
Martin Odegaard ha l’aria di una persona seria, le due linee sottili che fanno da labbra raramente si aprono in un sorriso. Non sembra mai libero da pensieri, dall’idea di cosa sta per succedere. Fuori dal campo sembra una persona tranquilla, che pesa le parole, non è una persona che risponde d’istinto. Arrivato all’Arsenal nel gennaio 2021, cita Cesc Fàbregas tra i suoi idoli: «Il modo in cui controlla il gioco, il modo in cui detta i tempi, la sua capacità di fornire assist e anche di segnare gol. Tutto ciò che riguarda il suo gioco. Ho cercato di imparare il più possibile quando sono cresciuto guardandolo. Era il migliore». Un modo forse anche per comunicare che tipo di giocatore vuole essere, nonostante venga accostato, tra gli ex dell’Arsenal, soprattutto a Mesut Özil, più che altro per la capacità di mandare in porta i compagni a piacimento con quel sinistro felpato.
Özil era arrivato per far fare il salto di qualità all’ultimo Arsenal di Wenger, mentre Odegaard è stato preso per dare spessore al primo Arsenal di Arteta. Quest’anno che la squadra lotta per la qualificazione in Champions League si è già costruito una reputazione da leader più di quanto la figura di Özil abbia mai fatto a Londra. In una squadra che stava cercando un’identità, fragile nell’entusiasmo di una stagione in bilico tra il mezzo fallimento e la mezza realizzazione, Odegaard ha portato tranquillità e sicurezze, diventando un punto di riferimento. Da quando a metà aprile Lacazette ha perso il posto nell’11, Odegaard ne ha anche ereditato la fascia da capitano.
Capitano già della Norvegia, è il candidato principale per essere nominato primo capitano la prossima stagione, nonostante sia soltanto da un anno e mezzo a Londra. Racconta Ramsdale che è Odegaard quello a cui Arteta chiede più opinioni dopo le partite, il portiere ha raccontato rammaricato di non riuscire a capire cosa si dicono i due in spagnolo durante l’allenamento successivo alle partite. Così ne parla Xhaka, che dell’Arsenal è stato capitano prima di perdere la fascia anche per questioni disciplinari: «Lui è il futuro di questo club, è già capitano quando Alexandre Lacazette non gioca. Può essere molto orgoglioso di sé stesso. Si può vedere quanta strada ha fatto nella sua testa, mentalmente. È molto giovane, ha solo 23 anni, ma nel modo in cui si comporta e sta in campo, sembra che abbia 30 anni. Sembra che abbia già giocato 500 o 600 partite».
Odegaard in campo parla da veterano navigato. Il carisma che mostra viene dal fatto che vive da sempre nel mondo del calcio con i riflettori puntati addosso. La prima volta che abbiamo sentito parlare di lui aveva 15 anni ed era il 2014. Il coetaneo Mbappé era nelle giovanili del Monaco e Haaland in quelle del Bryne. Odegaard debutta nel Real Madrid a 16 anni nel maggio 2015, nei mesi precedenti si era allenato con la prima squadra dopo essere arrivato a gennaio dalla Norvegia, dove era già un calciatore professionista con 5 gol nella massima serie. Figlio di un calciatore di buon livello per il campionato norvegese, Odegaard aveva i crismi del ragazzo prodigio a cui sembra naturale bruciare le tappe, ma come sappiamo non è andata così.
Poi è sparito per un periodo dai radar, si è costruito un sentiero diverso di crescita rispetto a quello che sembrava già pavimentato davanti a uno col suo talento. Perché il talento per giocare nel Real Madrid non è tutto, altrimenti uno come Guti avrebbe avuto tutt’altra carriera. Terminato il percorso con la seconda squadra Odegaard viene bocciato una prima volta da Zidane, non è ritenuto pronto per giocarsi il posto con chi fa le sue cose ma meglio come Modric, Kroos e Isco. Stare in panchina è inutile alla sua età e dovendo giocare viene mandato in prestito per due anni e mezzo nel campionato olandese, il posto giusto per responsabilizzare un rifinitore appena maggiorenne esaltandone i pregi e nascondendone i difetti. Heerenveen prima e Vitesse poi, due squadre di mezza classifica tarate per farlo giocare in contesti con ambizioni crescenti. Poi l’ultimo passo per diventare un giocatore di alto livello a tutti gli effetti col prestito nell’ambiziosa Real Sociedad. Lì, come stella di una squadra che arriva sesta in Liga e raggiunge la finale della Coppa del Re (poi posticipata e vinta nella stagione successiva), diventa anche agli occhi più critici un giocatore vero. Jorge Valdano ne scrive così nella sua rubrica su El País: «Odegaard non deve più essere considerato una promessa. Non serve vedere altro: è un prodotto completo. Distribuisce, ha criterio calcistico, capacità di definire le giocate con passaggi filtranti, dribbling, tiro dalla media distanza. Un talento molteplice, pratico e attraente».
