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I primi frenetici giorni del mercato NBA
03 ago 2021
03 ago 2021
Da Russell Westbrook ai Lakers alle prime firme di questa notte.
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Nel corso di questi primi frenetici giorni di mercato hanno già firmato un nuovo accordo o sono stati scambiati poco meno di 80 giocatori, un numero che supererà facilmente la tripla cifra nelle prossime ore. Quasi un quarto della NBA quindi ha già sistemato la propria estate — anche se buona parte degli accordi non potrà essere firmato fino al 6 agosto per motivi regolamentari — eppure la mancanza di nomi grossi ad aver cambiato maglia fino a questo momento ha cristallizzato la situazione con cui ci eravamo lasciati lo scorso anno. Con ogni probabilità le squadre che pensavano di giocarsi il titolo nel 2021 saranno ancora lì nel 2022, al netto degli infortuni che come sappiamo hanno avuto un ruolo purtroppo centrale nei playoff dello scorso anno.

Ad aprire le danze sono stati i Los Angeles Lakers, che hanno di fatto misconosciuto quanto fatto nella scorsa estate smontando e rimontando la squadra attorno a LeBron James e Anthony Davis per il terzo anno consecutivo. La mossa più importante è stata quella che a poche ore dal Draft ha portato Russell Westbrook in gialloviola, ceduto a Washington in cambio di Kyle Kuzma, Montrezl Harrell, Kentavious Caldwell-Pope e la scelta numero 22 al Draft (poi diventata Aaron Holiday per gli Wizards). Uno scambio discusso e discutibile, visto che i Lakers sembravano vicinissimi a cedere Kuzma e Harrell a Sacramento per arrivare a Buddy Hield, che almeno sulla carta sembra un giocatore più adatto a giocare con le due stelle, non fosse altro per le due doti di tiro (40% da tre in carriera su 7.4 tentativi a partita). Poiuna telefonata da parte di Westbrook ha cambiato le carte in tavola, portando Wizards e Lakers a riparlare dell’accordo e ad accontentare il desiderio delle stelle gialloviola di giocare assieme, dopo un incontro a casa di James nelle scorse settimane.

L’inserimento di Westbrook nei Lakers sarà certamente uno dei temi più scrutinati della prossima stagione, come ogni cosa che accade all’ombra della collina di Hollywood. E dal punto di vista tecnico-tattico non sembra una combinazione in grado di funzionare: Westbrook non è solo un cattivo tiratore ma anche uno che tira tantissimo, sbagliando tantissimo (mai in carriera sopra il 50% effettivo dal campo). E non solamente da tre punti, ma anche con il suo amato tiro dalla media distanza, arrivando sempre di meno al ferro rispetto al passato (meno del 20% dei suoi tiri è arrivato da lì nella scorsa stagione a Washington).

A 33 anni, alla sua quarta squadra in altrettante stagioni da quando ha lasciato OKC, i Lakers scommettono quindi su tutti quegli altri aspetti del gioco di Westbrook che non finiscono nel tabellino, quasi intangibili: nella ferocia, nella voglia di giocarsi il titolo a casa sua e nella infinita energia di un giocatore che è indiscutibilmente produttivo ogni volta che scende in campo, a discapito dell’efficienza. Ma dopo la scorsa stagione in cui nessuno è stato in grado di tenere in piedi la squadra quando sono venute a mancare le due stelle, e considerando le richieste altissime di Dennis Schröder in sede di rinnovo, i Lakers hanno deciso di andare per la strada dei Big Three, a discapito della profondità di una squadra che ora è diventata difficilissima da costruire.

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I Lakers ai Lakersisti

I contratti di James, Davis e Westbrook ammontano da soli a 121 milioni di dollari, costringendo i Lakers di fatto a potersi muovere solamente con i contratti al minimo salariale, con la tax-payer mid-level exception da 5.9 milioni di dollari e con le sign-and-trade esclusivamente in uscita, quindi utilizzando i loro tanti free agent per prendere in cambio giocatori già sotto contratto con altre squadre (altrimenti farebbero scattare l’hard cap a 142 milioni, limitando ulteriormente i loro già risicati margini di manovra).

Nella prima notte di free agency la dirigenza guidata da Rob Pelinka ha scelto l’usato sicuro: i quattro giocatori presi al minimo salariale per un anno hanno tutti un passato in gialloviola più o meno vincente. Trevor Ariza e Dwight Howard sono stati membri importanti dei titoli conquistati nel 2009 e nel 2020, mentre Wayne Ellington e Kent Bazemore hanno fatto parte di quelle squadre interlocutorie a metà dello scorso decennio. Quattro veterani con skillset diversi e, in tutta onestà, probabilmente non in grado di tenere il campo in un contesto di playoff competitivo. Ma ora come ora serve soprattutto riempire un roster ridotto all’osso dallo scambio per Westbrook, meglio se con giocatori che conoscono già l’ambiente e che si accontentano del minimo salariale pur di giocarsi il titolo.

