Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
In un calcio di marcature a uomo, siate Matteo Gabbia
14 ott 2025
Il centrale del Milan passa sotto traccia per il suo modo di difendere, ma è stato tra i migliori di inizio stagione.
(articolo)
7 min
(copertina)
IMAGO / ABACAPRESS
(copertina) IMAGO / ABACAPRESS
Dark mode
(ON)

C’è una statistica alla quale i portali e gli account social dedicati al Milan hanno riservato parecchio spazio in questi giorni: Matteo Gabbia, secondo DataMB, è il difensore della Serie A ad avere la percentuale più alta di duelli vinti, l’83,3%, a pari merito con Gaspar del Lecce. Una statistica che dovrebbe rispecchiare l’ottimo momento del difensore di Busto Arsizio – che infatti in questi giorni è impegnato con la Nazionale – e per estensione di tutta la retroguardia del Milan, la seconda meno battuta di questo primo scorcio di Serie A con sole 3 reti subite.

Volete un altro dato che esalti il rendimento di Gabbia? Sappiate che al momento il numero 46 rossonero, secondo Hudl StatsBomb, non è stato saltato nemmeno una volta dagli avversari.

Sono numeri lusinghieri, certo, ma come tutti i numeri vanno contestualizzati. E allora, se li si cita, è giusto tenere a mente che in realtà Gabbia, tra i difensori della Serie A con almeno 300’, è di gran lunga ultimo per aggressive actions ogni 90'. Le aggresive actions sono i tackle, i falli o le pressioni esercitate entro 2 secondi dalla ricezione dell’avversario. Gabbia ne effettua appena 3,08 ogni 90’, nettamente la media più bassa in Serie A, col penultimo, Kempf, staccato a 3,36. Tenuto in considerazione questo dato, e anche il fatto che il Milan sia una squadra reattiva (PPDA più alto del campionato - quindi squadra che concede più possessi agli avversari per azioni difensive - e quinta squadra che effettua azioni difensive più vicino alla propria porta), diventa facile capire perché Gabbia abbia una percentuale così alta di duelli vinti e perché non sia mai stato saltato. E sapete cosa c’è? Che va benissimo così.

La grande costante di quasi tutte le squadre di Serie A sono i duelli uomo su uomo, il vero tema tattico del nostro campionato. Non esiste praticamente altro modo di difendere in Italia, che si scelga di pressare o di aspettare bassi. Siamo il campionato dei braccetti che escono a palla di cannone sugli avversari tra le linee, uno dei motivi principali per cui il gioco scorre lento e gli arbitri sono costretti a fischiare più del dovuto. La Serie A è il campionato di quelle che in gergo si chiamano “vecchie” o “vecchiette”, quei colpi un po’ bastardi, con il ginocchio o con il gomito, che si tirano all’avversario girato di spalle: non esiste una statistica che conteggi falli del genere, ma immagino che saremmo nettamente i primi nei cinque principali campionati.

Gianluca Mancini è un po’ l’ambasciatore di questo tipo di gioco, un difensore cresciuto a pane e marcature a uomo, il cui pezzo forte sono proprio le scalate in avanti sull’avversario girato di spalle. Contro Israele è probabile che sia lui a prendere il posto dello squalificato Bastoni. A meno che Gattuso non voglia dare fiducia a Matteo Gabbia.

Ecco, Gabbia rappresenta proprio la negazione del modo in cui si difende in Serie A nel 2025, un difensore agli antipodi rispetto a Mancini. In un campionato in cui i centrali pensano sempre meno e hanno occhi solo per gli attaccanti, consola sapere che ci sia un difensore capace di sopravvivere perché legge meglio il gioco rispetto alla media; e quindi può permettersi di avere un numero irrisorio di aggressive actions.

Gabbia è quel tipo di centrale che Carlo Ancelotti definisce “pessimista”. Che pensa, cioè, sempre a come potrà arrivare il pericolo e fa di tutto per prevenirlo. Un difensore che, più che a mettere il piede, deve pensare a mantenere la posizione giusta e impedire agli attaccanti di ricevere in condizioni di vantaggio. Gabbia sa di non potersi imporre di pura forza nei duelli, e allora ha bisogno di ricorrere ad altro, a dettagli che i difensori abituati ai duelli a tutto campo a volte sembrano ignorare.

Alla concentrazione, e alla consapevolezza di cosa gli accade intorno, che si palesa nel modo in cui ruota in continuazione la testa, per tenere a bada la palla, l’uomo e lo spazio alle spalle.

Ma anche ai piccoli espedienti, come il contatto con l’attaccante, che gli evita di perdere la marcatura. I suoi duelli con Højlund e Lucca nella partita vinta contro il Napoli, in questo senso, sono stati un piccolo trattato su come dovrebbe comportarsi un difensore a palla lontana.

Appena il Napoli arrivava sulla trequarti, e Højlund prima e Lucca poi provavano a farsi vedere, Gabbia era lì dietro, sempre a contatto con loro, a infastidirli con tocchi, spintarelle e qualche strattonata che rendeva difficile liberarsi e rendersi disponibili.

