Se dopo l’intrigo internazionale di Novak Djokovic ci chiedevamo se il tennis avrebbe avuto il giusto spazio del discorso durante il primo Slam della stagione, beh, gli Australian Open non stanno deludendo. Le storie da scegliere sono tante e per tutti i gusti: la consacrazione del tennis italiano e di quello canadese, con quattro giocatori piazzati ai quarti di finale; la rinascita degli anziani francesi Gael Monfils e Alizé Cornet, redivivi dopo anni di risultati mediocri; oppure lo spettacolo pigro di Nick Kyrgios, in singolo contro Daniil Medvedev o in doppio - un po' cheesy - con Thanasi Kokkinakis. O ancora: l’exploit della mastodontica estone Kaia Kanepi, ai quarti di finale da numero 115 del mondo.
Voglio però parlare del torneo di Maxime Cressy, uno strano animale di un metro e 98 che è arrivato a Melbourne con un’idea semplice e precisa: servire e scendere a rete, ogni singola volta, con la prima o con la seconda palla, tirata a volte più veloce della prima.
Prima del 2022 Cressy aveva un record ATP di 7 vittorie e 7 sconfitte, finora è 9-3 quest’anno. Lo avevamo ammirato già a piccole dosi la scorsa stagione: un primo turno vinto agli AO contro Taro Daniel, soprattutto una partita epica contro Pablo Carrena Busta agli US Open. Mentre la partita si prolungava oltre le quattro ore circolavano strane voci su questo giocatore americano dal cognome francese che era riuscito ad annullare quattro matchpoint giocando serve&volley in ogni punto, mezzo genio, mezzo disperato.
Difficile immaginare di annullare dei matchpoint con più stile di così. Il povero Carreno a fine partita era sull’orlo della follia.
In questo gennaio ha avuto la sua piccola consacrazione. Al torneo di Sidney ha battuto Opelka, Munar e Dimitrov, arrendendosi solo a Rafael Nadal in finale. Da numero 70 del mondo è entrato nel tabellone degli Australian Open, approfittando del ritiro di Dominic Thiem, e nel torneo ha fatto fuori Isner, Machac e O’Connell, prima di sbattere contro la realtà troppo dura di Daniil Medvedev. Anche nel contesto più difficile Cressy ha dato prova di essere più di un giocatore esotico. È stato a un punto dal vincere il secondo set, e ha vinto il terzo al tie break, per poi cedere al quarto dando comunque battaglia.
Se non avete mai visto una sua partita vi bastano pochi minuti minuti per capire quanto giochi in maniera anti-convenzionale, con uno stile serve&volley che prima del suo arrivo sembrava un’arte definitivamente perduta. Lui pare star bene nei panni del Don Chisciotte: «Sono qui per dimostrare che si può giocare ancora serve&volley oggi» ha detto col tono di quegli stilisti che stanno cercando di far tornare di moda una tendenza scomparsa, convinti della ciclicità delle cose, che tutto prima o dopo ritorna - «Nulla si crea nulla si distrugge tutto si trasforma» ci ricorda Emiliano Battazzi citando Lavoisier, parlando delle tendenze tattiche del calcio. Eppure il serve&volley sembra esaurito per fattori irrisolvibili.
Negli ultimi vent’anni le superfici sono rallentate, rendendo meno pungenti le volée; le racchette generano invece sempre più potenza, affilando i passanti. Una combinazione letale per uno stile di gioco un tempo dominante, poi riservato agli specialisti del veloce, infine scomparso. I nostalgici ne rimpiangono l’eleganza, l’idea di un uomo che corre in avanti come in un assalto di cavalleria, pronto a difendere il proprio campo con destrezza e sensibilità da spadaccino. La rapidità da blitz di un assalto di sciabola; l’eleganza del polso che doma la palla lasciandola morire nel campo altrui con effetti e angoli magici. Nella progressiva uniformazione delle superfici le discese a rete sono diventate un’arma tattica con cui sorprendere gli avversari per la rarità del loro uso; oppure diventano inevitabili: si “cade” in avanti dopo un attacco a metà campo, perché non c’è nient’altro da fare. I tennisti di oggi sono così disabituati al gioco di volo che molti di loro, i più legnosi, vengono attirati a rete con mezze palle corte sbilenche per poi venire trafitti dal passante, con la mano tremante e i piedi incerti, su una piccola zattera in un mare in tempesta.