Lui dice di voler restare un altro anno alla Real Sociedad, Valdano stesso scrive consigliandogli di rimanere lì per giocare, ma il Real Madrid non conferma il prestito perché vuole farlo giocare in prima squadra. Solo che a Madrid il posto da titolare va guadagnato e un infortunio al polpaccio lo porta fuori strada proprio ad inizio stagione. Zidane ripete continuamente davanti ai microfoni che è un giocatore di talento e che avrà successo a Madrid. Però Odegaard il campo lo vede sempre meno, fino a quando per tornare a giocare con continuità non accetta l’offerta dell’Arsenal per un prestito di sei mesi. Dopo un impatto positivo con la Premier League, in estate Odegaard accetta di rimanerci e l’Arsenal lo acquista per 35 milioni, come aveva acquistato a suo tempo un Mesut Özil che non trovava più spazio a Madrid.
Odegaard è il giocatore che attraverso le sue letture interpreta la manovra dell’Arsenal e la indirizza, in tal senso può essere considerato il regista della squadra. Non partecipa attivamente fin dall’uscita del pallone dalla difesa ma ne segue i movimenti e poi prende in mano la situazione quando il pallone arriva sulla metà campo e i compagni sono schierati. Con la sua tecnica, la capacità di tradurre in gesto il suo pensiero, detta la manovra. Odegaard è una parete per i compagni che cercano qualcuno con cui associarsi nel corto e al tempo stesso una rampa per i cambi di gioco con cui la squadra di Arteta sfrutta tutta l’ampiezza del campo: muovendosi nel mezzo spazio di destra può aprire il suo sinistro un passaggio corto per un triangolo lungo la fascia, cambio di gioco per l’esterno opposto se vede che c’è spazio, filtrante se la punta si è mossa con i tempi giusti.
Quando non ha il pallone indica ai compagni dove muoversi, consiglia l’azione da fare. È il giocatore dell’Arsenal più pensante, ed è fondamentale in una squadra che pratica il gioco di posizione per ordinarsi e disordinare gli avversari e che ha bisogno poi di un rifinitore. Odegaard è un rifinitore creativo, che con la sua tecnica può compiere gesti che creano un’azione che prima non c’era, bisognava immaginarla. La sua creatività serve quindi sia a dare strumenti in più alla squadra, ma anche a rassicurarla, i compagni sanno che pure un pallone sporco e sotto pressione affidato a Odegaard verrà ripulito e trasformato il più delle volte in una gemma. Così ha descritto Arteta il suo impatto per la squadra la scorsa stagione: «Quando tutti iniziavano a tremare, lui ci ha dato stabilità e serenità col pallone e ha creato un'occasione dopo l'altra. Lo ha dimostrato, credo, fin dalla prima settimana. Il modo in cui entra in campo, vuole sempre la palla e comanda il pressing. È stato davvero influente. Credo che tutti noi siamo rimasti un po' sorpresi perché sembra molto timido e umile, ma quando scende in campo mostra carattere e ama giocare a calcio».
La tecnica e il carisma di Odegaard si notano ancora meglio se osservati da vicino con una camera personalizzata.
