Mancava solo un Camp Nou pieno di tifosi, per il resto la prima notte europea del 2021 ci ha ricordato cosa significhi giocare e quindi per noi spettatori guardare una partita di Champions League. La massima competizione europea ha la capacità unica di far brillare le stelle, o di farle cadere, e di rimettere le ambizioni delle squadre al loro posto, soprattutto in partite in cui si sfidano club che si sono incrociati talmente tante volte, e in occasioni così importanti, da essere diventati veri e propri rivali. In questo senso, l’ascesa del PSG all'élite del calcio europeo, iniziata nel 2011 dopo l'acquisizione della famiglia reale del Qatar, era forse inevitabile che si scontrasse con una delle grandi dell'ancien regime, potremmo definirlo così. È successo con il Barcellona, con cui tra campo e mercato non sono mancati gli scontri che tutti conosciamo: il clamoroso 6-1 del 2017, l'acquisto di Neymar a 222 milioni l’estate successiva sono solo i due esempi principali.
Se fino a ieri, però, la sfida si poteva definire equilibrata, forse l'ultima partita al Camp Nou ha cambiato qualcosa. Se ormai il PSG finalista in carica si è attestato come perenne contendente alla vittoria della Champions League con un gruppo pieno di talento nel picco della propria carriera, lo stesso non si può dire per il Barcellona, che sembra debba trovare ancora la rotta in quel processo di rinnovamento che sembra ancora lontano dall'essersi compiuto. Ha scritto Santiago Segurola su El País alla vigilia della partita, parlando del momento del Barcellona: «Nonostante la portata della sfida che rappresentava dirigere un Barça in rovina, Koeman ha lasciato la nazionale olandese ed è tornato. Mezza stagione la squadra è migliorata e [il suo lavoro, nda] ha aperto prospettive inaspettate». Se quello che ha scritto Segurola è sicuramente vero, è anche vero però che solo contro la Juventus all’andata il Barcellona di Koeman ha mostrato di poter essere competitivo contro una squadra di pari livello. Nelle altre partite ha fatto bene quando poteva dominare il contesto ed è naufragata invece quando tecnicamente non era possibile, esattamente come successo ieri contro la squadra di Pochettino.
Già sulla carta l’andata degli ottavi contro il PSG sembrava sbilanciata dalla parte dei parigini, che però dovevano fronteggiare le pesanti assenze di Neymar e Di Maria. Per provare a riequilibrare il piano tecnico della partita il Barcellona ha quindi forzato il ritorno di Piqué e Dest in difesa, una decisione che però si ritorcerà contro i blaugrana. Oggi si parla giustamente della contrapposizione tra il Barcellona in decadenza, ostaggio del passato rappresentato da Messi, e il PSG in ascesa, spinto dalla giovane stella Mbappé pronta a mangiarsi il mondo, ma c'è da dire che nella prima mezz'ora la partita è stata equilibrata e in realtà giocata su altri due giocatori che non si sono presi la copertina. E cioè Frenkie de Jong da una parte e Marco Verratti dall’altra, entrambi uomini simbolo della strategia dei due allenatori.
Inizialmente, infatti, la strategia di Koeman di liberare verticalmente de Jong è sembrata avere successo. Aiutato dalla capacità di Pedri di muoversi tra le linee e gestire il pallone, de Jong si è potuto muovere in avanti e compensare quindi la cronica mancanza di profondità centrale per il Barcellona, soprattutto nelle partite in cui non può controllare sempre il pallone e schiacciare gli avversari nella propria area. Con Messi e Griezmann che vengono a turno incontro per aiutare la manovra e Dembélé largo a destra per andare in isolamento sul lato debole, il tridente blaugrana non riesce a spingere indietro la linea e finisce per rendere piatta la manovra. In questo modo, il Barcellona fa grande fatica ad attaccare l'area e deve aspettare una giocata di Messi, come ad esempio il classico cambio di campo per Jordi Alba. In questo contesto, se da una parte la presenza di un giocatore intelligente come de Jong sulla trequarti aiuta la squadra nell'ultimo terzo di campo, dall'altra toglie l'olandese da quello che teoricamente sa fare meglio, ovvero partecipare alla costruzione della manovra. La coperta, insomma, è sempre troppo corta.
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Nella prima immagine un esempio della lettura di Frenkie de Jong che, notando lo spazio liberato dal movimento di Messi, lo attacca, senza però che il Barcellona riesca a servirlo. Nella seconda immagine, lo stesso tipo di azione porta al rigore procurato per via del fallo di Kurzawa.
