Alagoas è il penultimo stato federale brasiliano per dimensioni, schiacciato tra la striscia del Pernambuco a nord e il triangolo di terra del Sergipe a sud, quasi una scheggia spinta per attrito verso l'Oceano Atlantico. Il breve tratto di costa che gli appartiene è riconosciuto come uno dei più belli del paese: foresta incontaminata, spiaggia, mare; ma l'entroterra alagoano lascia spazio al deserto che taglia trasversalmente tutti i piccoli stati del nord: il Sertão.
Nelle zone rurali di questa regione il clima caldissimo e arido opprime terra e comuni mortali, le giornate passano lente per il popolo che per la maggior parte trascorre una modesta vita agreste. Qui sorge Dois Riachos, un paese con poco più di diecimila abitanti che se non fosse per le parabole della TV satellitare e gli stinti cartelli pubblicitari somiglierebbe ad un pueblo da set western. Gli adulti si affannano a tirare avanti, mentre i bambini e le bambine alzano la polvere negli immensi cortili concessi dal deserto calciando una palla, o qualcosa che ne faccia le veci.
Rispetto ad Alagoas, Malmö è un contesto praticamente opposto. Oltre seicentomila persone in una temperatura che scende facilmente sotto lo zero e un inverno lungo. La città è moderna, i ragazzi giocano in campetti di erba artificiale con le linee disegnate, porte vere e palloni in cuoio. La neve sostituisce la polvere. Una cosa, tuttavia, non è cambiata per Marta Vieira da Silva: tutto intorno a lei continua a muoversi lentamente. Quando riceve il pallone e alza la testa, le altre giocatrici si muovono al ritmo del Sertão, appesantite dal calore e rallentate dall'aria afosa. Questa almeno deve essere l'impressione della migliore giocatrice del mondo, che ha fatto di Malmö la sua seconda casa, anche se così diversa dal posto dove è nata.
Marta gioca ad un ritmo diverso dalle altre, vede spazi e occasioni che le avversarie non pensano neanche di doverle negare, ultima rappresentante del calcio “ballato” brasiliano.
I cartelli all'ingresso del paese spiegano subito l'unico motivo per cui googolare Dois Riachos
Cominciare bene, continuare meglio
La Svezia è stata la sua scelta quando, a 18 anni non compiuti, ha capito che non poteva continuare a giocare in patria per esprimere il suo talento ed essere riconosciuta come una professionista. Nel 2004 si è trasferita all'Umeå, che aveva giocato due finali di Champions League nelle due stagioni precedenti, vincendo la seconda. Marta arriva giovanissima, con tutto da dimostrare, in un ambiente diverso e già vincente prima di lei.
La stagione svedese si disputa sull'anno solare, ma la Champions ricomincia a marzo ed è già alle semifinali. L'Umeå ha passeggiato nel girone, ma non ha dominato nei quarti. La semifinale di andata è in casa del Brøndby, l'Umeå passa in vantaggio, viene rimontata, trova nuovamente il pareggio sul 2-2. A dieci minuti dalla fine, Marta controlla una palla con l'esterno del piede preferito, il sinistro, e poi calcia con l'altro. Segna il suo primo gol nella massima competizione europea col piede debole. Nella partita di ritorno si ripete segnando l'unica rete del match.
La finale è la ripetizione della sfida di due anni prima, che fu vinta per 2-0 dal Francoforte, squadra già sulla strada per stabilirsi come superpotenza del calcio europeo. Marta è l'unica sudamericana a scendere in campo, anzi l'unica non nordeuropea: le altre straniere sono tre finlandesi, una danese e una olandese. Nella formazione avversaria, oltre ad altre due campionesse del mondo in carica, c'è Birgit Prinz, che ha vinto il Pallone d'Oro nel 2003, lo vincerà nel 2004 e poi nel 2005. Prinz ha 27 anni, è nel pieno della sua maturità calcistica, ha già vinto un mondiale e ne vincerà un altro da protagonista, ottenendo il record di 14 gol nella competizione.
Prinz è la giocatrice che Marta vuole diventare, e per farlo deve batterla. Le premesse fanno pensare ad una partita equilibrata, con una giocatrice per parte capace di fare la differenza. Finirà invece col più ampio margine di una finale: 8-0 nel totale. Marta ne segna due all'andata e uno al ritorno, porta a casa la coppa e si svela al mondo del calcio.
In Svezia rimane per quattro stagioni giocando oltre 100 partite, segnando in media più di un gol per match. Alla prima stagione fallirà la doppietta Champions-Damallsvenskan, ma in campionato si rifarà nei tre anni successivi. Sarà la miglior marcatrice del torneo per 4 volte su 5, e giocherà altre due finali di Champions League. Nel 2006 vince il suo primo Pallone d'Oro, dopo essere arrivata terza e seconda nei due anni precedenti. Si ripete nel 2007, in cui disputa un gran Mondiale, e nel 2008. E proprio nella conferenza stampa che precede la terza premiazione, a 23 anni, Marta annuncia il trasferimento negli Stati Uniti per giocare a Los Angeles.
Premiazione “Attaccanti dell'anno” svedesi o in Svezia. Ovvero le migliori due cose accadute nel paese dalla vittoria bellica sulla Norvegia del 1814.
