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Emanuele Atturo
Medvedev è diventato amico della terra rossa
22 mag 2023
22 mag 2023
E la vittoria al Master 1000 di Roma ne è la dimostrazione.
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Emanuele Atturo
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IMAGO / Uk Sports Pics Ltd
(foto) IMAGO / Uk Sports Pics Ltd
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«Ora arriva la stagione su terra, vediamo come te la caverai lì» scherza Jannik Sinner durante la premiazione del torneo di Miami. E oggi ci suonano imbranate e maledette quelle parole; oggi che Daniil Medvedev ha appena vinto il suo primo Master 1000 su terra, al termine dell’epopea romana di pioggia e polemiche. Va detto che non c’era niente di fuori luogo nella battuta di Sinner. L’avversione di Medvedev per la terra è un fatto risaputo, oggetto di ironia. «Conversion to clay-court master progress bar ▓▓▓▓▓▓▓▓▓▓▓▓▓▓▓▓▓▓ 100%” scrive il profilo degli Internazionali d’Italia. Dopo la partita lui stesso è incredulo, gli viene da ridere: «Onestamente, non pensavo di poter conquistare il titolo di un Masters1000 nella mia carriera sul campo in terra battuta perché odiavo giocarci». Prima di questo torneo non aveva mai vinto una partita a Roma. Le sue statistiche su terra sono terrificanti, almeno se consideriamo che stiamo parlando di uno dei migliori giocatori al mondo: vincitore Slam, ex numero uno della classifica ATP. «Di solito il mio giro Vaticano e Colosseo me lo faccio dopo aver perso» aveva detto in conferenza qualche giorno fa. Su terra Medvedev ha vinto il 64% di partite, più del 10% in meno rispetto al cemento. Meno anche rispetto all'erba. In più, ha sempre giocato poco. Quando ci si sposta a giocare nel caldo europeo, in quei circoli belle époque che inaugurano la stagione su terra, di solito Medvedev va in letargo. Dal 2017 in poi, esclusa questa stagione, su terra ha vinto 17 partite e ne ha perse 21. Il suo odio verso la terra negli scorsi anni è stato chiaro ed esplicito: «Questa è la peggior superficie per giocare a tennis. A meno che non ti piaccia sporcarti come un cane» aveva detto. Chissà perché quando si parla male delle superfici bisogna per forza citare gli animali. Altre volte ha citato argomenti capricciosi: «Non mi piace per niente la terra rossa c'è sempre un brutto rimbalzo». Poi aveva ammesso difficoltà tecniche: «I miei colpi e il mio movimento non funzionano». Era strano sentire un giocatore di alto livello parlare con un’antipatia così spietata verso una superficie. Siamo in un’epoca di universalismo tennistico e questo tipo di argomentazioni suonano vintage, rimandano agli anni ’80 o ’90, quando la reale differenza tra superfici era più marcata. Venendo a Roma, però, si sentiva diverso. «Odiavo la terra, ma venendo qui ho detto al mio allenatore: non so cosa sta succedendo ma mi sento benissimo». Medvedev parla come se fosse stato punto da un ragno radioattivo con la testa stempiata di Munster, che gli ha insegnato all’improvviso il gioco su terra. Da quel momento è diventato “Clayvedev”, fiera medievale capace di rendere efficace sul rosso il tennis sghembo di Daniil. Per tutto il torneo è sembrato stupito di sé stesso, mentre si liberava di avversari più deboli senza problemi (4 game lasciati al povero Hanfmann, new sensation del torneo) e poi di altri avversari teoricamente più quotati con una certa autorevolezza. Ha l’aria di uno che si è messo a fare un lavoro non suo, per obbligo più che per desiderio, ritrovandosi però a essere uno dei migliori al mondo a farlo. Perché vincere il 1000 di Roma significa questo: essere tra i migliori giocatori su terra al mondo. Perché battere talenti assoluti della superficie come Tsitsipas, Zverev o Rune significa questo: essere tra i migliori. Non è semplice dire cosa del tennis di Medvedev non funzionava su terra. O meglio, è semplice, ce lo ripetiamo da qualche anno: gioca piatto, senza rotazioni, senza variazioni sempre molto premiate dalla terra. Ha il polso duro, non esegue bene nessun colpo da specialisti (kick, palle corte, rovescio in back). Eppure niente di tutto questo poteva giustificare la scarsità dei suoi risultati: il suo gioco c’era. Almeno per piazzarsi bene. Proprio per questo non è semplice dire cosa sia cambiato. Dei piccoli miglioramenti tecnici ci sono stati. Lui stesso ha detto di essersi allenato di più, e meglio. Ha imparato a scivolare, e sappiamo quanto sia difficile da imparare per chi non è nativo di quella superficie, visto che cambia tutto il gioco di appoggi. «Dopo la sconfitta a Madrid, mi sono allenato un paio di giorni e ho provato a concentrarmi molto sulla scivolata e sul movimento e mi sento migliorato». E sappiamo anche quanto sia essenziale la capacità di spostamento per Medvedev, a livello tecnico e tattico.

In questo scambio si muove benissimo, per esempio.

Ha migliorato l’accordatura della racchetta e le scarpe (bisognava arrivare a 27 anni per capire come accordare la racchetta su terra?). E per quanto riconosciamo come i dettagli segnino la differenza a certi livelli, possono bastare davvero questi piccoli accorgimenti? L’impressione è che Medvedev abbia semplicemente trovato la voglia di giocare su terra. Mi rendo conto: è semplicistico, però bisogna anche aver presente quanto cerebrale sia il gioco di Medvedev. Quanto dipenda dalla straordinaria applicazione intellettuale. Mettendosi sul fondo, vicino ai cartelloni, con grande pazienza, si è messo a scambiare un punto alla volta. I suoi posizionamenti in campo sono talvolta eccentrici, spesso esageratamente distanti dalla riga. Lo sono su cemento, e la terra asseconda ancora di più questa sua inclinazione. Il canale Twitter degli Internazionali (una delle poche cose fatte bene dagli Internazionali) ha creato un trend sulle sue posizioni in risposta. In una foto la linea di fondo è vuota - Medvedev è ancora più arretrato.