Il gol del vantaggio Barcellona arriva al minuto 27 proprio su un movimento in verticale di de Jong, trovato dal lancio di Messi - una giocata che sta diventando tipica di questa stagione del Barcellona. Dopo il gol di Messi, però, il Barcellona ha deciso di abbassare i ritmi e provare a dominare l'avversario con il possesso. Una scelta che gli si ritorcerà contro perché a ritmi più bassi la capacità di gestire il pallone del PSG è risultata superiore, facendo emergere l'incredibile prestazione di Verratti.
Sale in cattedra Verratti
Arrivato solo poche settimane fa, Pochettino per forza di cose non ha potuto toccare più di tanto il PSG da un punto di vista tattico, anche perché molti dei suoi principi di gioco combaciano con quelli di Tuchel. Questo, però, non significa che la squadra parigina sia rimasta identica dopo l'arrivo del tecnico argentino. La sua mano si nota in alcuni piccoli accorgimenti sui singoli. Due che sono stati particolarmente evidenti nella partita di ieri sono stati la ricerca della verticalità per attivare Mbappé nella diagonale sinistra-centro e la decisione di spostare più in alto sul campo di Verratti, che adesso ha compiti più da rifinitore che da costruttore. La prima scelta, probabilmente, è stata forzata anche dall’assenza di Di Maria e soprattutto Neymar, che hanno portato il PSG ad accentrare il proprio gioco offensivo su Mbappé. La seconda, invece, è meno frutto delle contingenze e nasce dall'opportunità di sfruttare l’incapacità del Barcellona nel difendersi posizionalmente.
Ieri il PSG in fase di possesso era disposto in campo sistemato con un 3-4-2-1 che abbiamo già conosciuto con il Tottenham. Un modulo che parte dal 4-1-4-1 senza palla e si trasforma muovendo i due esterni a dare sempre ampiezza, il regista (ieri Paredes), che si piazza davanti ai due centrali per dare superiorità numerica all’uscita del pallone, e quattro giocatori su due linee (Paredes e Gueye in mediana, Mbappé e Kean sulla trequarti, stringendo dalla posizione iniziale di ali) sempre in movimento. In questo modo, la squadra parigina decide la grandezza del campo di gioco, minacciando la profondità con i movimenti di Mbappé a sinistra, Icardi al centro e Kean a destra, e l'ampiezza, ieri soprattutto con Kurzawa che ha messo molto in difficoltà Dembélé in ripiegamento su di lui. Il campo largo e profondo allarga gli spazi al centro, dove la capacità di gestione del pallone da parte di Verratti si esalta. Ma ieri il centrocampista abruzzese ha offerto una prestazione a tutto tondo ed è stato importante anche in fase di pressing, durante la quale finiva addirittura in linea con Mbappé e Kean a disegnare un 4-2-3-1 momentaneo che spingeva indietro l’uscita palla del Barcellona.
In fase di non possesso, Verratti schermava Busquets, mentre Paredes saliva su de Jong e Gueye su Pedri.
Al di là dei movimenti, però, ciò che è stato ancora più importante è stato il controllo tecnico che Verratti ha esercitato sulla partita. Come sappiamo, infatti, è quasi impossibile togliere la palla a Verratti: puoi rendergli più complicato un passaggio, ma certo non strappargli via il possesso. Il baricentro è troppo basso e la capacità di usare il corpo girandosi e piegandosi su se stesso è ormai talmente raffinata da rendere impossibile praticamente per chiunque la possibilità di mettergli un piede tra le gambe al momento giusto. Verratti ieri ha avuto anche l'umiltà e l'intelligenza di capire dove intervenire, lasciando a Paredes i compiti di costruzione pura per farsi invece rifinitore del gioco della squadra (e forse per questo vero regista della manovra, perché sempre consapevole di dove si trovava la palla e di cosa sarebbe servito in quel dato momento). Pochettino ne ha liberato l’estro permettendogli di giocare più avanzato, non più mezzala di possesso ma a tratti trequartista. Lui ha risposto rendendo quasi impossibile la vita a Busquets, che se lo è visto sbucare da tutte le parti, e soprattutto servendo il decisivo assist per il gol del pareggio. Un tocco di prima su una palla messa al centro da Kurzawa, che Verratti ha sporcato appena, quasi con la punta, per mandarla esattamente sul piede di Mbappé al centro superando quel tanto che basta la testa di Piqué. A Mbappé, a quel punto, è bastato poco per segnare - si fa per dire, vista la sua freddezza in fase di finalizzazione - permettendosi anche il lusso di un primo controllo non proprio perfetto.
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Anche l'avvio del gol del pareggio inizia dai piedi di Verratti che riceve davanti alla difesa, si libera con un giro della pressione di Busquets e apre il campo per la salita di Kurzawa. Il centrocampista abruzzese corre poi in avanti in appoggio a Kurzawa per far circolare il pallone con calma e dopo lo scarico scatta in avanti vicino a Icardi. Sarà lì che riceverà il cross del terzino francese.
