Per misurare la grandezza dell’impresa firmata dall’Alessandria basta dire che nella storia della Coppa Italia solo un’altra squadra di Serie C, il Bari nella stagione 1983/84, era riuscita ad arrivare fino alle semifinali. Quel Bari si fermò proprio a un passo dalla finale, ma venne promosso in Serie B, un percorso che, a quanto pare, sperano di ripetere anche ad Alessandria. Nonostante l’exploit in Coppa Italia, infatti, tutti i protagonisti dei “Grigi”, dall’allenatore Angelo Gregucci in giù, continuano a ripetere che l’obiettivo principale resta il campionato e che la priorità è tornare in Serie B, categoria che manca da oltre 40 anni.
Un atteggiamento comprensibile: il realismo spinge l’Alessandria a concentrarsi sul sorpasso al Cittadella in testa al girone A della Lega Pro piuttosto che sulla vittoria della Coppa Italia, eppure sono state le 3 partite giocate contro Palermo, Genoa e Spezia a rendere storica la stagione dei piemontesi e a far gridare, come capita spesso in questi casi, al miracolo.
Passaggi di consegne
A febbraio 2013 Luca Di Masi, imprenditore torinese, rileva la società promettendo solidità e programmazione: «(…) Fare tabula rasa e risanare davvero era l’unico modo per ripartire seriamente. (…) Abbiamo piani ambiziosi, ma realistici. Non mi sentirà mai dire: tra due anni saremo in B, tra quattro in A o simili. (…) Però sicuramente abbiamo idee chiare e una seria programmazione societaria».
Il primo obiettivo, centrato subito, è la promozione nella nuova Lega Pro unificata. Raggiunta la categoria nel 2014, l’Alessandria parte forte e chiude il girone d’andata in testa alla classifica insieme al Bassano. Nel girone di ritorno il rendimento cala e i “Grigi” finiscono il campionato al quinto posto, fuori dai playoff. Il secondo tentativo di promozione in Serie B viene affidato a Giuseppe Scienza, che però vince una partita nelle prime 4 giornate e viene esonerato. Al suo posto arriva Angelo Gregucci ed è la svolta della stagione.
Con Gregucci l’Alessandria ha perso solo 2 delle 15 partite di campionato giocate, si è inserita stabilmente nella lotta per il primo posto, ma soprattutto ha raggiunto le semifinali di Coppa Italia. Merito della mentalità che Gregucci è riuscito a trasmettere alla squadra e di un’organizzazione di gioco che ha mascherato la differenza rispetto alle avversarie di categoria superiore. Non si può comunque dire che i “Grigi” non abbiano coraggio o manchino di qualità.
Il contropiede perfetto. In poco più di dieci secondi l’Alessandria passa da un’area all’altra e va in vantaggio a Marassi contro il Genoa. È un’azione da manuale, dai tocchi di prima che costruiscono il contropiede alla gestione del pallone da parte di Fischnaller, che manda in porta al momento giusto Marras.
L’abitudine a giocare un campionato di vertice, in cui spesso si trova a controllare il pallone e la partita, si nota in maniera evidente nel modo di stare in campo dell’Alessandria. Anche contro il Genoa e il Palermo, cioè in gare in cui ovviamente non si poteva pretendere che sovrastassero gli avversari, i “Grigi” non hanno rinunciato alla propria manovra palla a terra estremamente organizzata. Con risultati diversi però: al Barbera la squadra di Gregucci ha avuto il 48% di possesso palla, ma il dato è “sporcato” dal fatto che per un’ora il Palermo ha giocato in inferiorità numerica per l’espulsione di Vázquez; al Ferraris contro il Genoa si sono accontentati del 29%.
Gregucci solitamente schiera la sua squadra con il 4-3-3 (ma a partita in corso è passato anche al 4-2-3-1 e al 4-4-2): a inizio azione i centrali difensivi si aprono molto per lasciare spazio nel mezzo al mediano che si abbassa per impostare la manovra. I terzini restano vicini e vengono sollecitati spesso: l’Alessandria predilige risalire il campo grazie alle catene che si formano sulle fasce e punta a fare arrivare rapidamente il pallone agli esterni d’attacco, che ricevono molto larghi, in pratica sulla linea del fallo laterale, per poi accentrarsi e definire la manovra.
Sono gli esterni i principali creatori di gioco ed è a loro che spetta solitamente creare i presupposti di pericolosità dell’azione.