Con l’insolita pioggia di questi giorni i campi di Roma si sono appesantiti e rallentati. Il tennis è diventato uno sport estremamente compassato, i colpi - anche quelli tirati con grande potenza - frenano quando toccano terra e trovare vincenti diventa un’impresa disperata. Gli scambi si allungano e prendono la forma di sottili giochi psicologici a chi sbaglia per primo. L’umidità e il fresco hanno creato condizioni non troppo dissimili a quella strana edizione autunnale del Roland Garros del 2020. Dentro questa ragnatela, Medvedev è perfettamente a proprio agio. Lo è per paradosso, se consideriamo quanto abbia bisogno della velocità delle superficie. Lui però sembra aver accettato tutto con un certo stoicismo: gioca dietro e starebbe a palleggiare tranquillamente anche per venti minuti consecutivi. Atleticamente non sembra poter mai perdere brillantezza. Su terra il suo tennis assume una postura più conservativa. Non ci sono molti momenti di furia in cui la partita scivola, come ama fare su cemento. E allora è un gioco che diventa ancora più mentale, con un tergicristallo a tratti meditativo, sempre ben distante dalla riga di fondo e i limiti spaziali del campo sollecitati fino all’ultimo millimetro. «Vorrei che i campi fossero più lunghi di 10 metri!» ha detto senza ritegno nelle interviste. Contro la pazienza inscalfibile del russo Rune in finale ha perso le misure. Il suo tennis su terra è migliore di quello di Medvedev, o comunque lo sembra. Avere più soluzioni, però, può essere un problema. Nonostante sia un piccolo prodigio tattico se consideriamo la sua età, Rune deve ancora capire a fondo come utilizzare la vastità del suo repertorio tecnico. Non è un giocatore a cui piace solo scambiare, colpire, sentire la palla. Nelle sue partite mette sempre grande applicazione strategica. Contro Medvedev, che è il re degli strateghi, ha funzionato poco. La ricetta è sempre quella: Medvedev si mette lì a palleggiare, non sbaglia niente - nelle esecuzioni ma soprattutto nei pensieri - e restituisce questa sensazione di calma introspettiva, di musica ambient, di asmr biomeccanico, che di solito appartiene alla fase del palleggio non a quella del match. A volte, così all’improvviso, Medvedev attacca, sorprendentemente aggressivo. E di solito quando attacca il punto lo vince. Fa così anche su cemento, anche se in modo più sottile e meno didascalico. Su terra alcuni punti sembra affrontarli con straordinaria passività (che è una finta passività, naturalmente, che è una delle cose più difficili da affrontare). Rune è andato in confusione e ha perso in due set nonostante nel secondo sia stato per due volte avanti di un break. In entrambi quei break (uno addirittura a 0) Rune è sembrato superiore, persino dominante. Ma era Medvedev a essersi sgonfiato: questo tennis su terra gli richiede un’eccezionale concentrazione. E a volte questo gli causa dei passaggi a vuoto in cui si sgonfia, sbaglia tutto, è fuori fuoco. Ha avuto due passaggi a vuoto nel secondo set, poi è tornato duro e concentrato. Come ha spiegato ai microfoni, dove non è mai banale, su cemento può vincere anche quando il suo tennis non è fluido e non è al 100%, su terra non può permetterselo. Durante il torneo il russo è stato vivo e polemico come nelle sue migliori settimane. L’impressione è che quando si mette a discutere col pubblico - come è successo quando contro Zverev - o con gli avversari - come è successo con Tsitsipas - allora Medvedev sia affilato al massimo e possa davvero vincere. Dopo il matchpoint della semifinale con Tsitsipas si è messo a ballare in modo goffo e stralunato. Non è la prima volta che si inventa un’esultanza stramba, ma stavolta era fatta per alimentare la feud col greco, forse la più dura del circuito. Medvedev non fa veramente niente di non interessante. È strana quindi la poca considerazione di cui gode nei discorsi sull’immaginario tennistico. (A Roma non è praticamente mai stato fatto giocare sul centrale). Su quel balletto ha dichiarato con la faccia di bronzo: «Quando la faccio è come essere in discoteca completamente ubriaco quando balli. E poi ho molti amici così: ti senti come se fossi il Dio della danza sul palo poi quando ti mostrano il video ti rendi conto che non era la cosa giusta. Non so come sia andata, ma sono solo felice della prima finale sulla terra rossa e aspetto solo domani». Medvedev arriva al Roland Garros dentro questa strana bolla mentale per cui è uno dei migliori giocatori al mondo, ma qualsiasi buon risultato su terra sembra un miracolo. Eppure Roma ci ha restituito questo strano giocatore di alto livello, che vediamo su terra come quando vediamo le anatre uscire dall’acqua, goffe, impacciate, fuori dal loro elemento. La sua è stata una specie di accettazione mentale del tennis su terra: non solo della sua lentezza (una delle cose più avverse a Medvedev), ma anche della sua imprevedibilità. In fondo è una natura del tennis, quello di essere variabile, di dipendere dalle condizioni ambientali più di ogni altro sport. Dice che non è nato un amore tra lui e la terra, ma che almeno ora sono amici.

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