Dove eravamo, che stavamo facendo, di così importante, in quei sei-sette mesi dell’anno 2000 in cui la carriera di Patrick M’Boma, una carriera assurdamente breve, e piuttosto bizzarra, si è raggrumata in un ammasso di epica? Perché, allora, eravamo più preoccupati del millenium bug che non di quanto stessimo sottovalutando questo centravanti camerunense? Perché non ci siamo stupiti, o scandalizzati, quando non abbiamo letto che Barcellona, Manchester United, Juventus o Inter lo stessero cercando?
Oggi possiamo riconoscerlo pacificamente: nel 2000 Patrick M’Boma ha fatto di tutto per passeggiare nei nostri discorsi, senza però riuscirci granché, non quanto avrebbe dovuto, almeno. Un’impressionante incetta di premi collettivi e individuali non è stata sufficiente affinché iscrivessimo il suo nome, prepotente, nel firmamento della contemporaneità calcistica. Per quale ragione? Dipenderà dal fatto che la sua parabola professionistica è stata perlopiù fuori dai radar di quello che chissà ingenerosamente chiamiamo “calcio che conta”?
Coppa d’Africa, Medaglia d’Oro Olimpica, Ballon d’Or africano e BBC African Player of the Year: tre dei sette riconoscimenti ottenuti in carriera, Patrick M’Boma li ha raccolti nell’arco di sette mesi, nel suo annus mirabilis. Non ci bastava? In pochi hanno fatto meglio. Alla fine della fiera, questo exploit ha finito per non aiutarci a interpretarlo, a capire se profondamente, essenzialmente, sia stato un campione incompreso, sottovalutato - qualcosa a metà strada tra l’erede di Roger Milla e il mentore, o lo spin-off, di Samuel Eto’o - o una supernova, una congiuntura astrale.
Per tutto questo, e per la velocità con cui si è rivelato, Patrick M’Boma è un enigma irrisolto, e oggi potremmo dirci che sì, certo, sono state le sue scelte sbagliate a non farlo esplodere davvero. Che sia per questo che il suo nome ci trasmette un senso di nostalgico benessere, insieme all’intima soddisfazione di averlo osservato con le maglie del Cagliari, o del Parma, a barcamenarsi in una provincia ambiziosa, ma colpevole, almeno di non essere mai stata ambiziosa quanto lui?
Ho provato a rinfrescarmi la memoria su chi fosse Patrick M’Boma. Ci ho provato attraverso alcuni dei suoi gol: devo dire che non è stato facilissimo, perché non esistono poi molte testimonianze, in rete non si trova nessuna delle sue giocate in Premier League, ad esempio, dove per un semestre ha vestito la maglia del Sunderland, né un fotogramma che sia uno di qualche giocata con la maglia dell’Al-Ittihad di Tripoli (destinazione piuttosto significativa, al contrario, di quanto contorte possano essere state alcune sue scelte di carriera).
I gol, dicevamo. Qualcuno c’è. Li ho catalogati non per tipologia, né per livello di difficoltà, ma in ordine cronologico: quella che segue è una tassonomia di gol che siano in qualche modo identificabili come i puntelli della sua carriera. Alcuni, devo anticipare, sono sovraesposti: in altre parole, l’eredità di Patrick M’Boma sembra essere più legata a giocate estemporanee che a numeri significativi del suo modo di stare in campo. Ma fatemici arrivare passo passo. Non siete curiosi di rivederlo in azione?
1) Il primo gol da professionista, con il PSG
È il 1994, il PSG affronta il VAC Fc, in Ungheria, in una gara dei preliminari di Champions League. Un attaccante del PSG pressa il difensore centrale ungherese che si incarta in fase di costruzione, intercetta il suo passaggio e la palla schizza verso il numero nove parigino. Il controllo orientato, di sinistro, con cui si aggiusta il pallone è meno semplice di quello che sembra: con un ulteriore tocco di sinistro, ancora più educato, l’andamento della palla è definitivamente ammaestrato, e ora non c’è proprio più nulla che possa frapporsi a un tiro secco, a incrociare, di destro, un tiro potente e un pizzico arrogante. Il tiro con cui arriva il primo gol da professionista di Patrick Mboma.
