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Matteo Salvini, milanismo e vanità
19 nov 2020
Un uomo che ha sempre amato mescolare calcio e politica.
(articolo)
19 min
(copertina)
Foto LaPresse
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Matteo Salvini è nato a Milano nel 1973 e tifa Milan dal 1980. «Io ho iniziato a tifare il Milan quando giocava in Serie B» ha scritto su Facebook. Fa politica dal 1993, quando è entrato per la prima volta nel consiglio comunale di Milano. Lo stadio, le sciarpe, la maglia, i cori, tutto il simbolismo del tifoso fa parte del suo linguaggio politico dal primo giorno.

Superato di slancio un passato fatto, più o meno, di Leoncavallo, centro sociale milanese e Comunisti Padani, nei primi anni del 2000 inizia a costruirsi il Salvini che conosciamo oggi. Nel 2004, in un profilo in cui viene definito “Il ragazzaccio del Carroccio” si raccontano «le domeniche a San Siro a seguire l'amatissimo Milan». Il 25 maggio 2005, dopo essere stato in vantaggio per tre gol a zero, il Milan perde la finale di Champions League contro il Liverpool ai rigori. Il 26 maggio Salvini chiede che il sindaco Albertini e i suoi assessori - presenti allo stadio di Istanbul - abbiano «l’obbligo di firma in Questura, accertando che questi non partano per le prossime trasferte europee del Milan. Tuteliamo Milano e i milanesi», gli avversari politici, insomma, portano sfiga.

L’estate successiva fa parte del nutrito gruppo di consiglieri aderenti al Milan Club di Palazzo Marino che si spende affinché il sindaco Letizia Moratti «prenda posizione in difesa del Milan e di tutti i suoi tifosi come hanno fatto i colleghi delle altre città coinvolte nell'inchiesta di Calciopoli». L'esclusione dalla Champions, soprattutto, è un grave danno alla città, dicono. Il Milan verrà riammesso e vincerà quell’edizione.

In quegli anni è l’astro nascente della Lega Nord nel capoluogo lombardo. San Siro e la squadra di Berlusconi diventano un’appendice della sua attività politica. La sera di Milan-Napoli, 13 gennaio 2008, si presenta allo stadio con dei sacchi della spazzatura da dare ai tifosi partenopei: «ognuno lo potrà utilizzare a casa sua, se vuole. E se si offendono per questo, invece di indignarsi per quel che succede nelle strade della loro città, pazienza. Ma noi confidiamo nel loro senso dell'umorismo...». Il Milan vince 5-2, l’ultimo gol lo segna il neo diciottenne Alexandre Pato, all’esordio in Italia.

Il 31 agosto, nella sua rubrica su Affaritaliani.it, Salvini si scaglia contro l’acquisto di Ibrahimovic da parte del Milan: «No, Ibrahimovic no. Non vorrei sembrare fuori moda o fuori tempo, ingrato o demodè, ma l’idea dello “zingaro“ (nel senso che le squadre se le è girate proprio tutte) antipatico (nel senso che è proprio antipatico) che veste rossonero proprio non mi entusiasma». Nelle sue dichiarazioni è spesso impossibile scindere il tifoso dal politico: Salvini non ritiene lo svedese un acquisto giusto per il Milan (da tifoso) o per Milano (da politico)? I suoi anni da consigliere sono pieni di crociate contro i Rom (anni dopo sarà lui a parlare di “zingaraccia”) ed è facile capire cosa voglia intendere, anche se prova a nascondersi dietro un vago concetto di nomadismo calcistico. Il Milan vince il campionato, Ibrahimovic, ovviamente, è uno dei migliori della squadra.

La domenica lo si può trovare ospite della trasmissione Qui Studio a Voi Stadio sull’emittente Telelombardia. La maglia del Milan a infagottarlo, i giudizi tranchant sull’allenatore.

