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Matteo Gagliardi
Maturare a suon di pugni
26 mar 2015
26 mar 2015
Leonard Bundu, il più forte pugile italiano.
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Matteo Gagliardi
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Leonard Bundu «sarebbe stato un bel campione se avesse cominciato prima». È il 2009 e a dirlo è il suo allenatore Alessandro Boncinelli. Leonard in quel momento aveva 34 anni: alle spalle 21 incontri disputati tra i professionisti, imbattuto; 110 tra i dilettanti; una cintura italiana, una del mediterraneo e una della comunità europea.

 

È il momento nella carriera di un pugile in cui s'inizia a prendere in considerazione il ritiro. Le buone prestazioni sul ring avevano fatto di Leonard uno dei più interessanti pesi welter italiani, ma nelle parole di Boncinelli si percepisce il rimpianto per un pugile che non era riuscito a emergere nonostante il grande talento. Da quel 2009, però, Leonard ha continuato a boxare e l'ha fatto sempre meglio. I suoi ultimi match sono stati talmente convincenti da renderlo non soltanto, a quasi quarant'anni, un pugile completo e maturo ma anche il possibile sfidante di Floyd Mayweather per il titolo di campione del mondo.

 



Se Alessandro Boncinelli, l’allenatore, si era subito accorto delle incredibili potenzialità di Leonard, quest'ultimo, per anni, non riuscirà mai a mettere a fuoco la sua reale forza, trascurando spesso la costanza e il lavoro. «Credevo che la boxe potesse darmi da vivere. Poi mi sono accorto che non era così e un po' mi sono lasciato andare. Ho commesso degli errori nella mia vita, sono stato un ragazzo e un uomo difficile».

 

All’Accademia Pugilistica Fiorentina, Leonard s'iscrive per farsi degli amici. Dopo essere stato costretto a lasciare Freetown, dove è nato, si sente solo e ha bisogno di ambientarsi. In Sierra Leone, con lo scoppio della guerra civile e il Fronte Rivoluzionario Unito che stava assediando la capitale, la vita per la famiglia Bundu non era più possibile. Si trasferiscono a Firenze, la città della madre. Leonard è irrequieto, cambia molte scuole. In città manca l'Aqua Club di Murray Town, dove andava a nuotare il pomeriggio con gli amici. Non ci sono neanche le strade larghe e vuote dove poter guidare la macchina, senza patente e all’insaputa della madre. A Firenze manca anche il padre di Leonard. Francis Bundu è morto in Sierra Leone in seguito a una peritonite, Leo era troppo piccolo per conservarne ricordi.

 

All'Accademia lo segue da subito il maestro Boncinelli. La politica della palestra è semplice: se vuoi limitarti agli esercizi fisici si pagano 50 mila lire al mese; se hai voglia di salire sul ring e hai un potenziale non paghi. Leonard è lì per la ginnastica. Non ha idea di come si prenda a pugni un sacco. In Sierra Leone sentiva parlare spesso di Mike Tyson, ma a lui piaceva Bruce Lee. Dopo il primo mese, Boncinelli non gli chiede più soldi. Leonard crede di non dover pagare perché è simpatico all'allenatore, ma alcune settimane dopo capisce il vero perché.

 

Nella

,

, il pugile ricorda la sua prima volta all'angolo come un momento terribile; ricorda anche, però, che appena dopo aver sbattuto al tappeto l'avversario si sentiva talmente gasato che non poteva credere che fosse stato così facile.

 

Passare dall’insicurezza all’esaltazione, e viceversa, è il modo in cui Bundu inizia a conoscere la boxe. Per fortuna il suo allenatore cerca di contenerlo. Davanti allo specchio i movimenti di quel sedicenne sono incredibili. Leonard non sapeva nulla della boxe ma «ha iniziato a fare tutto da solo, si spostava e rientrava: gli veniva spontaneo».