In quel momento M’Boma ha già 24 anni, quindi non è proprio un esordiente di primo pelo. Viene da una stagione in prestito allo Châteauroux, in National, dove si è rifugiato visto che Luis Fernandez, il tecnico del PSG, sembrava non vederlo. «Mi ha bruciato la carriera», dirà poi, «mi diceva di prendere esempio da Pascal Nouma quando in squadra c’erano Ginola e Weah!».
Figlio di un ex portiere, cresciuto a Bondy en Seine Saint-Denis a giocare in strada, M’Boma non ha avuto l’ascesa eclatante dell’enfant prodige. Anche quando si allenava con le giovanili del PSG giocava, nel weekend, con lo Stade de l’Est, e in generale, dai suoi racconti, si capisce che non avesse molta voglia di uscire dalla sua zona di comfort. Ha appreso di essere entrato in prima squadra, nel PSG, con una telefonata fatta da una cabina telefonica solo grazie a un amico che gli ha prestato i soldi e l’ha convinto a chiamare, perché fosse stato per lui sarebbe rimasto per sempre allo Stade de l’Est.
Non credo si trattasse di scarsa considerazione di sé, quanto piuttosto di onestà intellettuale: di fronte a lui, in rosa, M’Boma aveva Weah, Ginola, ma anche Amara Simba e François Calderaro, una serie di bocche da fuoco con le quali non sarebbe stato facile competere. Ambizioso non lo è mai stato, M’Boma. Però era furbo, e intelligente. Bravo nel calcolare ogni mossa. Per questo accetterà di trasferirsi al Metz, dove c’erano già i suoi connazionali Songo’o e Song, dove giovani e reietti delle grandi squadre hanno sempre trovato un approdo sicuro per provare a esprimersi, e dove finirà per vincere una Coppa di Lega.
M’Boma si è sempre sentito diverso. Forse è per questo che nel Luglio del ‘97, anziché mettersi in competizione al PSG, ha deciso di trasvolare l’emisfero australe e trasferirsi in Giappone, a Osaka, per giocare con il Gamba.
2) Sovraesposizione di Patrick M’Boma, Vol. 1. in Giappone, con il Gamba Osaka
E così, a ventisette anni, arrivi nella città con la ruota panoramica più grande del Giappone, con un acquario stratosferico e una brezza libertina che soffia per le vie caotiche del centro.
Osaka è una città in cui ogni aspetto viene esasperato, condotto all’estremo: M’Boma deve sentirsi estremamente a suo agio perché inscena una stagione ridicola nei numeri, con 25 gol e 15 assist in 28 partite. M’Boma è anche il primo giocatore a mettere a segno, nella storia della J.League, una tripletta. Lo fa contro lo Shonan Bellmare - in cui gioca un diciannovenne promettente che risponde al nome di Hidetoshi Nakata, ed è proprio in quella partita che M’Boma segna uno dei gol più famosi della sua carriera, questo:
Quando riceve il pallone, defilato sulla fascia sinistra, ci sono sei-dico-sei giocatori dello Shonan in assetto difensivo. M’Boma converge, e in aperta contraddizione con il celebre verso del Vangelo di Matteo dimostra come per la cruna dell’ago possa passare non solo un cammello, ma addirittura un bisonte inferocito, o un numero nove con molta fantasia. Da questo punto in poi l’azione si eleva a un livello di surrealtà montante. Il pallone, imbizzarrito, si alza, e M’Boma lo asseconda con un tocco di destro: ora è spalle alla porta, ed è il momento in cui ha forse l’intuizione più geniale, vale a dire quella di prolungare ancora il palleggio con una mezza sforbiciata di sinistro. Il numero 4 dello Shonan, con prossemica da film bollywoodiano, si guarda intorno spaesato, allarga le braccia, e si perde forse l’istante più iconico, quello cioè in cui M’Boma, al quale fino a lì è riuscito l’impossibile, deve aver pensato che massì, perché non provare a tirare al volo, di sinistro, a incrociare? L’impatto con la sfera è perfetto, e la rete si gonfia alla sinistra del portiere. Per tutto il tempo dell’azione M’Boma trasmette, allo stesso tempo, un senso di fluttuante precarietà ma anche di lucida determinazione: sembra stia ballando. Ballando un mambo. Dopotutto la parola M’Boma cos’è se non l'anagramma della parola mambo?