Quello disegnata da Allegri in questo avvio di stagione, sembra un po' l'abito tattico ideale per Gabbia. Piazzato al centro della difesa tra Tomori e Pavlović, lo si vede dare costantemente indicazioni ai compagni su dove posizionarsi. Per qualità atletiche e abilità nei duelli, Gabbia non è all’altezza né di Tomori, né di Pavlović, né, probabilmente, di buona parte dei difensori della Serie A. Se però si parla di letture e di “competenza” difensiva, beh, in quel caso non c’è paragone, non solo con i compagni di reparto al Milan, ma probabilmente con tutti i difensori italiani di piede destro. Che è il motivo per cui anche in Nazionale, forse, meriterebbe una chance.

Forse lo ignoriamo perché è un giocatore che passa facilmente sotto traccia, ma questa è la terza stagione da titolare per Gabbia nel Milan, la seconda e mezzo ad essere pignoli: era tornato in rossonero a gennaio 2024, dopo una breve esperienza al Villarreal, dove aveva potuto lavorare con un difensore come Raúl Albiol, che ha lo straordinario pregio di migliorare chiunque giochi accanto a lui, e con un allenatore maniaco della difesa di reparto come Marcelino.

Lì Gabbia ha trovato per la prima volta un minimo di continuità, tra campionato ed Europa League, e racconta di aver cambiato mentalità e modo di lavorare: «Non è sempre lavorare di più, forse per me si trattava di lavorare meno ma meglio. Alcune volte quando non giochi vuoi far vedere che ci sei, vuoi allenarti di più per essere pronto, ma non sempre questa è una cosa positiva. Sono riuscito a trovare una comfort zone più sicura per me dal punto di vista di allenamenti e di organizzazione della settimana: in Spagna ho giocato di più e non è una cosa banale, ho avuto più continuità. Sono tornato qui e ho avuto più continuità, giocare con costanza ti aiuta».

Da fuori è impossibile capire del tutto da cosa dipenda lo sviluppo di un calciatore, possiamo solo fare congetture. Tanto più per i difensori, che sono soliti migliorare con gli anni. Alcuni centrali italiani, poi, sembrano destinati ad emergere quasi dal niente, dopo essere stati trascurati per una carriera intera. Non ci è dato ancora sapere se anche Gabbia assurgerà a quello status.

Di certo, però, da un po’ di tempo è il più affidabile dei difensori del Milan. Lo è quest’anno che finalmente la porta di Maignan sembra più sicura, ma lo era già l’anno scorso quando la retroguardia era un colabrodo.

Certo, Gabbia non è infallibile e di errori ne ha commessi anche lui dal suo ritorno in rossonero: su tutti, la palla persa che ha dato avvio alla sconfitta in casa della Dinamo Zagabria, forse decisiva per l’esclusione del Milan dalla top-8 della scorsa Champions League, ma non meno dell’espulsione di Musah e della sciatteria con cui tutta la squadra ha affrontato quella partita.

Oppure la spallata con cui Lukaku l’ha mandato a terra in occasione del gol di Dybala al ritorno dei quarti di finale di Europa League contro la Roma – un’azione che ha fatto dimenticare a molti che all’andata se il Milan non aveva perso di 2 o 3 gol gran parte del merito era stato di Gabbia.

L’impressione, però, è che se il Milan di Allegri continuerà a nasconderne le debolezze, lui in cambio potrà continuare a guidare la difesa e a restituire a tutto il reparto una sensazione di calma e di controllo che mancava da troppo tempo.

Sarà anche per una questione di aspetto fisico e di provenienza, se volessimo ridurre il calcio alla teoria lombrosiana. Capelli un po’ demodé, praticamente gli stessi da quando ha esordito, alto ma non troppo, la ‘r’ moscia, il fatto di arrivare da Busto Arsizio. A guardarlo e a sentirlo parlare, Gabbia sembra la classica persona affidabile. Non uno che cattura con il suo carisma, ma quell’amico che c’è sempre, che "usa la testa", a cui sai di poter telefonare quando ne hai bisogno.

Difficile dire se Gattuso abbia bisogno di un tipo di difensore del genere. Del resto, come detto, le caratteristiche di Gabbia sembrano stridere col resto dei compagni di reparto in Nazionale: se la squadra si scollasse per favorire le uscite aggressive di centrali e terzini, Gabbia potrebbe ritrovarsi esposto in maniera pericolosa.

Gattuso, però, fino ad ora nella sua esperienza di allenatore ha sempre cercato di costruire squadre accorte, dal baricentro mediamente basso: era lui l’allenatore con cui Romagnoli, altro centrale poco aggressivo sull’uomo, in un’intera stagione non era stato mai superato. Peraltro, nel calcio per Nazionali non è così comodo improntare sistemi di pressing alto: visto il poco tempo a disposizione, più facile rimanere compatti a presidio degli spazi. Se Gattuso decidesse di sviluppare la sua Italia in tal senso, Gabbia potrebbe diventare un’opzione valida. Di certo la migliore tra quelle di piede destro.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura