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Cosa pensare della stagione di Mertens?
20 apr 2018
20 apr 2018
Il belga è stato fondamentale nella stagione del Napoli ma negli ultimi tempi la sua influenza sembra essere calata.
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In questa stagione che non si è ancora conclusa Dries Mertens ha già segnato 21 gol e 12 assist tra coppe e campionato: parliamo quindi di una grande stagione dal punto di vista realizzativo o in aiuto alla realizzazione, la sua migliore se si escludono quella - eccezionale sotto tutti i punti di vista - appena passata (34 gol e 15 assist) e quella 2011/12 con la maglia del PSV (27 gol e 22 assist).

È bene cominciare con questa semplice osservazione per rendere chiaro quanto il confronto diretto con l’incredibile exploit dell’anno scorso influenzi la nostra percezione di Mertens, oggi che non segna da un mese e mezzo (l’ultimo gol è stato il 2-4 in Napoli-Roma del 3 marzo) e viene da un rigore sbagliato contro il Chievo che avrebbe potuto chiudere il campionato del Napoli molto prima dello scontro diretto con la Juventus.

Nell’ultima partita contro l’Udinese, Mertens è stato addirittura messo in panchina da Sarri per far spazio a Milik: il Napoli ha recuperato due volte lo svantaggio (0-1; 1-2) e ha vinto 4-2 riavvicinandosi alla Juventus in vista dello scontro diretto di domenica. Ma il confronto con il centravanti polacco aveva pesato anche nelle settimane precedenti.

Contro il Chievo, Milik è entrato al 64esimo al posto di Hamsik e aveva preparato il terreno per l’incredibile rimonta del Napoli segnando l’1-1 all’89esimo con un bel colpo di testa. La settimana successiva, contro il Milan, Milik, entrato proprio al posto di Mertens, aveva ravvivato le energie offensive della squadra di Sarri, andando ancora una volta a un passo da un gol all’ultimo secondo.

Inoltre, a influenzare il nostro occhio quando guardiamo le giocate dell’attaccante belga, c’è forse anche il “peso” dei gol segnati nelle ultime settimane. Per ritrovare una partita in cui l’apporto di Mertens alla vittoria finale fosse direttamente riconoscibile, bisogna infatti tornare alla trasferta di Bologna di fine gennaio, in cui una sua doppietta regalò i tre punti alla squadra di Sarri dopo lo svantaggio iniziale.

Uno dei gol più assurdi segnati da Mertens quest’anno.

Il prossimo 6 maggio Mertens compirà 31 anni e si trova in una fase nella carriera di un calciatore in cui è difficile distinguere il picco psico-fisico dalla sua fine. Oggi siamo più propensi per la seconda, anche perché ci siamo dimenticati la prima parte di stagione, in cui sembrava essersi definitivamente trasformato in un falso nove poliedrico e segnava gol impossibili ogni giornata.

Il calo statistico

Va detto subito che il declino nelle prestazioni di Mertens sembra confermato dalle statistiche. L’attaccante belga ha visto peggiorare quasi tutte le sue principali statistiche offensive dalla stagione 2015-16, la prima con Sarri: dai tiri totali (passati dai 4.39 per 90 minuti, agli attuali 3.97) ai dribbling riusciti (da 2.93 a 1.27), fino ad arrivare ai passaggi chiave (da 2.28 a 1.54).

Parte di questo trend è spiegabile con il cambio di ruolo avvenuto dopo la cessione di Higuaín e l’infortunio di Milik. Il primo anno di Sarri, Mertens giocava principalmente da ala sinistra, e quasi mai titolare, e questo spiega perché statistiche come i dribbling riusciti e i passaggi chiave siano così gonfiate. Non è detto che dribblare meno, o tirare meno, sia un problema in casi come questo. Anzi.

Restringendo però l’analisi agli ultimi due anni e a statistiche strettamente legate al ruolo di prima punta, il sospetto che Mertens abbia superato il suo picco rimane: tira di meno quest’anno da dentro l’area rispetto alla passata stagione (da 3.13 a 2.60) e in maniera molto meno precisa (l’accuratezza di tiro è scesa dal 59% al 49%).

Mertens sembra anche meno capace di inventarsi gol dal nulla. Se l’anno scorso le sue statistiche realizzative andavano ben oltre quello che si poteva ragionevolmente aspettare vista la pericolosità dei suoi tiri, con 26 goal (esclusi i rigori) realizzati da 19.26 Expected Goals (che non comprendono i rigori, appunto), in questa stagione è praticamente in linea con le aspettative, con 13 goal ricavati da 12.53 xG.

Se ci limitiamo ad analizzare quest’ultimo periodo di crisi realizzativa, cioè alle partite successive a quel Napoli-Roma del 3 marzo, la situazione peggiora ulteriormente: in sei partite Mertens è riuscito a tirare in porta appena 3 volte (sui 15 tentativi totali) generando la miseria di 0.86 Expected Goals. Ovviamente in una squadra come il Napoli il contributo di Mertens non si limita alla finalizzazione, ma questi numeri testimoniano anzitutto la sua minore influenza diretta rispetto a una stagione fa.

Sopravvivere in uno spazio più piccolo

Non è la prima volta in questa stagione che si parla del declino di Mertens, che già in inverno aveva avuto un periodo di secca realizzativa durato 9 partite (durante le quali però aveva comunque realizzato 4 assist), tra l’inizio di novembre e la fine di gennaio.

In quel caso, Flavio Fusi aveva giustamente ricondotto i problemi realizzativi dell’attaccante belga a quelli sistemici del Napoli dopo l’infortunio di Ghoulam.