3) All’angolino con il destro, all’angolino con il sinistro. Contro lo Zimbabwe nel 1997
M’Boma è stato convocato per la prima volta in Nazionale nel 1994, in piena preparazione al Mondiale statunitense. Henri Michel lo ha fatto allenare con il resto dei preconvocati, e quando M’fede e Ndip sono stati messi fuori rosa per “prestazioni approssimative” sembrava proprio che potesse far parte della spedizione negli States. Alla fine, invece, i due titolari sono stati reintegrati e a M’Boma è toccato aspettare tre anni prima di tornare a indossare la maglia dei Leoni Indomabili, quando le fiamme con cui stava mettendo a ferro e fuoco il Giappone si sono fatte troppo vistose per essere ignorate.
Nell’agosto del 1997, durante una gara di qualificazione ai Mondiali di Francia, M’Boma affossa lo Zimbabwe con queste due schicchere (ok, qua ho barato: i gol sono due):
M’Boma riesce a mettere allo stesso angolino due tiri diversissimi tra loro per la preparazione, ma identici per intensità e grado con cui fendono l’aria.
Del primo gol colpisce l’agilità con cui controlla una palla pazza che "strumpallazza", come si dice a Roma, facendo passare per voluto un controllo probabilmente casuale, del secondo la disinvoltura con cui carica il destro, tecnicamente il suo piede debole, come se fosse una carica di mortaio.
Una madeleine che ora mi riappare nitida, di M’Boma, è questa sua capacità di concludere con molta dignità, con tiri potentissimi e angolati, azioni in cui sembrava sempre lì, a un passo dal perdere grip col terreno, con la palla, con il contesto.
Potrebbe emergere la sensazione che fosse un funambolo un po’ fumoso, e invece M’Boma in campo sapeva anche essere essenziale, tanto che Claude Le Roy lo utilizzò, nelle tre partite della sfortunata spedizione in terra francese, come centrocampista difensivo al posto dell’infortunato Marc-Vivien Foe.
Ciononostante M’Boma troverà anche il modo di segnare un gol, di testa, contro il Cile, con uno stacco imperioso, elegante, autoritario.
4) Come una saetta fuori contesto, con il Cagliari
Trasferirsi in Giappone, alla fine della fiera, non è stata poi un’idea così malvagia per M’Boma, dal momento che qualcuno, per conto del Cagliari, si è trovato a seguire la J.League ed è impazzito di fronte alla rivelazione di questo attaccante comparso dal nulla, emerso dal sottosuolo di un calcio marginale.
M’Boma arriva in Sardegna carico di aspettative ma non riesce ad affermarsi all’interno dello spogliatoio. Si sente poco rispettato, non si sente riconosciuto. Ad appalesarsi, in effetti, ci mette un po’: i primi gol arrivano tutti insieme, una tripletta nel marzo del 1999, contro l’Empoli.
Questo gol segnato contro il Torino arriva in realtà nella sua seconda stagione cagliaritana, quella del riconoscimento pieno. Dopo aver spizzato un lancio spiovente, chiede la triangolazione al compagno che gli restituisce un pallone perfetto. M’Boma lo controlla con il destro ma inscena una specie di doppio passo che ha più o meno lo stesso effetto di quando Val Kilmer, in Fast & Furious, spinge il bottone che aziona la bombola del NOS. Il ritmo che imprime all’azione diventa allora così vorticoso che ancora una volta la maniera migliore per risolverla sembra essere quella di allungare la gamba sinistra e anticipare il portiere, prima che la sfera schizzi via definitivamente.
Quando parlo di rapidità d’esecuzione, in M’Boma, parlo di queste fiammate con cui sbroglia situazioni complicatissime, con cui si manifesta spuntando fuori dal bel mezzo del nulla, come in questa partita contro la Salernitana o qua, dove riacciuffa a una manciata di minuti dalla fine un risultato che sembrava compromettere le possibilità, per il Camerun, di arrivare alla finale per l’oro alle Olimpiadi di Sydney (oro che invece i Leoni Indomabili porteranno a Yaoundé, anche grazie alle quattro reti di M’Boma nelle sei partite del torneo).
Oppure di azioni come questa, in cui arpiona un gran pallone e si invola in solitaria, salvo veder rimbalzare il pallonetto sulla traversa. Che è poi, un po’, una metafora cristallina dell’incompiutezza di M’Boma.