 



Bundu viene chiamato a far parte della Nazionale italiana da Patrizio Oliva. «Durante il primo ritiro all’Abetone», ricorda l’ex campione del mondo dei superleggeri, «era quello che potrei definire un cane senza guinzaglio, era un po’ pazzerello». Dopo esser tornato dal servizio militare, il pugile non ha voglia di mettersi a dieta per rientrare nel peso dei welter, così partecipa ai campionati assoluti, tra i migliori dilettanti d'Italia, in una categoria che non è la sua: superwelter. Arriva comunque in finale e il commissario tecnico napoletano lo convoca: «L’eco di ogni suo colpo è come musica di Caruso fino alla vetta del Vesuvio».

 

Il peso è sempre stato un problema per Leonard. «Sto provando una dieta vegana»,

, «io sto sempre alla ricerca della dieta perfetta. Boncinelli non lo sa altrimenti si lamenterebbe: 'devi mangiare la ciccia!'». Gli piace anche bere. Soprattutto in compagnia e durante le trasferte con la Nazionale. Si è fatto degli amici, Paolo Vidoz e Giacobbe Fragomeni. Sono inseparabili, vogliono divertirsi e allenarsi poco. Fragomeni, tra i tre, è quello che ha più il senso del dovere. Ogni tanto trascina i due in palestra, quando non è al telefono con la ragazza lasciata a Milano.

 

In Austria, per la festa della birra, ci vanno soltanto Leonard e Paolo. In un locale vedono due ragazze austriache importunate da italiani. Leonard si avvicina per toglierle dall’imbarazzo. Uno dei due molestatori lo insulta perché nero, pensando fosse straniero e che non avrebbe capito. Bundu gli risponde di stare calmo, ma quando il ragazzo gli rovescia la birra addosso non si trattiene e lo colpisce con un pugno. «Non volevamo far casino», ricorda ridendo, «la festa della birra per noi era finita».

 

I primi anni della Nazionale sono per Leonard i più belli: Paolo e Giacobbe sono la sua

“Crack Gang”. (Quando era in Sierra Leone aveva deciso di chiamarsi così con i suoi amici, dopo che uno del gruppo aveva spaccato con un calcio un pezzo di legno).

 



Il trio sul ring è imbattibile, almeno fino alle Olimpiadi di Sydney: l’occasione per Bundu di farsi conoscere. Durante i primi giorni all’Accademia aveva iniziato ad avvicinarsi allo sport che stava praticando proprio grazie alle Olimpiadi. Quando inizia la competizione, però, Leonard viene sconfitto inaspettatamente al secondo incontro. Aveva sottovalutato l’evento: «Ci sono rimasto male, se facevo più il serio...».

 

Dopo il rientro in Italia il trio si scioglie. Paolo e Giacobbe salgono di livello, diventano professionisti.

 

Gli allenamenti di Leonard non sono più divertenti e durante le trasferte si sente sfiduciato. Patrizio Oliva lascia la Nazionale e Mela, il nuovo commissario tecnico, avrà da subito un rapporto difficile con Bundu. «Ma non è il caso di fare polemiche, cose che succedono, non avevo più stimoli». Nonostante molti manager, tra cui Don King, gli consigliano di passare ai professionisti, lui non accetta. Salire di livello vorrebbe dire lavorare più duramente, ripensare i movimenti sul ring, intensificare l'allenamento in palestra e forse trasferirsi. Lui preferisce rimanere a Firenze, con i suoi amici e in un ambiente familiare. Lascia la Nazionale italiana nel 2003, a 29 anni.

 

Abbandonata la Nazionale e scartata l'idea dei pro, il pugile, dotato di doppio passaporto, decide di trovare nuovi stimoli partecipando alle Olimpiadi di Atene nel 2004 stavolta con la Nazionale sierraleonese.

 

Non è facile, deve fare tutto da solo: i vertici della Federazione Pugilistica Sierraleonese lo informano che la trasferta sarà a sue spese. Quindi deve comprare il biglietto per il Botswana dove si tiene il torneo di qualificazione, cosa che non sarebbe riuscito a fare senza l'aiuto economico dei suoi amici “Verdi”, la squadra di Calcio Storico Fiorentino di San Giovanni.

 

Appena arrivato in Botswana, si rende conto di essere senza allenatore in palestra e nessuno all’angolo: si allena comunque, improvvisando un proprio metodo, perde al primo incontro e piange sul ring per la prima e ultima volta in vita sua. Decide di allontanarsi dalla boxe.