Senza il terzino algerino, capace di garantire una spinta offensiva costante con grande pulizia tecnica nel breve, il Napoli ha iniziato ad accusare gravi problemi d’ampiezza, contando anche che Hysaj, dall’altra parte, ha un’indole molto più difensiva e rimane spesso ancorato agli altri due centrali. Senza l’ampiezza garantita dai terzini, le squadre avversarie hanno potuto stringere il campo orizzontalmente, portando molti uomini proprio nella zona di Mertens.

Vale la pena chiedersi più nel dettaglio perché.

Il Napoli non ha ampiezza e può stringere tantissimo la difesa nella zona di Mertens. Insigne dovrà inventarsi un tacco geniale per mandarlo al tiro.

Inoltre, come sottolineato da Alfredo Giacobbe, molte squadre hanno anche imparato la lezione impartita a inizio stagione dallo Shakhtar di Fonseca, che aveva battuto il Napoli alzando moltissimo la linea difensiva, anche a palla scoperta, per comprimere lo spazio tra le linee, mentre il pressing indirizzava il possesso azzurro nell’imbuto centrale. Questa strategia, oltre che dalla Roma, è stata adottata anche da squadre minori, come Sassuolo e Chievo.

Con il suo spazio vitale ristretto in orizzontale e in verticale, Mertens ha cercato di uscire da questa gabbia venendo incontro al centrocampo per ricevere palla, lasciando soprattutto a Insigne il compito di attaccare lo spazio alle spalle della linea difensiva avversaria.

Contro la Roma sono stati principalmente Insigne e Allan ad abbassare la linea della Roma, permettendo a Mertens di ricevere tra le linee.

Sul perché Mertens abbia abbandonato quasi del tutto il suo gioco in profondità senza palla, che pure aveva dimostrato di poter sfruttare con profitto, ha probabilmente inciso un inevitabile calo fisico.

Correre senza palla è psicologicamente faticoso, soprattutto se sei già stanco. Mertens quest’anno ha più volte ricondotto i suoi cali a un problema di stanchezza, ed è difficile dargli torto, dato che è uno dei membri della rosa di Sarri ad aver più minuti di gioco, alle spalle solo di Reina, Callejón e Koulibaly.

Ovviamente, non bisogna dimenticare nemmeno il suo background tecnico. Mertens nasce come un’ala, abituata a prendere palla sull’esterno per poi puntare l’uomo. Nei momenti di stanchezza, è probabile quindi che l’attaccante belga faccia affidamento a movimenti già interiorizzati, rispetto ad altri imparati solo in seguito.

Uno dei gol più importanti segnati da Mertens in questa stagione, l’1-0 contro l’Atalanta al ritorno, è arrivato proprio da un movimento in profondità, ad attaccare lo spazio dietro la linea difensiva avversaria.

Mertens, forse sempre per via della stanchezza o semplicemente perché meno sicuro in spazi stretti, è diventato anche molto più conservativo nel gioco spalle alla porta, limitandosi quasi sempre a tocchi di prima all’indietro o in orizzontale sulla trequarti, rendendo prevedibile la progressione verticale del pallone del Napoli.

L’inaridimento del gioco senza palla e della creatività sulla trequarti di Mertens ha cambiato a sua volta il Napoli. Senza più un riferimento centrale, la manovra della squadra di Sarri ha cercato altri sbocchi trovandoli nel talento di Insigne e nei cross.

Mertens e il Napoli

Con lo spazio ristretto orizzontalmente, il Napoli ha cercato di bucare la resistenza centrale avversaria appoggiandosi direttamente sui piedi del suo numero 24, diventato, complice anche un momento di forma non esaltante di Hamsik, l’uomo più influente sulla trequarti azzurra.

Insigne si è mangiato lo spazio centrale di Mertens, vedendo lievitare praticamente tutte le sue statistiche offensive, a partire dai tiri dentro l’area (passati dai 2.13 per 90 minuti dell’anno scorso ai 3.21 di quest’anno).

In alternativa, la squadra di Sarri ha trovato spazio sugli esterni, cercando di buttare il pallone in area direttamente, con i cross. Da quel Napoli-Roma del 3 marzo, il Napoli è passato da una media di 17.3 cross a partita a una di 20.5.

Degli 8 gol realizzati in queste 6 partite, ben 6 sono arrivati da cross (contando anche le palle inattive e l’autogol di Rogerio contro il Sassuolo, arrivato dopo una carambola sfortunata a seguito di un cross di Mário Rui). I due restanti sono stati segnati da Milik e Insigne.

Il calo di Mertens in questo finale di stagione è dipeso e a sua volta ha influenzato un contesto non congeniale alle caratteristiche, in cui, semplicemente, è meno utile.

Il gol che meglio rappresenta, quest’anno, la poliedricità del talento di Mertens: movimento in profondità alle spalle del centrale avversario, stop in corsa con il destro e tiro sotto la traversa di sinistro.

Non possiamo sapere se Mertens abbia davvero superato il suo picco psico-fisico (non bisogna dimenticare che dopo l’ultimo periodo di secca in questa stagione, ha segnato 7 gol in 7 partite), ma questa stagione ci permette di riflettere più a fondo sulla peculiarità del suo talento, al di là dei gol più spettacolari.

L’interdipendenza del suo rendimento con quello del Napoli, ci ricorda per l’ennesima volta di quanto tecnica e tattica siano strettamente legate, di quanto l’individualità e il sistema tendano a plasmarsi a vicenda.

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