Ci sono ancora diversi enigmi che devono essere risolti: il mercato per Dennis Schröder sembra essersi ridotto dopo che molte squadre hanno risolto le proprie situazioni nel ruolo di point guard, e non è chiaro se ci sia davvero la possibilità di imbastire una sign-and-trade che darebbe respiro alla rotazione dei Lakers; Talen Horton-Tucker rimane un giocatore su cui i gialloviola vorrebbero puntare, anche se di sicuro non aiuta le spaziature ristrette dell’attacco di coach Vogel; Alex Caruso è già andato ai Chicago Bulls a guadagnare i 37 milioni che si è meritato grazie a quanto fatto in gialloviola. Il cartello di “lavori in corso” è ancora ben piantato a El Segundo, anche perché bisogna evitare che la luxury tax decolli a livelli mai visti.

Perché in fondo si torna sempre dove si è stati bene, specialmente se quel posto è Los Angeles.

I Miami Heat hanno rotto il salvadanaio

La squadra nettamente più attiva sul mercato nella prima notte di free agency sono stati i Miami Heat, che hanno rotto il salvadanaio che tenevano da parte da un paio di anni nel caso in cui Giannis Antetokounmpo si fosse presentato tra i free agent di questa estate. Dopo aver rinunciato all’opzione da 15 milioni su Andre Iguodala, la dirigenza guidata da Pat Riley ha esercitato quella su Goran Dragic e poi lo ha mandato a Toronto insieme a Precious Achiuwa per arrivare a Kyle Lowry, a cui è stato allungato un triennale da 90 milioni di dollari complessivo. Un esborso consistente per un 35enne che lo scorso anno — al netto di una stagione complicatissima per i Raptors a Tampa Bay — è sembrato fare un passo indietro rispetto ai livelli visti nel recente passato, ma è anche vero che a Miami gli verrà chiesto un ruolo decisamente minore nella gerarchia di una squadra saldamente nelle mani di Jimmy Butler (che ha chiesto e ottenuto un’estensione monstre da 184 milioni in quattro anni).

Butler guadagnerà oltre 50 milioni a 36 anni compiuti: e dire che durante la stagione si vociferava anche di un rapporto non proprio idilliaco col coaching staff.

Dopo aver preso uno dei free agent più seguiti della lega (per lui si parlava anche di New Orleans e Dallas), Miami ha anche trattenuto Duncan Robinson con 90 milioni in cinque anni, fondamentale per mantenere le spaziature in un quintetto in cui solo lui può assicurare alte percentuali dietro l’arco. A completare la grande notte di Riley è arrivata la firma di PJ Tucker con un biennale da 15 milioni complessivi, non solo aggiungendo un giocatore durissimo dal punto di vista fisico e mentale alla squadra che maggiormente si basa su quei due aspetti in tutta la NBA (Tucker di fatto è il giocatore più da Miami Heat a non aver mai indossato la maglia dei Miami Heat), ma togliendo anche ai campioni in carica dei Milwaukee Bucks un titolare fondamentale nella loro cavalcata verso i playoff. Potrebbe non essere ancora finita qui (che fine farà Tyler Herro? E Kendrick Nunn?), ma un quintetto formato da Lowry, Butler, Robinson, Tucker e Adebayo sembra uscito direttamente dagli anni ’90 in quanto a forza fisica e presenza difensiva.

Bucks e Nets perdono due pezzi importanti

La perdita di Tucker è un duro colpo per la profondità del roster di Milwaukee, che se non altro è riuscita a trattenere Bobby Portis con un biennale da 9 milioni complessivi e ha aggiunto un altro giocatore fisico in Semi Ojeleye, anche se nessuno dei due avrebbe potuto dare quello che Tucker ha dato soprattutto contro Kevin Durant nella serie contro i Brooklyn Nets, il vero momento di svolta della cavalcata dei Bucks verso il titolo.

Anche a Brooklyn hanno perso un giocatore per loro fondamentale come Jeff Green, che ha firmato un biennale da 10 milioni con i Denver Nuggets. Green si è ricavato una seconda parte di carriera da “specialista tuttofare” in uscita dalla panchina, dando tutto quello che serviva alla causa in termini di versatilità difensiva e offensiva in base alle esigenze. Anche loro sono riusciti a limitare i danni trattenendo Blake Griffin con un contratto di un anno, mandando anche Landry Shamet a Phoenix in cambio di Jevon Carter e aprendo spazio sul perimetro alla prima scelta Cameron Thomas, che insieme all’altro rookie Day’ron Sharpe è chiamato a far parte della rotazione per non sovraccaricare i corpi dei Big Three, già martoriati di infortuni nella scorsa stagione.