A Cagliari gli vogliono ancora un bene dell’anima, e non mi sorprende per niente che a lui sia dedicata una delle canzoni più appassionanti tra quelle contenute all’interno del cd “Cuori Rossoblù - Canzoni a suon di goals”, una canzone in cui la nenia da griot (come vengono chiamati i cantori orali nei paesi dell'Africa occidentale) si sposa alla perfezione con il coro polifonico tipico sardo.
Quando si dice le affinità elettive.
5) Su punizione. Contro il Perugia, ma soprattutto contro il Brasile.
Se siete fan dei gol su punizione, eccone due particolarmente significativi.
Il primo, questo contro il Perugia, è testimonianza secondo me di almeno due fatti incontrovertibili, e cioè che:
il sinistro di M’Boma non era solo violento, o arguto, ma pure decisamente sensibile;
non sottovaluterei il carisma di M’Boma, che strappa l’onere di calciare a Fabian O’Neill, uno che le punizioni le tirava in maniera magistrale e in quanto a personalità fagocitante, beh, aveva pochi rivali.
Il secondo, d’altra parte, è questo contro il Brasile:
Sono i quarti di finale del torneo Olimpico. Il Camerun non è tra le favorite, all’inizio della competizione. Ma l’affiatamento tra i giocatori - con M’Boma a fare da chioccia a una nidiata di talenti come Geremi, Wome e Eto’o - dà vita a un amalgama in qualche modo magico.
I "Leoni Indomabili" sconfiggono Stati Uniti, Repubblica Ceca, e ai quarti si ritrovano di fronte al Brasile di Ronaldinho, del quale il Camerun si sbarazzerà ai rigori. Identica sorte toccherà a Cile e Spagna, ultimo ostacolo prima di una medaglia d’oro storica.
M’Boma sembra sul punto di spiccare definitivamente il volo: al ritorno dall’Australia lo aspetta il Parma, che orfano di Crespo ha puntato su di lui per affiancare Savo Milosevic. Lo ha pagato 12 miliardi, un’enormità secondo l’Inter (ah, vedi che l’avevano cercato!), che aveva però abbandonato la trattativa poco convinta di voler spendere così tanto per una punta di riserva (ah, ecco).
6) Il gol di M’Boma che probabilmente troverete in Internet cercando “gol M’Boma”
Tre giorni dopo aver conquistato la medaglia d’oro a Sydney, una coincidenza piuttosto eloquente di quanto la Federazione Calcistica camerunense confidasse nel percorso della sua selezione olimpica, i "Leoni Indomabili" sfidano la Francia a Parigi.
Se a Patrick M’Boma avessero detto che nel giro di meno di una settimana avrebbe conquistato il titolo più prestigioso nella storia del calcio del suo Paese e segnato una delle reti più belle mai segnate allo Stade de France... insomma, se lo avessero detto a voi ci avreste creduto?
Il dettaglio che l’assist sia la rimessa laterale lunghissima, esasperantemente lunga di Pierre Nlend Wome rende il tutto soltanto più scintillante. Il commentatore usa almeno due aggettivi, “magique”, “stratospherique”, che non fanno solo rima con il nome di M’Boma, Patrick, ma lo completano, almeno in quella virgola spazio-temporale.
7) Il gol più bello di M’Boma è, probabilmente, quello che non abbiamo mai visto
La rovesciata di Parigi poteva essere il preludio all’esplosione di M’Boma? Sarebbe stata plausibile pensarlo, anche perché la stagione 00/01, la prima con la maglia del Parma, inizia in maniera piuttosto sfavillante. Il primo novembre, alla quarta giornata, ad esempio, M’Boma segna una doppietta al Milan, semplicemente continuando a comportarsi da M’Boma.
Il primo gol è la classica combinazione allungo in progressione + distensione della gamba con cui anticipa, prendendolo in controtempo, il portiere:
Il secondo, invece, uno stacco di testa in anticipo sul marcatore, su assist deliziosissimo. Era un prerequisito essenziale, per l’exploit delle skills di M’Boma, quello di essere innescato da piedi visionari, come quelli O’Neill o Micoud. In questo caso, invece, di Sergio Conceiçao.
In quella serata M’Boma segna praticamente la metà delle reti che metterà a segno con il Parma, in totale 5 in due annate: le ceneri di uno spettacolo pirotecnico in potenza si bagneranno, diluite in una serie prolungata di assenze - anche per la Coppa d’Africa giocata in Mali, che M’Boma vincerà con il Camerun.