Qualche strano uccello da rete si intravede ancora, di solito a giugno, quando i campi diventano d’erba. Dustin Brown, Pierre-Hugues Herbert, Sergy Stakhovsky, appena ritiratosi. Vincono i primi turni sorprendendo qualche avversario confuso, poi quando il livello si alza sembrano ridotti a combattere una guerra contemporanea con armi medievali. Perdono e se ne tornano in letargo, o in qualche torneo di doppio occulto, dove la dinamica di gioco rispetta di più la loro arte. Sono eccezioni, a cui possiamo aggiungere quei tennisti che usano il serve&volley come risorsa estrema per girare attorno ai limiti materiali del proprio corpo: Reilly Opelka o Ivo Karlovic scendono a rete per evitare alle proprie gambe da giraffe lo strazio dello scambio da fondo: correre in avanti è meno faticoso che spostarsi di lato. Hanno il braccio duro e le idee grezze: se vedono una palla moscia la picchiano con tutta la forza e poi incombono a rete come elefanti in cristalleria.
Maxime Cressy è diverso da loro: nessuno scende a rete con la sua costanza testarda. I suoi numeri fanno paura: 418 discese durante questi Australian Open, da cui ha ottenuto 299 punti. Cressy non fa parte di quei giocatori di rete sensibili e artistici, che inventano di volta in volta colpi diversi. È pratico, bada al sodo, si avvicina di più allo stile enfatico di Pete Sampras - di cui di certo non possiede il polso d’oro. È comunque capace di ricami deliziosi e volée che nel circuito nessuno sa giocare, perché nessun tennista passa il tempo di Cressy a rete, ed è costretto a trovare quindi sempre nuove soluzioni. Spesso Cressy offre una sensazione di ansia e affanno, i suoi strumenti sembrano inadeguati per gestire la potenza di fuoco dei grandi passatori di oggi, come Medvedev. Chiunque ha giocato a tennis, a qualsiasi livello, conosce il senso di frustrazione di essere infilati da un passante a rete. La battaglia fra un uomo a rete e uno a fondo è innanzitutto mentale.
Cressy è fenomenale soprattutto nel non lasciarsi scoraggiare, a non perdere sicurezza in quello che sta facendo. Non lascia che i suoi avversari gli entrino nella testa, concentrandosi solo sul proprio tennis. C’è una sfumatura di autoritarismo, di cieca imposizione della propria volontà, in tutte le strategie offensive dello sport. Se ricordate, il Barcellona di Guardiola, nelle sue giornate migliori, mirava all’annullamento dell’avversario, alla negazione stessa della sua esistenza. Nella testa di Cressy la sua strategia ha un obiettivo simile: «In realtà non penso minimamente ai miei avversari e a quello che proveranno a fare. Provano varie cose per entrarmi nella testa e se mi concentro su quelle distruggo il mio gioco. La mia mentalità è di non pensare mai a quello che sta facendo il mio avversario».
È un pensiero radicale, in un tennis sempre più raffinato tatticamente, in cui è diventato vitale ragionare in maniera strategica, fare di colpo in colpo le scelte più efficaci per mettere l’avversario in difficoltà. Uno dei migliori tennisti di oggi, Daniil Medvedev, è spesso definito uno scacchista, per la sua sottilissima intelligenza strategica. Il tennis di Cressy è invece a suo modo brutale ed essenziale, non si basa sull’incastro di due individualità ma solo sull’imposizione di una sull’altra. Davanti agli occhi dell’avversario la spazialità del campo svanisce: non più linee né angoli da colpire ma un uomo da superare. Un uomo di due metri che incombe sulla rete. L’efficacia di Cressy si basa molto sull’effetto sorpresa, sul fatto che i tennisti oggi non sono abituati a giocare contro qualcuno che gli restringe il campo con quella frequenza, che gli toglie il ritmo fino a soffocarli, che li costringe a ripensare la spazialità del campo. Medvedev ne è venuto a capo, ma a un certo punto era così frustrato che ha urlato al cielo «This is so boring!». Era in un territorio per lui sconosciuto, il tennis non era più quello che conosceva.