La maglia, la sciarpa, il rosso e il nero. Sono tutti simboli che Salvini in quegli anni sfoggia spesso e volentieri, a sottolineare la forza del suo tifo: milanese, milanista, per i milanesi. Fa parte del gruppo di supporter Diavoli Padani, tifosi che hanno unito la loro passione per i rossoneri con gli ideali della Lega Nord. Sono gli anni pionieristici dei social network, Salvini non ha ancora la cosiddetta Bestia di Luca Morisi e su Facebook non posta foto con didascalie sparate in giallo, ma ricorda ai propri followers il gol di Mark Hateley nel derby (Ero piccolo ma... non me lo dimentico più!) oppure gli chiede cosa pensano del sorteggio contro l’Arsenal in Champions League, più di una volta scrive solo Milaaaaaaaannnnnnnn. Il 2 settembre 2011, sempre su Affaritaliani.it sta con Pippo Inzaghi: non andava escluso dalla lista Champions. Prima della partita contro gli inglesi a Londra, scrive di avere un biglietto in più, chiede se qualcuno è interessato.

A gennaio del 2012 ha una fonte attendibile: il Milan avrebbe ceduto Pato e preso Tevez. Non è convinto. In estate non sa se gli fa più tristezza la cessione di Thiago Silva e Ibrahimovic o Galan che dice che la ricandidatura di Berlusconi lo fa "godere più di un orgasmo". Ancora una volta i piani tra calcio e politica si intersecano anche in maniera non convenzionale.

Il 4 gennaio 2013 durante un’amichevole tra Milan e Pro Patria, Boateng reagisce ai cori razzisti lasciando il campo, seguito dai compagni di squadra. Tra i tifosi identificati c’è anche Riccardo Grittini, assessore di un piccolo comune lombardo e molto vicino a Salvini, che lo difende: «È assurdo comunque finire sotto processo per un buu allo stadio. Uno che fa un buu allo stadio rischia tre anni di galera, mentre è ai domiciliari uno che ha stuprato una ragazza a Bergamo. Secondo voi è normale?». Pochi mesi dopo alla vigilia di Hellas Verona-Milan gioca d’anticipo: «Se i buuu arrivano a Balotelli è perché fuori dal campo è un cretino e non ha niente da insegnare».

Intanto Salvini è diventato una figura sempre più importante all’interno del partito. Nell’autunno del 2013 si dice voglia concorrere alla poltrona di Sindaco di Milano. Invita Pisapia a togliere il disturbo al più presto, «in contemporanea con Allegri». Ancora tifo e politica, sempre più sfumati uno dentro l’altro. Poi, svela il suo sogno: «Il Milan che vince un'altra Champions e io seduto sulla poltrona oggi purtroppo occupata da Pisapia».

Giugno 2014, nuova stagione, nuovo allenatore, Salvini incontra Berlusconi a Casa Milan e gli chiede una squadra con meno stranieri. Il Presidente gli regala foto e una maglia rossonera, per alcuni è un investimento politico. Salvini è da poco diventato il Segretario federale della Lega Nord, succedendo a Bossi. Il suo tifare Milan diventa parte integrante della sua narrazione politica. A dicembre Repubblica gli dedica una video intervista di sei minuti dal titolo Cuori di calcio, la prima cosa che dice è «Un milanese normale tifa Milan», poi guarda in camera e sdrammatizza «Qua ora mi frego un milione di elettori». Il suo idolo è Baresi, ha festeggiato quando Allegri «è andato alla Juve a far disastri», per il Milan vorrebbe l’azionariato popolare, come Barcellona e Real Madrid.

«Il Milan è troppo serio per confonderlo con la politica» dice mentre parla di Milan e politica.

Il Milan intanto sta sprofondando sempre di più nella mediocrità del tramonto berlusconiano. I commenti di Salvini sui social e nelle dichiarazioni sono quelli del tifoso intransigente. I giocatori sono «Undici pagliacci indegni della maglia rossonera», Balotelli per primo. Tra Salvini e Balotelli esiste una conversazione quasi univoca che meriterebbe un articolo a parte. L’ultima, a rimescolare il passato, ha visto Salvini cambiare idea «Ho sentito Balotelli durante il coronavirus e ho conosciuto una persona diversa rispetto a quello che avevano dipinto i giornali. Spero che anche lui possa dire lo stesso», Balotelli non dice nulla. All’inizio del 2015 dopo aver assistito alla sconfitta contro l’Atalanta lascia questo pensiero alle sue pagine ufficiali: «Perdere per perdere, almeno vorrei vedere 11 giovani italiani in campo». Poco dopo anche Berlusconi inizia a parlare di un Milan del futuro «giovane e italiano».