 



Al Foro Italico nel 2011 ero andato per tifare Daniele "Bucetto" Petrucci. In palio c’era il titolo Europeo EBU dei welter. Lo sfidante di Daniele era un certo Leonard Bundu, di lui sapevo soltanto che veniva da Firenze e aveva 37 anni. Tifavo Daniele perché era di San Basilio e per il suo modo di boxare, composto e potente. In Italia quell'incontro era stato

da molti “il match del secolo”: sul ring salivano due italiani che si sfidavano per un titolo europeo. Poi: entrambi i pugili erano imbattuti.

 

Il match è stato sospeso all’ottavo round per un’enorme ferita alla testa di Leonard, procurata accidentalmente da Daniele. Bundu era stato il più forte fino a quel momento, ma aveva fatto vedere soltanto parzialmente di cosa era capace: alla lettura dei cartellini il verdetto era un pareggio, gli organizzatori volevano rinviare lo spettacolo. Petrucci lo chiamano “Bucetto” perché da ragazzino pareva avesse fortuna.

 



 

La rivincita si tiene cinque mesi dopo, a Firenze, in casa di Leonard. L'incontro ha un ritmo altissimo, i due pugili si affrontano apertamente e Leonard vince ai punti la cintura europea dei pesi welter. Alla fine del match Daniele ammette: «Ha vinto il più forte. Io sono giovane, ho fatto vincere il vecchietto».

 

Poco dopo quell'incontro di Daniele Petrucci si perdono le tracce. Sui

sono preoccupati che abbia appeso i guantoni al chiodo senza dire niente a nessuno.

 



Dall’incontro con Petrucci, Bundu, con la cintura europea in vita, inizia a realizzare la portata del suo potenziale. Si allena duramente e l'anno dopo, contro Antonio Moscatiello al Palasport di Brescia, Leonard è pronto a combattere contro un avversario di 9 anni più giovane. Lui ne ha 38. Moscatiello affronta il match senza paura, con ritmo e iniziativa, ma Bundu prende le misure dalla prima ripresa non perdendo mai il controllo sul quadrato. Chiuso in guardia alta, porta colpi doppiati a corta distanza. Quando esce dagli affondi si porta all'esterno lasciando sempre dietro di sé ganci e montanti. Non lascia parti scoperte. Stretto alle corde gli basta un montante e un gancio in uscita per riposizionarsi al centro del ring. Inverte la guardia, per non farsi mettere a fuoco da Moscatiello. Colpi alti e bassi. A un certo punto Antonio vede uno spiraglio e azzarda uno jab al volto. Ma è solo un’esca: durante l’offensiva Moscatiello scosta i gomiti dal corpo e Bundu lascia partire un montante che gli spezza il fiato.

 

All’undicesima ripresa, stavolta al palazzetto dello Sport di Rezzato, nel 2012, alla terza difesa della cintura EBU, El Massoudi dopo una serie di diretti e ganci da parte di Leonard è in ginocchio con i guantoni congiunti in una strana posizione di preghiera. Quando si rialza, Bundu lo colpisce violentemente al fegato. È un pugno fortissimo, tanto che l'avversario non cade subito, ma ha il tempo di fare una smorfia dolorante, quasi inappropriata per un match tra professionisti: «Auu!» grida.

 

Bundu è il numero uno dei welter in Italia. Finalmente si accorgono di lui.

 



Da piccolo, con la madre, in autobus una signora seduta vicino a loro dice: «Stia attenta signora a questi ragazzi stranieri che vanno in giro a rubare le borse». Sul ring, Leonard Bundu si sentiva chiamare "sporco negro", nei bar e nelle discoteche “extracomunitario”. «È capitato», ha detto il pugile italiano, «e a volte capita ancora». La maledizione della cintura nazionale ha i tratti di un’inquietante allegoria.

