




 

Messi deve ormai convivere non soltanto con le necessità dei compagni, ma con anche l’idea che quello che può fare ora non è quello che poteva fare prima. Non riesce più a imporre il contesto di gioco, a essere un sistema a sé stante attorno a cui far ruotare tutto il resto. Adesso è lui ad avere bisogno di un sistema costruito attorno che lo esalti e allo stesso tempo che gli permetta di esaltare i compagni. Messi può essere sé stesso nella singola azione, ma non per tutta la partita, e adesso ha bisogno di compagni che non gli chiedano sforzi extra che possano diluire ancora di più il suo sforzo atletico.

 

Messi dentro un sistema con giocatori che parlano il più possibile la sua stessa lingua calcistica, che ne anticipino le mosse, riesce a muoversi a suo agio e quindi a sforzarsi di meno. Lo si vede adesso nel Barcellona costruito da Koeman, con de Jong, Busquets, Pedri, Dest, Griezmann, Dembélé e Jordi Alba che gli orbitano attorno come satelliti. Mancherebbe giusto una punta come lo era stato Suárez negli anni d’oro, ma l'allenatore olandese è comunque riuscito a compensare le mancanze della rosa con alcuni accorgimenti tattici. Il livello del Barcellona è salito nelle ultime settimane e con esso il gioco di Messi.

 

C'è da dire che le zone di ricezione di Messi, e quindi anche il suo gioco da un punto di vista strettamente tattico, non sono cambiate particolarmente: da anni tutta la metà campo offensiva è la sua area, partendo ovviamente dall'amato mezzo spazio di destra. Lui che idealmente dovrebbe ricevere sempre nei pressi dell’area, non si è più tolto la tendenza a venire incontro a centrocampo a prendere palla. Questa scelta che sembrava un sintomo delle difficoltà sistemiche del Barcellona negli ultimi anni in realtà sembra ormai indipendente dal sistema di gioco, ma fa riferimento alla sensazione che ha Messi in quel momento specifico della partita: se percepisce che i compagni non sono a loro agio contro la pressione avversaria o che non riescono a trovarlo con continuità, allora lui scende ad aiutare. Se la palla non va dove vorrebbe, allora ce la fa andare lui. Un atteggiamento generoso nei confronti della squadra, che però gli pesa poi in termini di quanto può dare in area di rigore avversaria.

 




 

Un dispendio di energie psicofisiche che ne hanno quindi intaccato le prestazioni contro le squadre, e quindi le difese, migliori. Se nei grandi numeri Messi segna più o meno come prima, è invece dal 2018 che non segna in un Clásico ed è invece dal 2019 che non è più decisivo in Champions League (quando mise KO il Liverpool nella semifinale di andata).

 

Lui che ora evidentemente non è più sopra al contesto, ora che deve trovare le pieghe della partita in cui giocare, come qualsiasi fuoriclasse normale è abituato a fare. Mbappé sceglie il momento, così come De Bruyne, Benzema o anche Cristiano Ronaldo oggi: per questo devono essere circondati da giocatori che gli creino un ecosistema in grado di farlo al meglio. Certo c’è l’eccezione di Neymar e non è un caso se oggi è lui a poter essere considerato il migliore al mondo. Il numero 10 del PSG ha dominato il doppio confronto contro il Bayern soprattutto nella seconda partita, in cui

prendendo anche tre pali. Una prestazione che ci ha fatto venire nostalgia per quelle di Messi, che negli anni passati ci ha dimostrato di poter avere la stessa influenza sulla partita, con un'efficienza tattica e realizzativa però ancora più spietata. Questo era un qualcosa che pochissimi grandi del passato avevano reso possibile, ma solo per pochi anni. Messi l’aveva reso quotidiano ed esteso per più di un decennio.

 

Ora però non si può più parlare al presente. E il primo che sembra averlo capito è Messi stesso. Lui che ha detto di voler rimanere a giocare ad alti livelli fin quando può. Che con quel sorriso al momento della vittoria della Coppa del Re sembra mostrarci la gioia di chi ora non dà più nulla per scontato, di chi è consapevole che per quanto il suo talento rimanga infinito, la sua onnipotenza in campo esiste solo in azioni e non più periodi di gioco. In una squadra che ha aperto un rinnovamento generazionale solo ora, Messi ha alzato quello che può essere considerato il primo trofeo di una nuova era ma forse ha capito che deve godersi ogni trionfo come se fosse l’ultimo.

 

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