Salvini ha appena iniziato la trasformazione del suo partito da feudo delle idee federaliste del Nord Italia a partito che abbraccia il populismo nazionale. In visita a Palermo gli chiedono se un accordo con Berlusconi è possibile, le elezioni non sono lontane. Lui tentenna, il giornalista gli dice che, insomma, da milanisti dovranno pur capirsi. Lui risponde, dal nulla, «da milanista, la fascia di capitano indossata da Muntari è una cosa che non avrei mai pensato di vedere». Ancora una volta il tifo diventa un modo per mescolare Milan e politica. Salvini vuole intendere, da tifoso, che è troppo scarso per la fascia o, da politico, per il colore della pelle? Poche settimane dopo il suo messaggio è più chiaro: «Gli immigrati che lavorano bene sono i benvenuti. Quindi Muntari può tornare a casa sua».

Il 4 ottobre è a casa di Berlusconi per parlare di alleanze e vedere il Milan perdere 0-4 con il Napoli: «Ho visto la sconfitta del Milan con Berlusconi. Il problema è che Galliani non ne azzecca più una». A novembre sono in piazza insieme, a Bologna. Berlusconi viene fischiato, ormai è evidente il passaggio di consegne all’interno del centrodestra, Salvini commenta ironico «Erano per il Milan». Il dialogo tra i due, almeno in pubblico, passa solo e soltanto per la squadra di cui uno è proprietario e l’altro tifoso. Il 2016 si apre con il Derby di Milano che i due guardano insieme allo stadio. Al 70’, con i rossoneri in vantaggio per 1-0, Icardi sbaglia un rigore. Salvini alle spalle di Berlusconi si alza in piedi e fa il gesto dell’ombrello per almeno cinque volte.

Alcuni post su Facebook di Salvini nel 2016: «Sempre e comunque Forza Vecchio Cuore Rossonero. Ma questo Milan non è una squadra, è una vergogna. BASTA!!!», «Abate titolare del Milan è come la Boldrini presidente della Camera. Una vergogna», «Povero Milan, povero Diavolo, che tristezza ragazzi... Ma che si può fare???», «Altra figuraccia del mio Milan... Basta!!! Galliani a casa, e con tutta la gratitudine per gli stupendi successi del passato, ormai rimane da dire #silviovendi».

Salvini incontra Insigne e Callejón in albergo. Si fa un selfie che posta sui social. Il Napoli risponde tramite i propri canali ufficiali che il segretario della Lega voleva scusarsi per i cori contro i napoletani fatti in passato. «Non le abbiamo accettate ma lo abbiamo ascoltato volentieri» dicono. Si riferiscono a dei cori da stadio fatti partire da Salvini alla festa di Pontida del 2009, cori razzisti contro i napoletani. «Se ci sono napoletani che si sono sentiti offesi, mi scuso» aveva dichiarato all'epoca Salvini «ma credo che un politico debba essere valutato per quello che fa, non per quello che dice un sabato sera tra amici quando si parla di calcio».

L’altro grande filone del Salvini tifoso sono le Nazionali. Nel 2000 aveva commentato la finale tra Italia e Francia su Radio Padania, esultando come un pazzo al golden gol di Trezeguet. Nel 2006 aveva detto di tenere per la Germania: loro sono una Repubblica federale e non hanno Moggi, le sue motivazioni. Nel 2010 era a Radio Padania a tifare Paraguay contro l’Italia, «Non c’è nessun articolo della Costituzione che obbliga a tifare per qualcuno. Noi tifiamo per chi gioca meglio» dice, da direttore del palinsesto. Nel 2018 si era rallegrato dell’eliminazione della Germania contro la Corea del Sud, per poi volare a Mosca per la finale dei Mondiali del 2018 «per gufare la Francia di Macron», che poi aveva battuto per 4-2 la Croazia.

Intanto il Milan passa dalle mani di Berlusconi a quelle di Yonghong Li. Salvini non è contento. Scrive: «Da oggi il Milan è di proprietà cinese. Mah… Cin cin». Per un po’ la doppia proprietà cinese di Inter e Milan è al centro del suo dissenso di tifoso:«Guardare il derby dei cinesi era una tristezza, in curva e in tribuna sembra di essere a Pechino, non a Milano. Avevo i biglietti per andare ma non l’ho fatto» rimane però un tifoso passionale «Quando al 97’ ha segnato Zapata ho esultato come Godzilla». Lo stadio cambia la funzione politica per Salvini. Non è più il luogo dove “farsi un nome”, ma un posto da dove può lanciare messaggi. Il giorno della finale di Coppa Italia, ad esempio, si presenta all’Olimpico vestendo una giacca del marchio Pivert, vicino a CasaPound. La Juventus batte il Milan 4-0 e vince la Coppa. Pochi giorni dopo Salvini giura da Mattarella come vicepresidente del Consiglio del “Governo giallo-verde” e Ministro degli interni. Al momento della firma dalla manica spunta il braccialetto rosso-nero del Milan.