Il tipico sviluppo dell’azione dell’Alessandria. Il terzino destro, Celjak, appoggia all’esterno d’attacco, Marras, mentre la mezzala, Nicco, si alza alle spalle del centrocampo avversario. Il mediano, Loviso, si muove in appoggio, con il compito principale di fare da riferimento per girare il pallone da un lato all’altro del campo. In questo caso l’azione può svilupparsi in maniera fluida sulla fascia e viene saltato.
Dopo aver scambiato con Nicco, Marras serve in profondità il centravanti, Marconi, con un pallone praticamente perfetto. È il 2-0 dell’Alessandria a Palermo.
In campionato i titolari nel ruolo sono Manuel Marras e Manuel Fischnaller, ma in Coppa Italia, sia contro il Palermo che contro il Genoa, Gregucci ha fatto giocare dall’inizio Antimo Iunco al posto di Fischnaller. Marras è il giocatore di maggiore qualità nell’Alessandria: Gregucci difficilmente lo tiene fuori e la sua presenza in campo orienta in maniera forte la manovra. È dal suo lato che i “Grigi” preferiscono costruire l’azione, confidando nella sensibilità del suo sinistro e nella sua ottima visione di gioco.
Classe ’93, cresciuto insieme a Stephan El Shaarawy, a guardarlo in foto sembrerebbe impossibile che quel ragazzo così gracile abbia fatto la differenza contro squadre di Serie A, ma la sua velocità e il suo piede sinistro sono da tenere d’occhio, come ha dimostrato Mimmo Di Carlo, che nel recente quarto di finale del suo Spezia ha preparato per lui il raddoppio sistematico di Migliore e Situm, limitandone la prestazione.
L’altro punto di forza della catena destra dell’Alessandria è Vedran Celjak, terzino croato classe ’91 dotato di ottimi tempi di sovrapposizione, che con il suo movimento costante permette uno sviluppo fluido della manovra sulla fascia oppure consente a Marras di isolarsi nell’uno contro uno, accentrarsi e rifinire l’azione.
L’Alessandria non attacca in modo frenetico: se non trova sbocchi gira con pazienza il pallone da un lato all’altro del campo, una strategia che non permette solo di muovere lo schieramento avversario alla ricerca di spazi, ma anche di riordinare la squadra e rendere meno pericolosa la perdita del possesso.
E non è un caso che i due gol della rimonta contro lo Spezia siano arrivati da due recuperi dopo i rinvii dei difensori avversari. L’autore di quella doppietta, Riccardo Bocalon, è riuscito – pur senza partire da titolare – a essere decisivo contro il Genoa e lo Spezia. A colpire, soprattutto, è stata la capacità di non soffrire il contatto fisico contro difensori di categoria superiore. In due dei tre gol decisivi segnati ha spostato il proprio marcatore (uno di questi, tra l’altro, era Nicolás Burdisso), dominando il corpo a corpo da vero centravanti.
È un aspetto fondamentale nel modello di gioco dell’Alessandria. Il centravanti deve essere un riferimento, saper resistere al contatto fisico spalle alla porta per poter fare da sponda sui lanci lunghi e fornire un’opzione in appoggio ai propri compagni quando la manovra si sviluppa palla a terra.
Anche i rinvii del portiere e le punizioni vicino alla propria area di rigore sono curati con scrupolosità. Si cerca sempre il centravanti, in questo caso Michele Marconi, titolare al posto di Bocalon in tutte le partite di Coppa Italia con Gregucci in panchina, mentre alle sue spalle si accentrano i due esterni d’attacco.
Difendere senza paura
È soprattutto quando il pallone ce l’hanno gli avversari, però, che emerge il coraggio e la mentalità da squadra di vertice dell’Alessandria, che anche contro formazioni di Serie A ha resistito alla tentazione di schiacciarsi nella propria metà campo.
La squadra di Gregucci difficilmente contesta il primo possesso avversario, ma il pressing viene comunque preparato intorno alla linea di centrocampo. I “Grigi” si dispongono in un 4-1-4-1 in cui i primi a uscire sono alternativamente il centravanti o la mezzala dal lato del pallone. Il loro compito è quello di orientare la manovra avversaria sulle fasce, dove lo sviluppo dell’azione viene ostacolato dal triangolo formato dall’esterno d’attacco, che inizialmente mantiene una posizione intermedia tra il proprio terzino di riferimento e l’interno di centrocampo avversario, il terzino e il mediano, che accorcia sul lato dove viene giocata la palla. Quando l’esterno d’attacco esce sul terzino, la mezzala ripiega per non compromettere mai la compattezza della formazione.