 

Il 15 giugno 2007 l’incontro per il titolo vacante contro "Bazooka" Abis termina con un no contest, per una testata involontaria. Qualche mese dopo la Federazione informa Bundu che il match con Abis si recupera. Leonard, in quel momento in vacanza, è costretto a tornare in anticipo, ma Abis rinuncia definitivamente al titolo di contendente. Al Mandela Forum di Firenze, il 5 marzo 2008, in palio c'è ancora il titolo italiano, stavolta il contendente è Grassellini. La spunta Leonard, perché l’avversario alla prima ripresa accusa un dolore alla spalla che gli impedisce di continuare il match. Alla bordata di fischi del pubblico, Leonard è costretto a prendere in prestito il microfono dello speaker e chiedere scusa a tutti: «Sono deluso anche io».

 

Bundu non può neanche alzare la cintura, perché è in ritardo con la spedizione, e si trova ancora a Roma. Informano Leonard che gliela invieranno soltanto alla prossima difesa del titolo.

 

L’occasione di indossarla arriva nel giugno 2008, contro Conti, ma Leonard, durante una delle ultime sessioni di allenamento, si frattura l'orbita dell'occhio ed è costretto a rinviare l’incontro.

 

Quando gli hanno chiesto: «Com'è finita con quei razzisti che osavano insultare Leonard Bundu?», lui ha risposto: «Niente, non è successo niente».

 



Il 14 dicembre del 2013, a Londra, Leonard Bundu difende la cintura di campione europeo dei pesi welter per la quinta volta. Ha 39 anni. Lee "Lights out" Purdy, il pugile di casa, ne ha 26. L’atteggiamento dei due sfidanti prima della campanella è già antitetico. Nel suo angolo Purdy assottiglia gli occhi e fa grossi respiri col naso che gli fanno vibrare le narici. Si dà due pugni sulle guance per caricarsi. Dall’altra parte Leonard gli dà le spalle, tranquillo, saltella e dà il

a Boncinelli.

 

Purdy farebbe paura se non avesse davanti un avversario così rilassato. Ogni tanto gioca sporco, scaricando i colpi dopo la campanella di fine round, ma Leonard non si lamenta. Quando invita il pugile italiano a colpirlo, Bundu lo fa. Quando gli fa segno di picchiare più forte, lo colpisce più forte. Per via del paradenti quando Purdy urla ha l’espressione di una capra. L’italiano è in vantaggio dalla prima ripresa, e le scenate di Purdy servono solo a metterlo in un ulteriore imbarazzo.

 

La boxe di Leonard è armoniosa. Cambia la guardia in continuazione, ha una postura mai sbilanciata e i colpi sono tutti in combinazione, tranne i montanti, potenti. Purdy resiste fino alla dodicesima, ma a trenta secondi dalla fine Bundu prova a sbatterlo giù, per risparmiarsi sorprese dai giudici. Chiuso alle corde, con tre mezze torsioni fulminee scarica, tutti di sinistro, un montante basso, uno alto e un gancio. Sposta letteralmente Purdy al centro del ring affinché tutti possano vederlo. Si piega in avanti e china la testa; e quella strana postura distrae dal gancio destro che è partito da lontano, da un punto nascosto dietro la schiena. Il braccio di Leonard si schiude come un’ala e sbatte contro l’ostacolo, la faccia di Purdy. Il pugile inglese è ora una monetina che ruota sul quadrato. Un diretto sulla fronte lo fa smettere di oscillare.

 

https://youtu.be/IGhW6u_qhCM?t=46m24s

L’ultimo round dell’incontro.



 

Come per Shabani, alla Max-Schmeling-Halle di Berlino, cinque anni prima, il “vecchietto” ha stroncato la carriera del suo avversario. “Lights out” dopo il KO è costretto a ritirarsi dalla boxe per i troppi colpi ricevuti alla retina.

 

Dopo la sesta difesa della cintura, Bundu diventa il pugile più forte d’Europa. Nella classifica welter WBC è quarto. Sopra di lui, in classifica, ci sono Pacquiao e Mayweather. Con la sesta difesa della cintura europea contro Gavin, a Wolverhampton, nell'agosto del 2014, i giornali italiani

di un incontro con Floyd Mayweather per il titolo mondiale. Il manager di Leonard ci crede. «Di sicuro non mi conosce»,

il pugile italiano.