Odegaard forse pensa più veloce, forse pensa prima, fatto sta che sembra avere già in testa la giocata prima che il pallone gli arrivi. Un aspetto che fa la differenza in un campionato atleticamente soverchiante come la Premier League. Prendiamo per esempio il suo gol contro il Watford, con l’attacco dell’Arsenal che si dispone nella sua classica situazione di triangolo tra terzino destro e ala destra e Odegaard nel mezzo spazio destro. Da qui il pallone deve passare dal terzino Soares all’ala Saka alle spalle della linea difensiva, per crossare per la punta Lacazette che intanto taglierà verso il centro dell’area. Per come sono le distanze tra Soares e Saka, però, è molto improbabile che il terzino riesca a fare un filtrante per lanciare l’ala senza che il pallone venga intercettato dal marcatore di Saka. Allora si avvicina ai due Odegaard per fare da terzo uomo. Soares non se la sente però di dare il pallone a lui in diagonale e preferisce la scelta più sicura di darla a Saka, la cui unica opzione sensata per evitare l’intervento dell’avversario diretto è passarla di prima ad Odegaard. Il marcatore di Odegaard sa che è mancino e lì vuole intervenire in anticipo, ma il norvegese sfrutta questo movimento per fare la sua mossa: posiziona il corpo per proteggere la palla che arriva e lasciarla scorrere verso il destro, mentre cambiando l’angolo del piede la colpisce di prima di tacco alle spalle del suo marcatore ormai passato per andare sul sinistro. Eccolo il passaggio nello spazio che può attaccare Saka e ricevere libero per il cross. Mentre tutti guardano Saka che riceve, Odegaard ha già compiuto un giro su sé stesso e può scattare al centro dell’area libero di ricevere lui il cross invece di Lacazette marcato. Stop e tiro sul secondo palo prima che arrivi l’intervento in copertura ed ecco il gol del vantaggio al quinto minuto.
In quest’azione vediamo anche una delle sue giocate preferite, il colpo di tacco. C’è un senso di naturalezza nel suo uso del tacco, a volte minimali e a volte sono ostentati, di prima o da fermo sfruttando anche la suola del piede, ma sempre trasmettendo l’idea che fosse semplicemente il modo con cui voleva trovare quel compagno lì. Il tacco per Odegaard è un modo come un altro per sfruttare la sua tecnica e aiutare la circolazione del pallone; è un colpo che dimostra la sua percezione del campo e dei compagni a 360 gradi. Quanto sia in grado di sfruttare tutti gli angoli del suo corpo per arrivare dove gli avversari non se l’aspettano. Evidentemente per una squadra che suddivide razionalmente il campo come l’Arsenal di Arteta, rubare una frazione di secondo o sorprendere l'avversario costringendolo a cambiare direzione mentre il giocatore riceve palla è un ingrediente decisivo per il successo della manovra offensiva. Su YouTube si trova una compilation intera che raccoglie i suoi colpi di tacco solo in questa stagione.
Ovviamente il colpo di tacco è solo uno dei modi con cui Odegaard sfrutta la sua tecnica privilegiata al servizio della costruzione di azioni offensive, dove il suo livello di rifinitura risulta già uno dei migliori della Premier League. Provando a rendere più tangibile il discorso: in questa stagione ha fatto 4.37 azioni p90 che portano la squadra a un tiro (dato Statsbomb), nella Premier League solo Kevin de Bruyne, Jack Grealish, Trent Alexander-Arnold e Hakim Ziyech hanno fatto meglio. Così come solo Bruno Fernandes, Trent Alexander-Arnold, Kevin de Bruyne e James Ward-Prowse hanno fatto più dei suoi 67 passaggi chiave in stagione in Premier League. Insomma, Odegaard a 23 anni è uno dei migliori rifinitori della Premier League. Quando gli chiedono chi è ora il miglior centrocampista al mondo, Odegaard nomina Kevin de Bruyne. Il belga è un centrocampista a vocazione offensiva che dà il suo meglio se riceve in zona di rifinitura per sfruttare la sua tecnica e la sua visione di gioco dove conta di più. Se il compagno si muove con i tempi giusti, de Bruyne il pallone glielo fa arrivare in qualche modo pulito, e Odegaard sta mostrando la stessa capacità di incanalare la manovra della squadra ripulendo il pallone per il fronte offensivo. Per dirla con le parole del compagno di nazionale Erling Haaland: «Quando giochi con lui senti che tutto va al suo posto, che può trovarti con quei filtranti».
Quando hanno chiesto a Thierry Henry qual è il giocatore con cui ha avuto più piacere nel giocare, uno che l’ha fatto con Messi e Zidane, ha risposto Dennis Bergkamp. Per una punta avere come compagno di squadra un rifinitore che sembra leggerti le intenzioni e ti fa arrivare il pallone preciso dove l’avresti voluto e a volte dove neanche sapevi di preferirlo, è la cosa che fa più piacere. Dopo aver lasciato andare a metà stagione Aubameyang e con Lacazette che lascerà a scadenza di contratto in estate, l’Arsenal è alla ricerca della sua nuova punta di riferimento. Del numero 9 che possa con i suoi gol proiettare la squadra stabilmente nelle prime quattro posizioni della Premier League. I numeri 9 di quel livello sono pochi, intanto però ha Odegaard, cioè il rifinitore di alto livello per servirgli i palloni giusti. Per chiunque arrivi sarà un piacere giocare con lui.