Phoenix e Utah ci riprovano con lo stesso gruppo

Le due migliori squadre in regular season della Western Conference, Utah e Phoenix, hanno raggiunto i loro obiettivi principali, cioè confermare le loro point guard. I Jazz hanno scaricato Derrick Favors nel Porto Sicuro Dei Contratti Indesiderati di Oklahoma City, andando a far compagnia a Kemba Walker tra quelli che non si prendono neanche la briga di disfare le valigie. In questo modo hanno ritagliato abbastanza spazio per offrire a Mike Conley un triennale da oltre 20 milioni a stagione (68 o 72 a seconda dei vari report) e alleggerire almeno un po’ la luxury tax, anche se non è detto che la squadra rimanga identica a quella che lo scorso anno ha dominato la regular season schiantandosi contro i Clippers ai playoff (si vocifera di un possibile addio sul perimetro tra Ingles, Bogdanovic e O’Neale).

Di milioni di dollari ne sono serviti ben 120 in quattro anni per riportare Chris Paul a Phoenix, mantenendo intatta la squadra che ha raggiunto la finale anche con i 19 in tre anni allungati a Cameron Payne. Un epilogo a lieto fine per una delle storie più belle della passata stagione e che accontenta un po’ tutti, permettendo ai Suns di mantenere la strutturazione che li ha portati fino alle Finals in una Western Conference che — tra i già noti problemi di profondità dei Lakers, il nebuloso infortunio di Kawhi Leonard per i Clippers, quello di Jamal Murray a Denver e i dubbi su Jazz, Mavericks e Warriors — di certo non li vede partire come sfavoriti, considerata l’esperienza accumulata nella stagione appena conclusa.

CP3 ha tenuto fede alle parole pronunciate dopo la conclusione delle Finals: “Run it back”

Once a Knick, always a Knick

I New York Knicks si sono presentati a questa free agency con più spazio salariale di qualsiasi altra squadra, ma dopo non essere riusciti a raggiungere un pezzo grosso (Lowry o Paul) hanno utilizzato quello che avevano per confermare quasi in blocco la squadra dello scorso anno. Ai triennali per trattenere Derrick Rose (43 milioni), Nerlens Noel (32) e Alec Burks (30) si sono aggiunti gli 84 utilizzati per portare via Evan Fournier dai Boston Celtics, togliendo un giocatore con un ruolo importante per una diretta concorrente a un posto ai playoff.

Tom Thibodeau si ritrova così tra le mani lo stesso gruppo che lo scorso anno si è issato fino al fattore campo nei playoff, anche se è poi uscito per 4-1 al primo turno contro gli Atlanta Hawks. Fournier da solo potrebbe non essere abbastanza per fare un salto di qualità, anche perché la rotazione nel backcourt è parecchio affollata (Rose, Barrett, Quickley, Burks, Fournier, Vildoza, pure Deuce McBride dal Draft) ma mancano un po’ di giocatori capaci di giocare da collante anche con il reparto lunghi, visto che tutti sono abituati a tenere la palla in proprio piuttosto che muoverla.

I Chicago Bulls vogliono (provare a) difendere, i Pelicans no

Un’altra squadra che ha speso molto ieri notte sono stati i Bulls, che come già detto hanno dato 37 milioni di dollari in quattro anni ad Alex Caruso ma soprattutto sono riusciti a raggiungere Lonzo Ball, al quale erano accostati ormai da anni. Per riuscirci hanno concluso una sign-and-trade con i New Orleans Pelicans dando 85 milioni in quattro anni al più grande dei fratelli Ball e scambiando Tomas Satoransky e Garrett Temple ai New Orleans Pelicans, che per sostituirlo hanno preso Devonte’ Graham da Charlotte in cambio di una prima scelta protetta del 2022.

L’all-in dei Bulls è ormai chiaro: dopo essere andati a prendere Nikola Vucevic alla deadline del mercato per affiancarlo a Zach LaVine, ora stanno cercando di costruire attorno a loro un ecosistema difensivo che permetta loro di brillare in attacco, e sia Caruso che Ball hanno i mezzi per poter cambiare quantomeno sui tre ruoli esterni permettendo a LaVine di nascondersi sull’avversario meno pericoloso e a Coby White di tornare a un ruolo in uscita dalla panchina che si adatta meglio alle sue caratteristiche realizzative.

Alex Caruso vuole già fare amicizia con Benny The Bull.