La partita di Mbappé
Nel secondo tempo, con il pareggio acquisito e un Barcellona sempre meno in grado di sfruttare i movimenti di de Jong per paura di disorganizzarsi in caso di perdita del possesso, la partita è diventata di fatto il palcoscenico del talento di Kylian Mbappé. E pensare che Koeman aveva chiesto a Dest di rimanere più bloccato in difesa proprio per paura che il fuoriclasse francese ricevesse alle spalle della linea nei pressi dell’area. Non è servito a molto: il Barcellona non ha mai davvero capito dove avrebbe ricevuto Mbappé, che spesso è partito da lontano, con molto campo davanti da attaccare in corsa, soprattutto grazie alle verticalizzazioni precise di Verratti e Paredes. Mbappé è stato uno spauracchio per la difesa su ogni palla persa del Barcellona, in attesa che la linea sbagliasse il fuorigioco, o puntandola direttamente in corsa, mettendo in imbarazzo non solo Dest (molto conservativo nel seguire in avanti la linea difensiva, e regalando in questo modo ulteriore spazio al PSG nei ribaltamenti di fronte) ma anche Piqué - entrambi al rientro dopo un infortunio (per il centrale catalano anche piuttosto grave).
La possibilità che Mbappé scappasse dietro la linea ha terrorizzato il giovane americano, ma è probabile che ieri la sua velocità avrebbe terrorizzato chiunque, anche perché Dest non è propriamente un giocatore lento. Mbappé con la sua elasticità irreale ha trasformato anche le situazioni più statiche in ritirate disastrose attraverso una capacità unica di arrivare immediatamente alla massima velocità non appena nota un varco. Mbappé è un giocatore veloce e allo stesso tempo dal grande controllo tecnico: può associarsi nel corto con triangolazioni brevi e dopo un secondo aprire uno squarcio nello spazio-tempo dando fuoco all’erba del campo con uno scatto. Qualcosa che a molti ha ricordato Ronaldo "il Fenomeno", ma che personalmente mi ha fatto pensare di più al Cristiano Ronaldo di Manchester - non a caso suo idolo da bambino e di cui imita il tacco per cambiare direzione e prendere velocità allo stesso tempo.
Nonostante abbia ancora 22 anni, quella di ieri si aggiunge alla lunga lista di serate memorabili che in futuro ricorderemo quando parleremo di Mbappé, che continua a raggiungere record impensabili. Nessuno prima di lui aveva segnato così tanti gol in Champions League a quest'età, e solo Shevchenko prima di ieri era riuscito a segnare una tripletta al Camp Nou nella massima competizione europea (con la Dynamo Kiev nel 1997). Il terrore che abiterà gli incubi dei tifosi del Barcellona per molto tempo ha la forma di un Piqué costretto a tenere da dietro la maglia di Mbappé in quello che è già diventato un meme globale, esattamente come i poveri centrali degli anni ‘90 provavano a fermare Ronaldo "il Fenomeno". Questa partita ha ovviamente un'importanza simbolica enorme per il PSG e per lo stesso Mbappé, che ieri ha fatto dimenticare l'assenza di Neymar dimostrando che un PSG ambizioso può reggersi anche solo sulla sue spalle.
La sua tripletta, insieme al gol di Kean da palla inattiva, mette in cassaforte il risultato, anche se la storia recente delle due squadre sconsiglierebbe di mettere la parola fine sulla qualificazione. Quel che è certo è che questo Barcellona è molto diverso da quello che riuscì nell’impresa impossibile di rimontare quattro gol di scarto quattro anni fa. Questo Barcellona sembra una squadra troppo stanca, troppo svuotata per riuscirci - un gruppo costretto ormai a convivere con un bagaglio di delusioni troppo grande.