Da Ministro dell’interno, il calcio diventa anche parte dei suoi doveri: l’ordine pubblico per le partite, per esempio, le società dovrebbero pagarlo da sole. A novembre incontra i capi dell’AIA dopo l’aggressione subita da un arbitro nella Promozione laziale. Salvini si impegna per riportare sui campi da calcio disciplina, ordine e rispetto. I suoi strali arrivano fino a Higuain, che il giorno prima - con la maglia del Milan - è stato espulso per proteste. «Da milanista mi sono vergognato del comportamento del nostro centravanti, Gonzalo Higuain: è stato indegno». Qualche settimana prima, dopo la sconfitta del Milan nel Derby con un gol di Icardi nel recupero, Salvini aveva commenta laconico: «Quando giochi per limitare i danni, come va a finire? Ti massacrano. Giocatela per vincere, ieri il Milan ha giocato alla Monti e con la Fornero in porta», ancora una volta Milan e politica si mischiano come se fossero sullo stesso piano della discussione. Dopo la partita con la Lazio, pareggiata da Correa al 94’, Salvini dice «Fossi stato in Gattuso avrei fatto dei cambi», l’allenatore sbuffa: «Salvini si lamenta perché non ho fatto i cambi. Ha cominciato con Higuain, ora è un'abitudine, poi i biglietti del derby, continuiamo così allora». Gattuso gli fa notare la stranezza della cosa: «In un Paese pieno di guai» dice «se il vicepremier parla di calcio significa che siamo messi male», una dichiarazione che lo trasforma per qualche settimana in un nuovo idolo di una sinistra che non ha idoli.

A dicembre vola ad Atene per Olympiacos-Milan, i rossoneri perdono 3-1 e vengono eliminati dall’Europa League, lui pubblica una foto dei tifosi, «gli unici a salvarsi». Tre giorni dopo è all’Arena Civica per i 50 anni della Curva Sud del Milan. Viene immortalato mentre stringe affettuosamente la mano a Luca Lucci, capo degli ultras rossoneri indagato per traffico di droga ma soprattutto condannato per aver picchiato un tifoso dell’Inter che poi aveva perso l’occhio. Il Ministro degli Interni risponde alle polemiche dicendo: «Io stesso sono indagato. Sono un indagato in mezzo ad altri indagati». In futuro prenderà le distanze dicendo di non averlo mai visto prima: ci sono tifosi buoni e meno buoni, chioserà.

Nella pancia dello stadio dopo Roma-Milan, 1-1, Salvini ha di nuovo qualcosa da dire all’allenatore del Milan: «Sono due punti persi, ma non dico nulla altrimenti Gattuso si offende. Certo, non capisco come si possa lasciare Calhanoglu per 90 minuti in campo». Interrogato a riguardo, Gattuso non risponde. Il 9 marzo, giorno del suo compleanno, Franco Baresi gli regala una sua maglia originale e una riproduzione fedele della Coppa dei Campioni. Pochi giorni dopo è allo stadio per il Derby tra Inter e Milan. La squadra di Spalletti vince per 3-2 e sorpassa i rivali al terzo posto. Appena dopo il fischio finale, Salvini scarica la sua rabbia sui social: «Se non giochi a calcio per 70' su 90’, se non ci metti l'anima, se metti in campo 'giocatori' che hanno la voglia, la grinta e la forma fisica di un bradipo, è giusto che tu perda. Ma Kessié deve giocare per forza??? Forza Milan sempre».

Ripreso mentre crea il messaggio dice «in maniera molto rispettosa».