E nel gennaio del 2002 Patrick accetterà di trasferirsi al Sunderland, in un contesto potenzialmente congeniale alle sue caratteristiche - la Premier League - ma essenzialmente inadatto alle sue caratteristiche - il Sunderland di Peter Reid.
Probabilmente, se esiste un buco nero nel quale M’Boma è destinato a essere risucchiato, deve trovarsi nascosto da qualche parte tra la nebbia del Tyne and Wear e le propaggini metropolitane di Tokyo.
Nell’estate del 2002 M’Boma torna in Giappone, dove è sbocciata la sua carriera, per i Mondiali. Il Camerun viene eliminato nella fase a gironi, e qualche giorno dopo il suo rientro, Patrick viene contattato da un collaboratore di Saadi Gheddafi. Il figlio del Colonnello, leader de facto della Libia, si sa, ha una grande passione per il calcio: possiede una squadra, che presiede e per la quale indossa la maglia numero 9, l’Al-Ittihad. Ha già convinto Antonello Cuccureddu a sedere sulla panchina e Emiliano Bigica a giocare nell’imprevedibile campionato libico. In quel momento, Saadi oltre a nutrire velleità da centravanti (e presiedere la Federazione calcistica libica) vuole anche candidarsi alla presidenza della CAF, la Confederazione africana.
M’Boma non sa molto della Libia, se non che sugli spalti il pubblico sa essere molto ostile: una volta, impegnato in una gara di qualificazione ai Mondiali nippo-coreani (in cui con una tripletta aveva guidato il Camerun alla vittoria), si era visto lanciare contro, rientrando agli spogliatoi, un disco per freni. Insomma, di fronte all’offerta M’Boma ha la reazione più furba (pensa lui): sparare alto sulle cifre dell’ingaggio, così da dissuadere. Se non fosse che l’Al-Ittihad, o dovremmo meglio dire Saadi, accettano, e M’Boma si ritrova in Libia, dove nel giro di qualche mese realizza di essersi ficcato in un bel cul-de-sac. I soldi promessi non arrivano, al contrario delle prime minacce nei confronti della moglie, di origini ebraiche. Il passaporto gli viene confiscato.
La principale preoccupazione di M’Boma, a questo punto, diventa quella di riuscire a varcare i confini del Paese, per poi non metterci più piede. Ci riuscirà soltanto durante le vacanze di Natale.
Non sono certo che l’esperienza libica abbia in qualche modo influito psicologicamente su M’Boma (che comunque non tornerà mai più a giocare ad alti livelli, e terminerà la sua carriera in Giappone, ancora una volta, come a dare conclusione karmica all’ellissi inaugurata quindici anni prima), di certo sulla sua percezione, però, sì. Anche di sé stesso.
M’Boma si allontana gradualmente anche dalla Nazionale, a partire dal 2003, quando in disaccordo con la decisione federale di sospendere Wome, Etame e Kalla in procinto di partire per la Confederations Cup del 2003 si autoesclude dai "Leoni Indomabili", che arriveranno in finale di quell’edizione, resa tragica dalla morte in campo di Marc-Vivien Foé durante la semifinale. Tornerà soltanto nel 2004 per disputare la sua ultima Coppa d’Africa, riabilitato da «istruzioni del Capo di Stato», giusto in tempo per laurearsi capocannoniere con quattro reti. Alla fine della sua esperienza con il Camerun conterà 33 gol, e una ratio di gol per partita di 1,72.
Nel 2019, quando Clarence Seedorf è stato esonerato dal ruolo di CT del Camerun, Patrick M’Boma si è candidato per rimpiazzarlo. «Mi ha convinto Djamel Belmadi (l’allenatore dell’Algeria, NdR)», ha dichiarato. «Mi ha detto che non è così complicato come sembra». In una dichiarazione del genere, a pensarci bene, c’è tutto Patrick M’Boma: l’ambizione, la grazia leggera e naïf, la consapevolezza che una maniera per rimanere a galla la si trova sempre, mentre per rimanere nella storia, beh, per quello ci vuole anche un po’ di fortuna.
Alla fine, infatti, il Camerun è stato affidato a Toni Conceiçao.