I fantasmi del Barcellona
Barcellona è una città abituata ad accompagnarsi alle ombre del suo passato: uno dei quartieri più centrali si chiama gotico, e i vicoli sono stretti e scuri anche di giorno. Sul monte accanto troneggia la vecchia prigione dove veniva rinchiuso chi si ribellava durante il franchismo, e sta lì ancora oggi a ricordare un passato di paura fin troppo recente. Ogni 17esimo minuto i tifosi al Camp Nou sono soliti fare cori e applausi per ricordare la sconfitta dell’11 settembre 1714 in cui la città si arrese all’armata castigliana e perse la sua autonomia per essere riannessa al Regno dei Borboni. I catalani, insomma, hanno costruito la propria identità a partire dalla più grande sconfitta, ricordandola a ogni partita. Prima di Cruyff, Barcellona era la squadra delle sconfitte e dei complessi di inferiorità. Oggi, dopo Rijkaard, Guardiola e Messi, il cerchio sembra che stia per chiudersi, ricominciando con nuove sconfitte e umiliazioni. La Roma nel 2018, il Liverpool nel 2019 e il Bayern nel 2020 sono un trittico di sconfitte tutte con una matrice comune data dalla paura di perdere, o forse dall'impossibilità di concepire la sconfitta. Oggi i fantasmi del passato sembrano rendere il Barcellona incapace di reagire alle avversità. Una squadra che storicamente è costruita per avere sempre l’iniziativa in campo, e che oggi che strutturalmente non può più farlo, sembra non poter uscire da una spirale negativa che la trascina verso il basso e che non le permette di cambiare la dinamica della partita.
Un esempio lampante di come la paura finisca per portare al gol avversario è il gol del 2-1 al minuto 65, dove lo scaglionamento del PSG porta Dest e Alba da un lato, e Dembélé e Griezmann dall'altro a schiacciarsi sulla stessa linea, spaventati dello spazio alle loro spalle. Il Barcellona si ritrova così a difendere con una linea di 6 uomini e nonostante questo, o forse proprio per questo, basta un movimento incontro di Kean verso Paredes in possesso per generare una reazione a catena che porta sia Lenglet che Alba a seguirlo e quindi Florenzi a poter tagliare alle loro spalle sorprendendo Griezmann e ricevendo solo in area. Il terzino romano crossa e dalla respinta di Piqué il pallone arriva sui piedi di Mbappé solo. Si tratta di un pattern classico (primo attaccante incontro, ma pallone sull’esterno che taglia per crossare al centro sul secondo attaccante a rimorchio) facilmente leggibile che la confusione del Barcellona ha reso però possibile.
Senza palla il Barcellona ha avuto paura, con la palla non ha mai avuto le idee chiare. La squadra di Koeman ha faticato stabilirsi nella metà campo avversaria, e non è riuscita a minacciare l’area se non con filtranti. Al PSG è bastato aggiustare la marcatura sui movimenti in avanti di de Jong, gestire i tentativi di uno contro uno di Dembélé su Kurzawa sul lato debole raddoppiandolo sempre con un centrocampista in aiuto e anticipare il passaggio di Messi su Alba mettendogli Florenzi a uomo nell'ultimo terzo di campo. In questo modo, la squadra di Pochettino ci ha messo poco a disinnescare la fase offensiva dei blaugrana.
La profondità dello psicodramma del Barcellona si è notata anche dal dialogo molto acceso tra Piqué e Griezmann dopo un’azione in cui all’ultimo Dest riesce a mandare in angolo la palla che Mbappé ha intercettato a centrocampo e portato fino in area di rigore. Un effetto collaterale positivo dell'assenza di pubblico che ci ha regalato una sfumatura psicologica di una disfatta di campo. Nei momenti di forcing, infatti, il PSG ha sfondato a piacimento la difesa posizionale del Barcellona e Piqué, abituato a difendersi soprattutto con il pallone, ha gridato di provare a mantenere «un diamine di possesso più lungo» a Griezmann, che ha risposto per le rime. Dinamiche abituali nelle fasi di sofferenza di una partita, ma che non possono simboleggiare all'indomani una situazione di decadenza, perfettamente incorniciata dalla frase di Piqué: «Stiamo soffrendo».
Insomma, è stata la notte di Mbappé, ma anche quella delle paure del Barcellona - una squadra ormai ferita e spaventata, che si scioglie davanti all’idea che possa ricapitare quello che è già successo in passato e che prova a superare le difficoltà in maniera individuale, in contraddizione con la propria storia. Singolarmente Messi viene a prendere palla e prova a portarla in area, singolarmente Piqué indica ai compagni dove posizionarsi, singolarmente Busquets prova a venire verso il pallone per dare un perenne sostegno. Ma Messi che viene incontro porta i compagni a dargli sempre palla sui piedi anche se raddoppiato, Piqué che fa avanzare la linea per il fuorigioco genera la situazione che poi la linea stessa non sa gestire, Busquets che si avvicina alla palla accavalla linee di passaggio centrali non dando sbocco alla manovra.
La psicologia è una delle componenti di una partita di calcio e i veterani del Barcellona sembrano ormai partire sconfitti ancora prima di scendere in campo. Forse solo completare il ricambio generazionale, per quanto faticoso può essere dire addio a un passato tanto illustre, può portare il Barcellona a sbloccare questa situazione stagnante che ormai fa del male alle leggende stesse che mette in campo.