Va al Maurizio Costanzo Show, Maurizio Costanzo gli chiede cosa pensava di fare da giovane, lui risponde «il calciatore del Milan». I rossoneri vengono eliminati dalla Lazio in semifinale di Coppa Italia, il Segretario della Lega li apostrofa con la parola “vergogna”, gli risponde Leonardo, direttore sportivo della squadra, «Ha usato la parola vergogna solo per il gioco del Milan, e invece bisogna spendere quella parola per episodi molto più gravi». Si riferisce agli evidenti ululati razzisti rivolti dai tifosi laziali a Kessie e Bakayoko verso i quali Salvini, Ministro dell’Interno, poteva intervenire facendo sospendere la partita. La replica non si fa attendere: Salvini bolla gli ululati come «cori di qualche imbecille» che non contano nulla, al contrario giudica bizzarra e grave la richiesta da parte di un dirigente di una squadra prestigiosa come il Milan, una squadra che non si attacca alla sospensione della partita. Chiude una risposta da Ministro dell’Interno con questo augurio «Da tifoso mi piacerebbe che mio figlio, che oggi ha 16 anni, vedesse vincere qualcosa al Milan prima della pensione».

Torna a Palermo, mentre si fa dei selfie con alcuni ragazzini gli chiede per che squadra tifa. Alla risposta da parte loro «Juventus», commenta - sorridendo riportano i cronisti - «Che degrado». A maggio la Lega trionfa alle Elezioni Europee, in un clima di festa dalla finestra dell’ufficio di Matteo Salvini in via Bellerio a Milano compaiono una statuetta di Alberto da Giussano, simbolo della Lega, un uovo di Pasqua brandizzato Milan, un canederlo infilato in una forchetta e una bandiera dei Quattro Mori. Poco dopo arriva una sua foto con alle spalle una libreria. Tra foto di Putin e Baresi, il cappello pro Trump e La crociata di Himmler si può vedere in bella vista il libro Leggenda Milan.

In estate incontra Arrigo Sacchi in spiaggia, insieme si mettono a ricordare la formazione che vinse la Coppa dei Campioni nel 1989. Salvini sbaglia qualche nome, poi si lascia andare ad amare considerazioni sul Milan attuale. Il campionato riparte con Giampaolo al timone, ma i rossoneri stentano. Salvini si sbizzarrisce a Telelombardia: «Sarà mica il Milan quello che abbiamo visto?» si chiede. Cambiano gli allenatori ma il Milan rimane - parole sue - «imbarazzante». Per lui, a questo punto, il problema sta in alto: «Quando hai un fondo come proprietario... Boban e Maldini erano grandi in campo ma non è detto che abbiano successo anche in tribuna» poi continua parlando di San Siro, che per lui non deve essere abbattuto, e di stranieri che non dovrebbero giocare nel Milan. Nel giro di 9 giorni i rossoneri perdono contro Inter, Torino e Fiorentina, Salvini sbotta «Devono ridarci la nostra passione, la nostra fede», pur sottolineando come non ha competenze tecniche si lancia in diverse considerazioni tecniche: «Alcuni giocatori non sono da Milan. Faccio qualche nome: Calhanoglu, ​Suso, Kessié, Rodriguez,​ Biglia».

Il Milan sostituisce Giampaolo con Pioli, Salvini torna a usare il Milan come metafora politica «Far cadere Conte e sostituirlo con Draghi? Non è che stiamo parlando della panchina del Milan, esce Giampaolo entra Pioli, perdevi prima perdi adesso». Dopo un altro Derby perso con Salvini allo stadio, qualcuno fa girare l'hashtag #Salviniportasfiga facendo notare come la presenza del politico allo stadio e le sconfitte del Milan vadano spesso insieme.

A un certo punto l’obiettivo delle sue critiche diventa Suso. Sotto un post Instagram del Milan che fa gli auguri al calciatore spagnolo, Salvini commenta “Auguri! Nella speranza che Babbo Natale ti porti velocità, grinta e voglia di giocare”. Poche ore dopo Suso aggiunge “Grazie Salvini. Nella speranza che Babbo Natale ti porti un po’ di velocità, di grinta di voglia di amministrare meglio, molto meglio, un paese che amo”, la risposta diventa virale. Salvini affida la propria contro-risposta all’agenzia di stampa Agi: “Non ho voglia di fare polemica e rinnovo gli auguri di buon compleanno a Suso, anche a nome di tutti i milanisti che da lui si aspettano di più, visti i milioni di euro che prende. Per quanto riguarda gli italiani, pare che gradiscano il mio modo di amministrare il Paese, visto che siamo il primo partito italiano. Hasta la victoria”.