Non è chiaro invece quale sia il piano dei Pelicans per costruire una difesa quantomeno accettabile attorno a due difensori mediocri (a essere generosi) come Brandon Ingram e Zion Williamson. Da più di un anno ormai le strade con Lonzo Ball sembrano destinate a separarsi senza capire bene il motivo tecnico per cui sia dovuto accadere, visto che il fit con Ingram e Williamson aveva senso e difensivamente è sicuramente superiore a tanti altri free agent prendibili sul mercato. Graham è quel tipo di realizzatore e tiratore dal palleggio capace di aprire il campo e nuove soluzioni che mancavano nell’attacco dei Pelicans, ma anche un difensore sotto media (non fosse altro per le dimensioni ridotte) che si inserisce in un quintetto in cui Jonas Valanciunas non può tenere in piedi tutta l’impalcatura, anche perché è un lungo limitato nel tipo di difese che può eseguire nei pick and roll.

I rinnovi della classe 2018: Trae, Shai e Jarrett Allen

Come ogni free agency che si rispetti, sono arrivati anche le estensioni al massimo salariale dei giocatori in uscita dal contratto da rookie. In attesa che arrivino gli scontati max contract di Luka Doncic (al termine delle Olimpiadi) e Deandre Ayton (che si è guadagnato ogni centesimo negli ultimi playoff), i primi due membri del Draft 2018 a rinnovare sono stati Shai Gilgeous Alexander con gli Oklahoma City Thunder e Trae Young con gli Atlanta Hawks. Entrambi potranno arrivare a guadagnare 207 milioni in cinque anni nel caso in cui vengano nominati per uno dei tre quintetti All-NBA nella prossima stagione, eventualità più probabile per Young che non per SGA (non fosse altro che per record di squadra), anche se la concorrenza sarà come sempre spaventosa.

Non che la concorrenza spaventi Trae Young, specie dopo i playoff appena disputati.

Un caso a parte è quello di Jarrett Allen, che è membro del Draft 2017 e per il quale i Cleveland Cavaliers avevano comunque sacrificato un asset durante la stagione per prenderlo nel mega scambio di Harden. Il contratto da 100 milioni in cinque anni è pesante, anche perché non è chiaro chi avrebbe potuto offrirgli di più sul mercato (era restricted free agent) né che un 5 rim-runner pagato 20 milioni all’anno possa avere grande valore in caso di scambio, visti quanti ce ne sono in giro a prezzi decisamente inferiori. Soprattutto i Cavs hanno appena scelto al Draft un lungo come Evan Mobley, che pur avendo bisogno di tempo per crescere fisicamente e giocare stabilmente da 5, è destinato a occupare quel ruolo nel futuro prossimo. La loro convivenza si preannuncia tanto complicata quanto interessante da seguire, in una squadra che in ogni caso non sembra destinata a giocarsela per i playoff neanche nella prossima stagione.

Dallas e Portland cambiano solo marginalmente

Ci sono due squadre nella Western Conference chiamate a un salto di qualità che ancora non è arrivato. I Dallas Mavericks, considerando il livello a cui è arrivato Doncic, hanno il dovere di costruire attorno a lui una squadra migliore rispetto a quella dello scorso anno, ma non sono riusciti a raggiungere il ball-handler togliergli un po’ di carico dalle spalle, Lowry, e hanno invece rimpolpato la batteria di tiratori sul perimetro, confermando Tim Hardaway Jr. (72 milioni in quattro anni) e prendendo Reggie Bullock (30.5 in tre), oltre a Sterling Brown e la conferma di Boban Marjanovic. Con ogni probabilità non è questa l’estate per muovere Kristaps Porzingis, anche perché il suo valore di mercato è ai minimi storici o giù di lì, ma è una decisione che presto o tardi dovranno prendere.

C’è invece molta più pressione sui Portland Trail Blazers per costruire una contender attorno a Damian Lillard, e fino a questo momento non sembra che abbiano ancora individuato la strada per riuscirci. Finora la dirigenza guidata da Neil Olshey ha puntato sul “more of the same”: ha rifirmato Norman Powell a cifre molto alte (90 milioni in cinque anni) e ha aggiunto Cody Zeller e Ben McLemore per la panchina. Di fatto il quintetto base formato da Lillard, McCollum, Powell, Covington e Nurkic è lo stesso che dopo aver avuto ottimi differenziali su 100 possessi in regular season si è sciolto ai playoff contro i Denver Nuggets incerottati. Lillard ha detto chiaramente che si sarebbe aspettato dei cambiamenti perché la squadra per come è costruita ora non è in grado di vincere: le mosse di Olshey lo convinceranno di potercela fare, anche se di fatto non è cambiato nulla? La più grande tessera del domino potrà cadere solo al ritorno dalle Olimpiadi, ma gli occhi di mezza NBA sono puntati sulla situazione in casa Blazers.

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