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Medvedev ha divorato le ATP Finals 2020
23 nov 2020
23 nov 2020
A chiudere una stagione strana è stato un giocatore strano.
(articolo)
7 min
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Le ATP Finals arrivavano a concludere questa mini-stagione tennistica post-lockdown. Una stagione difficile da decifrare, in cui il tennis si è scoperto un po’ più giovane e imprevedibile. Pronto finalmente a scrivere nuove storie pur dentro uno scenario distopico, tra misure sanitarie, spalti vuoti e tennisti che lottano per la propria sopravvivenza.

Dopo tanta attesa i giovani, o più o meno giovani, hanno cominciato a rimuovere i monumenti dal loro piedistallo. Federer fuori dai radar, pronto a ricomparire sul prato di Wimbledon nel 2021 come in un film di Soderbergh; Djokovic e Nadal in ottima forma, eppure meno vincenti. Jannik Sinner è diventato il primo 2001 a vincere un torneo ATP, mentre Dominic Thiem, dopo una lunga incubazione, è riuscito a vincere agli US Open il suo primo Slam. Ha trionfato in una finale contro Zverev giocata col polso tremulo, dentro una cappa di ansia e angoscia che raccontava la disabutine a vincere.

Una mini-stagione, quindi, caratterizzata dalla discontinuità, e coronata dal torneo che di recente è stato all’avanguardia in questo senso. Dal 2015 le ATP Finals propongono un vincitore diverso, ed è il palcoscenico in cui di solito i giovani con la fama di perdenti cronici rompono il ghiaccio. Alle ATP Finals ha vinto il suo primo torneo importante Grigor Dimitrov, poi Alexander Zverev e lo scorso anno Stefanos Tsitsipas, in finale su Thiem. Del resto il contesto del torneo favorisce l’inatteso: il cemento molto veloce, i campi indoor, condizioni poco amate dai big-3, e in particolare da Rafa Nadal, che infatti a Londra non ha mai vinto. Con la vittoria di ieri di Daniil Medvedev possiamo parlare di sorpresa solo a metà; perché se è vero che è stata la sua prima grande vittoria in carriera, è arrivata in condizioni teoricamente ideali per il suo tennis anomalo, che si nutre di contesti veloci e infidi.

In ogni caso partiva sfavorito. Dominic Thiem era il campione in carica degli US Open e sembrava aver raggiunto un nuovo livello di consapevolezza nel suo travagliato percorso. Aveva già battuto Medvedev tre volte su quattro, l’ultima proprio a Flushing Meadows. Una vittoria in tre set netta nel punteggio, meno nell’equilibrio della partita, ma in cui Thiem era sembrato semplicemente più avanti del suo avversario. Più strutturato nel gioco, più maturo mentalmente. Sul 3-2 del primo set Medvedev ha chiamato un challenge in ritardo, l’arbitro glielo ha negato; lui allora ha attraversato la rete cercando il segno, l’arbitro lo ha ammonito; lui si è avvicinato e gli ha detto che gli US Open sono una barzelletta: «Voi in prima fila non fate mai niente? E perché sono stato ammonito? Per aver attraversato la rete? Ah mi dispiace credo di aver ucciso qualcuno». Da quel momento ha continuato a lasciar andare break point e racchette, fino a perdere la partita.

L’episodio aveva chiuso malamente uno slam giocato bene, al termine di un inizio 2020 negativo. Medvedev era distante dal livello di gioco toccato lo scorso anno, quando si era rivelato al mondo perdendo in finale agli US Open contro Nadal. Una delle più belle partite degli ultimi anni, lui uno dei più bei sconfitti. Dopo una carriera juniores interessante ma non esaltante, aveva distrutto la stagione americana sul cemento con un tennis equivoco. Medvedev altissimo ma agile, pochi muscoli ma piedi veloci; Medvedev dal servizio terrificante ma dal gioco difensivo. Ieratico nel suo tergicristallo, quando lascia al suo avversario l’illusione del controllo prima di colpirlo in modo sempre un po’ inatteso. Un ragno che pazientemente tesse la sua tela invisibile attorno alle prede.

In campo ha una presenza spigolosa. Ha un modo freddo e provocatorio di innervosirsi, o di essere semplicemente scocciato. Al punto che sembra esercitare solo un’altra forma di manipolazione, un altro lato del suo gioco sgraziato ma sempre efficace.

Thiem, quindi, lo aveva battuto tre volte su quattro, e veniva da una convincente prova di forza in semifinale contro Djokovic. Una partita in cui nei punti decisivi era riuscito a prendere il coraggio a due mani. Ma nessuno vuole giocare contro Medvedev, specie sul cemento indoor. Prima di affrontarlo agli US Open Thiem aveva dichiarato che, al massimo della forma, il russo può raggiungere il livello dei big-3. E Medvedev in effetti sembrava al massimo della forma. Aveva vinto Parigi-Bercy e in semifinale a Londra era riuscito a prendersi la rivincita su Nadal rimontandolo due volte, vincendo il game in cui lo spagnolo serviva per la partita. In quanti ci sono riusciti in carriera, in un contesto così grande?

