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Meritocrazia verde
28 lug 2016
28 lug 2016
Cinque punti per analizzare la vittoria dell’Atlético Nacional nella Copa Libertadores.
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Tra qualche giorno a Medellín comincerà l’annuale Feria de los Flores, una specie di Carnevale di Rio, ma con più fiori, che celebra l’Antiochia, i suoi costumi, il suo carattere. Il trionfo di Rueda è un inizio festeggiamenti perfetto, anche perché molto bucolico, nel senso di idillio campestre: in un certo senso finisce per ripulire la

dall’onta di aver conquistato la Libertadores ‘89 grazie alle ingerenze di Pablo Escobar (ok, quella squadra era

ben oltre il contesto, ma il contesto c’era), e sublima il valore

della

. Il Nacional è stata la migliore squadra di questa Libertadores: costante, coerente, una schiacciasassi. Ha meritato il successo, e con il “fiorista” Rueda dovremmo complimentarci non foss’altro per come ha saputo coltivare nello stesso orto orchidee (Marlos Moreno) e

(Macnelly): un compito che magari non richiede miracoli, ma competenza e passione, quelle sì.

 




Più che un miracolo, forse, è la conseguenza del lavoro fatto da questo club, ma anche una dimostrazione di come girino le dinamiche attuali del calcio sudamericano. Al momento buio di Argentina e Brasile fanno da contraltare i domini del Cile, a livello di Nazionali, e della Colombia, a livello di club, tanto in Sudamericana quanto in Libertadores. Però ci sono delle belle differenze: la squadra di Maturana, nell’89, era in un certo senso antica per i propri tempi, eppure è stata in grado di dare un ruggito forte in un momento di cambiamento globale - e non a caso si sarebbe dovuta scontrare con un’altra di innovazione come il Milan di Sacchi.

 

Questo Atlético Nacional di Rueda, invece, è una squadra in linea con i propri tempi: si è autosostenuta e ha creato in casa i presupposti per il trionfo finale.

 

 


 



Sarebbe più onesto parlare di

. È vero che alla fine perdere così, arrivarci veramente vicini e non poter scrivere il lieto fine per chiudere la favola è una cosa che un po’ rode. In telecronaca, mentre sfilavano per prendere la medaglia d’argento, ho detto che devono essere solo orgogliosi e strasoddisfatti di quanto hanno fatto.

 

Hanno dimostrato non tanto che in un semestre, in Sudamerica, può prendere vita una sorpresa, perché questo lo sapevamo già. Hanno dimostrato, piuttosto, che anche in un angolo remoto del mondo come può essere la periferia di Quito si possono fare progetti di qualità che portano risultati sportivi, economici e sociali. Fatti che qua diamo per scontati, ma che là sono davvero

.

 





Non lo so se sarei stato pronto a un’altra equazione Trionfo Del Leicester, a un altro editoriale (arricchito dall’esotismo di un rimando alla cultura Inca e al terremoto) buonista, all’ennesima tracimazione di retorica. Alla fine meglio - magari è un po’ ingeneroso, diciamo

- che l’IDV abbia perso, però non mi sento di sollevarli dalle responsabilità che ti conferisce l’aspettativa che hai contribuito a generare: arrivare in finale sbriciolando il Boca alla Bombonera non ti esonera dal provare uno sforzo ulteriore di

, e forse i Rayados non c’hanno provato fino in fondo a buttare cuore e testa oltre l’ostacolo dei loro limiti. Chi mi ha deluso è stato Arturo Mina, troppo poco

rispetto a come ci aveva abituati: stai a vedere che il migliore della coppia era Caicedo e non ce ne siamo accorti.

 

 


 



Repetto e il suo IDV sono stati coerenti al loro piano-gar

, che poi si riduce all’algoritmo

in Ecuador + Vallo-Di-Adriano fuori casa e che Dio (o chi per lui, spesso Azcona) ce la mandi buona. Il Nacional nel primo tempo ha tirato in porta 9 volte, e se dopo venti secondi Borja l’avesse già buttata dentro l’IDV non avrebbe avuto a sorreggerlo neppure quel briciolo di speranza nel perpetuarsi del solito canovaccio Resisti>vai ai rigori>vinci>Miracolizzazione.

 



 

Higuain anyone?


 

Quello del Nacional invece è stato il Saggio Di Fine anno perfetto: possesso di palla sontuoso (86% di passaggi completati, la migliore squadra della Libertadores in questo fondamentale), Borja puntuale tanto con la statistica quanto con la narrativa (ho visto figure eroicizzate per molto meno di 5 gol in due semifinali e una finale), Rueda si sarebbe potuto dire soddisfatto anche senza estrarre quel capolavoro tattico di Guerra in cabina di regia che non ha fatto rimpiangere neppure un po’ l’assenza di Seba Pérez.