Alle porte del Natale il Milan viene travolto per 5-0 dall’Atalanta, dopo la partita commenta «Come il governo Pd-M5s: senza idee, cuore e dignità», «In Parlamento indegni dell'Italia, a Milanello indegni della maglia». Poco dopo in una diretta su Facebook torna sull’argomento: «Dal governo Conte al Milan di Pioli, la differenza è questa: le vittime di Conte sono 60 milioni di italiani, le vittime di Pioli siamo solo noi poveri milanisti».

A gennaio, in piena campagna elettorale in Emilia-Romagna, Salvini sale su un palco e chiede alla gente nelle ultime file di venire avanti se ha il menisco buono «non come Suso», in sala parte qualche timido applauso. Lo spagnolo rimane un punto fisso delle sue chiacchiere a tema Milan: dopo uno 0-0 in casa con la Sampdoria, nel giorno del nuovo debutto di Ibrahimovic, Salvini commenta così la sciatteria dei rossoneri «Bentornato Ibra, ma che pena il resto… Una domanda: far giocare sempre Suso è previsto da una legge speciale o è solo masochismo?». Pochi giorni dopo lo spagnolo va al Siviglia, Salvini dice di essersi stappato una Fanta.

Anche il Milan di Pioli non decolla, Salvini è allo stadio per la semifinale di Coppa Italia contro la Juventus, che i bianconeri pareggiano oltre il 90’ su calcio di rigore. Intercettato il giorno dopo in strada, Salvini dice «Pensavo che l’arbitro avesse la maglietta della Juve, non mi sono accorto che fossero dodici in campo». Qualche giorno prima aveva detto che più che con Conte, avrebbe voluto parlare con Pioli. L’intervistatore gli chiede allora cosa gli direbbe. Salvini tergiversa, dice dai dopotutto sta facendo un buon lavoro, però una cosa deve dirla «magari il preparatore atletico visto che nel secondo tempo con l’Inter siamo spariti dal campo. Qualcosa sulla preparazione atletica mi interesserebbe capirla. Però dai, il calcio è un giuoco».

Sono le ultime partite prima del lungo lockdown. Al ritorno il Milan diventa uno schiacciasassi inarrestabile anche se di fatto Pioli è un allenatore a tempo, visto che i rossoneri stanno trattando con Rangnick per la stagione successiva. Per il capo della Lega non è il tedesco il problema, ma il fatto che il Milan non abbia un presidente italiano. Fa anche l’identikit del profilo che vorrebbe alla testa della sua squadra: preferibilmente italiano, con un nome e un cognome, che ci metta grinta e passione, «Se il presidente è un fondo speculativo finisce la poesia». Dopo una grande vittoria, arriva la riconferma di Pioli. Salvini ai microfoni di Lady Radio si rallegra. Sarebbe stato sciocco fare il contrario, visti i risultati.

Senza più lo stadio come megafono e con i social diventati ormai una macchina da guerra asettica ai sentimenti pallonari, le dichiarazioni pro o contro il Milan di Salvini scemano rapidamente. In estate arriva però un notevole colpo di coda: Salvini posta una foto con la figlia mentre indossa una mascherina - che già è una notizia - con stampata sopra la famosa foto scattata dietro la porta dell’Old Trafford mentre Shevchenko spiazza Buffon per regalare al Milan la Champions League del 2003. Dopo maglie e sciarpe, anche la mascherina si impregna di simbolismo da tifoso.

Oggi il Milan è primo in classifica, gioca bene e sembra avere alle spalle un progetto se non vincente almeno solido e futuribile. Un mese fa Salvini ha detto che giocano bene e sono favoriti per lo Scudetto con il Napoli, ma sembra mancargli quel fuoco sacro del tifo che lo animava quando le cose andavano male. Come in politica, anche nel tifo Salvini trova il suo spazio ideale quando può andare contro. Lamentarsi che le cose vanno male, che è tutto da rifare, che i giocatori fanno schifo, la dirigenza è incompetente. È una delle possibili strade del tifo, che sappiamo sono infinite, e tutti i tifosi sono stati distruttivi e nostalgici a un certo punto della loro vita. Ma per quanto tempo può essere divertente tifare così?

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