 



Da qualche anno Leonard ha scelto di allontanarsi da Firenze e di trasferirsi a Cisterna di Latina, con la moglie e i suoi due figli. «Il talento non basta per diventare più forte degli avversari», sembra aver finalmente capito, «mi sono spostato per motivi familiari, mi sono responsabilizzato, ho lavorato di più, più serio, lontano da Boncinelli ho dovuto darmi da fare». La sua vita ha dei ritmi normali ora, è un padre, un marito, un amico, il cuoco di casa e uno sportivo. A Cisterna si allena con il maestro Montesano e il preparatore atletico Ardagna, alla Body Evolution. Ma un mese prima di ogni match va all’Accademia di Boncinelli per intensificare l’allenamento e per farsi dire se è pronto all’incontro.

 

Il match per il titolo mondiale del dicembre 2014 non è con Floyd Mayweather, ma con Keith Thurman, un pugile di 26 anni. Di lui la stampa internazionale ha parlato come dell’unico boxeur che possa battere “Pretty Boy”. Keith è un talento e lo score sta lì a dimostrarlo: 23 vittorie di cui 21 per KO. Il suo soprannome è “One Time”.

 

«Ho saputo che addirittura Mayweather lo vuole evitare, ma io ho accettato molto volentieri ed eccomi qua»

 

La preparazione di Bundu necessita di lavoro extra in piscina, per curare forza e resistenza. Generalmente Leonard non studia l’avversario, lasciando fare all’istinto sul ring, ma Boncinelli per questo incontro ha deciso di abbozzare una strategia: «Mai restare sotto Thurman, uscire sempre dai lati e rientrare. Anche se Leonard fa schivate millimetriche, bisognerà toccare e andare via, perché quello fa veramente male».

 

Quando un pugile italiano combatte per un titolo mondiale il ring diventa anche una “vetrina” per promuovere uno sport poco seguito. Quando il giornalista Franco Ligas gli

: «Oltre i parenti e gli amici, porterai anche la valigia di cartone?», lui risponde: «Penso che questo match potrebbe cambiarmi la vita come ogni altro incontro che ho fatto. Potrebbe darmi un’enorme spinta per sistemare la mia famiglia». Boncinelli è più eccitato: «Questo per Leonard è il match della vita».

 

Al primo round, dopo alcuni secondi, Leonard va giù. Aveva portato un attacco improvviso e poi si era chiuso in guardia il prima possibile, ma Keith aveva fatto in tempo a prenderlo con un gancio sinistro ravvicinato. Il pugno è pesante e veloce e abbatte Bundu, in ginocchio sul quadrato. E mentre l’arbitro dell’incontro inizia il conteggio mi viene in mente il frammento di un'intervista a Leonard.

 

Mentre passeggia nel suo orto a Cisterna il giornalista gli chiede se è più tornato in Sierra Leone, dopo essere scappato con la madre. «Lì ho lasciato molti parenti e amici. Ogni tanto penso che vorrei andare a trovarli». Poi Leonard s'incupisce e abbassa lo sguardo. «Ma già so che mi diranno 'oh ecco il campione!' e chissà cosa si aspettano. Non sanno che non è che sia poi tutta 'sta meraviglia».

 

https://www.youtube.com/watch?v=kVemV8Cd4Fo

A 7:52 il passaggio citato.



 

Quando Leonard si rialza dal knockdown e ricomincia a combattere, penso alla sua carriera troppo lunga nei dilettanti, alle volte in cui ha sottovalutato gli allenamenti, all'aver iniziato a prendersi sul serio tardi negli anni e all'aver amato e odiato allo stesso modo il ring. La tentazione di sminuirsi è stata sempre troppo forte.

 

"One Time" dalla ripresa del match preferisce giocare di rimessa, è meno spavaldo e non riesce più a mettere giù Leonard, che gli tiene testa fino all'ultimo round. Thurman vince ai punti la cintura di campione del mondo. Bundu non è più un "vecchietto", ma: «Un veterano duro e difficile da battere». Per la prima volta, quindici anni di distacco tra due pugili hanno fatto la differenza.

 
 

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