 

 



Rueda ha proposto un calcio molto propositivo, elastico, avvalorato anche dalla scelta - in assenza di Pérez - di schierare Guerra anziché attendere con Arias.

 

Guerra con Macnelly Torres sono stati i due grandi protagonisti: due gregari di lusso dell’ultimo decennio di calcio sudamericano che finalmente si sono presi la loro meritata fetta di gloria. Non avevano mai fatto il salto vero, prima dei 30 anni, ma hanno saputo aspettare il momento giusto in cui sarebbero stati chiamati a dare una mano. Quel momento è stato ieri notte, e sono stati fondamentali per questa conquista.

 

 


 



Ok quindi ci ho visto bene se come MoTM scelgo

, cioè l’ibridazione di Macnelly Torres e Alejandro Guerra? Ieri sembravano una specie di divinità animista Dominatrice Dei Cerchi Di Centrocampo. In due hanno scambiato la palla con successo 130 volte su 148 tentativi, spuntavano fuori ovunque, e l’aspetto entusiasmante è che l’hanno fatto in una zona di campo - quella tra le due linee avversarie - nella quale prima di ieri, in Libertadores, non avevano giocato mai insieme. Macnelly è stato spesso criticato per una certa vena da

nella manovra delle sue squadre, che gli è costata anche l’esclusione in corsa dai “Cafeteros” ai Mondiali del 2014 (aveva giocato tutte le gare di qualificazione) e un’apparizione abbastanza ritardata in questa Libertadores (prima Rueda gli preferiva proprio Guerra). Dimostrare la compatibilità dei due

è stata la Tesi di Laurea di Rueda.

 

Come MVP invece scelgo Marco Ruben: se volete prendetela come un premio alla Costanza contro la Miopia dei DT argentini.

 



Alejandro “el Lobo” Guerra è stato peraltro il primo venezuelano a vincere una Libertadores.


 

 



Se Marlos avesse segnato sarebbe stato lui l’MVP. Ha iniziato col botto, poi ok non ha più segnato ma ha dimostrato una crescita promettente. Questa Libertadores l’ha disputata da giocatore vero, non da talentino: ha difeso, imparato tatticamente, si è messo a disposizione. Ha dei crismi che non si vedono molto spesso.

 

L’MVP vero forse è Borja, per l’impatto che ha avuto: questa Copa per metà l’ha vinta lui.

 

E poi direi che dei 12kg e 10gr della Libertadores, un quattro chili buoni li ha portati Armani da Rosario, dove è stato protagonista assoluto: se il Nacional fosse andato sotto di più di un gol forse questa Libertadores, alla fine, l’avrebbe vinta il Rosario Central.

 

 


 



Vedremo sicuramente una squadra diversa, e forse anche un altro allenatore.

 

In Sudamerica anche la vittoria è un paradosso: ti dà la gloria per una notte ma poi ti obbliga a cambiare faccia, perché gli Europei arrivano e ti saccheggiano. L’IDV per esempio è già diventato il discount più ambito del mondo. Dopotutto è vero che in Europa si gioca un calcio migliore dal punto di vista tattico e fisico, ma con il pallone sono sempre più forti i sudamericani.

 

Certo l’Atlético si è mosso per tempo: a giugno ha acquistato otto giocatori, tra cui Borja, che non sono ancora magari del livello dei vincitori, ma non foss’altro perché non sono cresciuti all’interno di questo ciclo. Però rimarranno Ibaguen, Berrio, Guerra, Macnelly, tutto l’impianto offensivo. Piuttosto bisognerà vedere come reggeranno dietro: Mejia e Pérez probabilmente andranno via, e in difesa l’età media è molto alta. Vedremo.

 



 

 



L’atmosfera che si respirava ieri sera era quella di un classico Finale di College Movie: molti preparano gli scatoloni per andarsene e solo in pochi decidono che il Campus non fa per loro perché si sta così bene in provincia.

 

L’IDV come abbiamo imparato a conoscerlo scomparirà nel giro di massimo una settimana: Repetto ha già accettato un’offerta in Arabia Saudita, la chioma di Mina sventolerà sul prato del Vespucio Liberti e l’estro di Sornoza probabilmente sarà al soldo della Fluminense. Uno a scelta, non importa bene chi, lo vedremo al Palermo, Cabezas o Angulo fa lo stesso.

 

È il destino di diventare grandi, che è poi la Grande Morale di ogni college movie.

 

Mi consola dalla malinconia degli addii-per-forza che fino all’avventura nipponica resteranno in

Berrio e Borja, nonché

. Basterebbe di per sé per indossare fanatiche e sbarazzine fasce da kamikaze, qualsiasi cosa significhi, e tifare Nacional con l’entusiasmo di un Tino Asprilla che

.

 

 

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