In realtà il tennis di Cressy nasce da un’idea razionale; è, a suo modo, quello che si definisce “tennis percentuale”. Cioè un calcolo costi-benefici che i giocatori fanno sulle proprie scelte di gioco: scegliere la strada più redditizia sul lungo termine anche a costo di lasciare qualcosa per strada nel frattempo. Cressy contro Isner ha commesso 20 doppi falli, ma si è lasciato strappare il servizio zero volte. Una statistica davvero difficile da spiegare. Per Cressy forzare prima e seconda palla, a costo di commettere più errori, è una strategia migliore alla lunga rispetto a diminuire la velocità. Il rischio massimo, per Cressy, è la strada più razionale. Scendere a rete con prima e seconda palla, o addirittura facendo chip and charge (cioè approcciando la rete dopo la risposta), per Cressy è più redditizio che mettersi a scambiare da fondo.
Dalle sue parole il serve&volley sembra una specie di credenza religiosa a cui affidarsi, quasi indipendente dal suo talento e dalla sua volontà. Un metodo per Cressy che si vota al Dio del serve&volley, sicuro che gli restituirà quanto merita: «La mentalità è di andare. A volte ho giorni buoni e altri cattivi. E penso che nelle giornate buone sia molto difficile battere il mio stile».
Cressy è anche un personaggio divertente. Nato a Parigi nel 1997, si è trasferito negli Stati Uniti per studiare alla UCLA e ha preso la cittadinanza americana, come quella della madre. Dice di aver litigato con la federazione francese e di essere fuggito, non credevano abbastanza nel suo stile. Non rispettano le individualità, dice. Ammette che all’inizio nutriva qualche dubbio su sé stesso, ma ha continuato a credere che quello che stava facendo prima o poi lo avrebbe ripagato: «La mia visione sin dall’inizio era di riportare in campo il serve&volley. In tanti mi hanno detto che è una strategia morta, che non è efficiente oggi. Ho sentito molte scuse sul fatto che non era lo stile giusto per me, ma aveva una visione e penso che si stia realizzando». Ha dichiarato di non avere ancora sponsor perché gli avevano offerte troppo piccole finora: «Quando sarò top-10 o top-5 allora mi sederò al tavolo e otterrò un contratto vantaggioso».
È molto sicuro di sé, pensa di poter battere chiunque, e il fatto di aver messo in difficoltà sia Medvedev che Nadal glielo ha confermato. La competitività di Cressy è tutta da verificare: gli avversari gli prenderanno di più le misure? Come reggerà l’impatto della stagione su terra? Magari può diventare Top-30, con un po' di fortuna, ma vale la pena aspettarsi altro?
Non è più un tennis per specialisti, ma Cressy ci ha ricordato che gli specialisti sono divertenti, ampliando un ecosistema ultimamente un po’ piatto. Qualche anno fa i vertici del tennis hanno deciso di puntare su un preciso spettacolo estetico: scambi lunghi da fondo campo che potessero sottolineare lo spirito epico e gladiatorio dei tennisti. Per questo siamo andati verso l’uniformazione delle superfici e quindi degli stili, ma Cressy, con la sua sola presenza, ci ricorda che una delle dimensioni estetiche più affascinanti del tennis è quella del contrasto di stili. Cressy serve a esaltare il tennis dei colpitori da fondo, e quello dei colpitori da fondo serve a esaltare il suo. Al momento sembra un uomo in missione: matto, visionario, anche buffo.