Il pressing non è molto aggressivo (d’altronde Gregucci preferisce schierare centrocampisti di qualità e non c’è un vero e proprio specialista nel recupero del pallone), ma la solidità del blocco è tale da costringere gli avversari all’errore o a girare il pallone in orizzontale.
Squadra corta e stretta. Gli avversari non possono fare altro che girare al largo.
È in quel momento che si cerca di forzare il recupero della palla. Lo schieramento difensivo consente ai “Grigi” di andare ad attaccare rapidamente il pallone che si muove in orizzontale e gli avversari vengono messi alle strette. Se decidono di tornare indietro, comunque, l’Alessandria preferisce restare in posizione e ricominciare il pressing.
È da sottolineare il comportamento impeccabile della linea difensiva, precisa nell’accompagnare il movimento dei centrocampisti e nel chiudere lo spazio alle loro spalle. I 4 difensori, aiutati dalle distanze ravvicinate, si muovono con una sincronia davvero invidiabile e scappano all’indietro solo se la squadra avversaria riesce ad arrivare sul fondo. Quando gira il pallone in orizzontale o all’indietro sono puntuali nell’alzarsi, riuscendo spesso a mandare in fuorigioco gli attaccanti. Questo ovviamente permette di tenere la squadra corta e di difendere in avanti. Sia contro il Genoa che contro lo Spezia la lunghezza media dell’Alessandria si è assestata sotto i 30 metri, il baricentro, invece, oltre i 50 (addirittura 58,92 metri contro il Genoa).
La Reggiana ha appena mosso il pallone in orizzontale, la linea difensiva si alza e manda in fuorigioco i due attaccanti.
Gregucci ha così sopperito con una fase difensiva di reparto ai limiti individuali dei propri difensori centrali: né la coppia Morero-Sosa, che di solito gioca in campionato, né Sirri, il sostituto di Morero in Coppa Italia, sono particolarmente veloci e forti nei recuperi. D’altra parte, il fatto di tenere i centrali di difesa vicini e bloccati espone il mediano all’inferiorità posizionale durante il possesso palla avversario. Spesso lo spazio ai suoi lati diventa il terreno buono per ricevere il pallone e puntare la porta difesa da Gianmarco Vannucchi.
Proprio da una ricezione ai lati del mediano nasce l’1-1 della Reggiana.
È nell’atteggiamento dei due centrali e nella fase di transizione difensiva che si possono trovare le maggiori differenze tra l’Alessandria di campionato e quello di Coppa Italia. Si tratta delle concessioni alla prudenza più grandi dovuti al fatto di affrontare squadre di categoria superiore. La priorità di avere sempre copertura nel mezzo spinge i difensori centrali a uscire ancor meno dalle loro posizioni. Quando il terzino si muove in pressione sul proprio avversario diretto è così il mediano che deve coprire lo spazio che si apre e seguire l’inserimento del centrocampista avversario. La transizione difensiva, invece, è meno intensa in Coppa: non si cerca di recuperare immediatamente la palla, ma piuttosto si rallenta l’azione avversaria favorendo il ripiegamento dei compagni.
Buona semina
Il cammino dell’Alessandria è insomma il risultato della programmazione, di investimenti importanti per la Lega Pro e di un’idea di gioco chiara che, pur con gli aggiustamenti necessari di partita in partita, non cambia dal campionato alla Coppa Italia. Ed è bello ammirare il successo di una squadra che nonostante il gap qualitativo con le proprie avversarie non ha rinunciato al proprio gioco palla a terra, a restare sempre corta e a difendere in avanti.
È difficile credere che questo exploit rappresenti la una svolta della carriera dei suoi protagonisti, da Bocalon a Marras, da Nicco a Fischnaller e Celjak. Tutta la formazione tipo, a parte il portiere Vannucchi, classe ’95 cresciuto nella Juventus, è entrata o è prossima a entrare nell’età della maturità di un calciatore e nessuno ha davvero catturato l’occhio per essere di gran lunga sopra la media.
La storia di quest’Alessandria è bella proprio perché tutti sono al loro posto e il sapere sempre cosa fare in ogni fase di gioco ha mascherato le categorie di differenza con le avversarie. Sarebbe un peccato alterare questa alchimia, che probabilmente non basterà a vincere la Coppa Italia, ma forse sarà sufficiente per tornare e non sfigurare in Serie B.