Guardiamo il tennis anche per il contrasto di stili, e quello tra Thiem e Medvedev è uno tra i più sottovalutati. Quello tra la forza e la fluidità - tra un tennista, Thiem, che genera forza ed energia sulla palla da solo, e l’altro che prova a sfruttarla a proprio vantaggio attraverso un gioco furbo e di contrattacco. Medvedev, come un lottatore di ju-jitsu, si appoggia sulla forza con cui l’avversario prova a sovrastarlo per rigirarla contro di lui. Uno stile peculiare, che mette i tennisti dall’altra parte della rete di fronte a domande che altri non pongono.

Thiem ha provato a rifiutare questo contesto.

Hanno cominciato la partita sbracciando, ma poi si sono calmati. E più si calmavano e più diventavano nervosi. Forse per strategismo, oppure per tensione, Thiem ha iniziato a rallentare, a rifiutare il ritmo. Il back di rovescio, sempre un po’ goffo e improvvisato, ha dominato gli scambi. Lento quello di Medvedev, lentissimo quello di Thiem. L’austriaco forse temeva la capacità di contrattacco di Medvedev, la sua abilità nel vanificare gli sforzi offensivi dell’avversario. Così ha cercato di tenerlo ai margini, tattici e mentali, della partita.

La sfida si è fatta massimamente psicologica e tesa, e Thiem forse pensava di accompagnarla così verso la fine. Sbagliando meno, vincendo i punti decisivi, provando a rimanere giusto un po’ più calmo del suo avversario. In effetti, dopo un primo set vinto in modo tranquillo, la partita sembrava indirizzata. Thiem ha avuto più occasioni, più palle break e sembrava dare una flebile sensazione di controllo. Al tie break del secondo set, però, il ritmo si è alzato, il campo si è aperto, e quando la partita ha iniziato a giocarsi sugli angoli, Medvedev si è messo al comando.

Il russo ha vinto il secondo set, e ha cominciato ad accumulare fiducia, entrando sotto pelle a un avversario che non brilla certo per lucidità. La partita ha detto molto sulla difficoltà strategica di Thiem, che pur avendo un talento e una qualità di colpi che gli permetterebbero di dominare il gioco, preferisce spesso adattarsi all’avversario. Medvedev ha preso confidenza, e ha iniziato a giocare un tennis sempre più ambiguo. Mentre il rendimento al servizio di Thiem calava, il suo saliva. Quando non riusciva a tirare una delle sue prime mostruose, scendeva a rete sulla seconda, sempre un po’ sgraziato, come uscendo dall’acqua coi vestiti bagnati. Eppure è sceso a rete 33 volte, e ha ottenuto 25 punti.

Il quinto game del terzo set è stato quello decisivo, quello in cui Medvedev è riuscito a strappare il servizio a Thiem dopo nove tentativi. Un game lungo, chiuso dal russo con una discesa a rete in cui ha messo persino una punta di stile, con una volèe di rovescio profonda. Nel terzo set ha perso appena 7 punti al servizio, senza mai dare al suo avversario l’impressione di minacciarlo.

Nelle scorse finals Medvedev era tornato a casa ai gironi dopo tre sconfitte. Quest’anno ha vinto tutte le sue cinque partite, e ha battuto i migliori 3 giocatori al mondo: Djokovic, Nadal e Thiem. Nella storia del tennis era successo solo a Federer, Becker e Nalbandian, ma non certo nel contesto ipercompetitivo delle Finals. Nel torneo ha mostrato i soliti momenti di buio e fragilità, ma anche fasi di brillantezza che in pochi riescono a toccare. In questo torneo è sembrato davvero il miglior tennista al mondo, se ci dimentichiamo per un attimo delle condizioni uniche in cui si giocano le Finals. In un tennis che richiede ai suoi interpreti la massima universalità, Medvedev rimane uno dei pochi specialisti. Le possibilità di ottenere grandi risultati fuori dai campi di cemento, almeno oggi, non sembrano molte. Passano da aggiustamenti nel suo stile che al momento non sembra neanche così interessato ad affrontare.

Ai microfoni Medvedev è restato nel personaggio, «Non festeggio le mie vittorie, è la mia cosa». Una conclusione appropriata per il 2020, una delle annate più oscure e difficili per il tennis. Dopo il matchpoint ha celebrato mostrando il solito disincanto al mondo: ha tirato una pallina verso i teloni e ha imbronciato la bocca. Ieri come oggi, not impressed.

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