Nei primi sei mesi alle L.A. Sol vince il titolo di miglior marcatrice e contribuisce al primo posto in regular season, che tuttavia non si tramuta in titolo nazionale per una finale persa di misura. La pausa del campionato americano le dà occasione di tornare in Brasile in prestito al Santos dove alza Copa Libertadores e Copa do Brasil. La carriera di Marta corre velocissima: ha vinto in Europa, ha fatto benissimo negli States dove sembra essere destinata a vincere, ha vinto anche in patria dove inizialmente sembrava impossibile che potesse giocare, e nel 2009 le viene consegnato il quarto Pallone d'Oro.
Marta va a un ritmo diverso da quello di chi la circonda, del mondo intorno a lei che si trascina lento, per la polvere, la neve, o perché è raro trovare un talento come il suo. Al suo ritorno negli States, le L.A. Sol non esistono più, come conseguenza di una mancata cessione di proprietà. Marta forse è andata troppo veloce, e il calcio femminile non è riuscito a starle dietro. La migliore giocatrice del mondo è rimasta senza squadra.
La più grande calciatrice di sempre e lo stato del calcio femminile
Marta ha quasi sempre indossato il numero 10 come simbolo del miglior talento e giocatrice di maggior fantasia della squadra, ma ha ricoperto diversi ruoli tra la trequarti e la prima punta. Veloce di piedi e di pensiero, abile nel dribbling e nella finalizzazione, sempre affamata e disposta al lavoro duro.
"The Queen of soccer"
Sarebbe infantile ridurre il suo dominio sulle avversarie al vantaggio fisico: non butta la palla avanti per arrivarci prima dell'avversaria. La sposta continuamente col suo piede sinistro e valuta diverse soluzioni mentre l'avversaria sta ancora cercando di raggiungerla o di capire gli ultimi due tocchi. Marta gioca in tempo reale, chi la marca sta aspettando il buffering del video. Poi, scelta l'opzione giusta, Marta ne finge un'altra con cui far sbagliare la difendente.
Marta decide di rimanere negli USA e nel 2010 firma per le Gold Pride, la squadra di Santa Clara. Con 19 gol in 24 partite è nuovamente la miglior marcatrice del torneo e questa volta mette la firma anche nella finale per il titolo, in cui la sua squadra vince 4-0 e lei è eletta MVP. Le vittorie di squadra le consentono di ottenere il quinto riconoscimento FIFA individuale consecutivo, unica persona a riuscire nel traguardo sino ad oggi. Ma anche le Gold Pride, all'interno di una lega piuttosto debole economicamente, sono costrette a terminare le operazioni nonostante una stagione di successi.
A fine 2010 il suo status di migliore al mondo è incontrastato ed è leader anche della Nazionale verdeoro. Vincere con la Selecão è il tassello mancante nella sua carriera: ormai ha vinto coi suoi club quasi senza sosta: la Champions League appena arrivata in Europa, poi 4 campionati consecutivi in Svezia, 2 regular season negli USA, 1 titolo nazionale statunitense e la Copa Libertadores alla prima esperienza col Santos. Nel 2004 e nel 2008 con la Nazionale ha sfiorato il titolo olimpico portando a casa due medaglie d'argento; nel 2007 è la miglior marcatrice del Mondiale che si gioca in Cina ma non riesce a segnare in finale alla Germania, che vincerà il torneo senza subire neanche un gol.
Il Brasile vince per distacco il titolo sudamericano nel 2003 e nel 2010, e se è vero che Marta non è l'unica giocatrice di talento della selezione, è chiarissimo come la squadra non sia competitiva a livello mondiale senza la sua miglior giocatrice.
Una sola di queste tre persone ha mai toccato una Coppa del Mondo, ed è quella sbagliata.
La popolarità dell'attaccante brasiliana le consente di condividere brevi apparizioni pubbliche coi protagonisti presenti e passati dell'altro sesso. Kobe Bryant, che sa qualcosa sia di grandezza sportiva che di calcio, nel 2009 spiega come sia rimasto affascinato dai video di Marta, mentre li guarda su Youtube con la figlia che si sta affacciando al calcio. In Svezia a chiederle gli autografi non sono solo le bambine ma anche i maschi, che riconoscono in lei l'esempio calcistico migliore nel Paese, senza distinzione di sesso. Marta capisce che è in una condizione di notorietà in cui può servire da esempio per il miglioramento della disparità tra uomini e donne nello sport e più in generale nella società brasiliana, come modello di donna di successo in un mondo prettamente maschile. Così, nella mezza stagione che precede il mondiale tedesco, Marta tenta un secondo ritorno al Santos, anche nella speranza di aiutare un movimento in difficoltà.
Il Santos all'epoca può vantarsi di avere sotto contratto i due più importanti talenti brasiliani: Marta e Neymar. Quest'ultimo gioca in prima squadra da un anno e mezzo, ha vinto il titolo paulista e la Coppa del Brasile, e nel 2011 si aggiudicherà la Libertadores e il premio di miglior calciatore sudamericano. Pelé lo ha già nominato suo erede anni prima. Le tentazioni europee sono già forti anche se si realizzeranno solo qualche anno più tardi. Ma se il club bianconero si trova nella rara condizione di possedere la coppia di stelle Nazionali, problemi economici spingono la dirigenza a tagliare ogni altra risorsa per tenere Neymar il più a lungo possibile: così nel 2011 il Santos femminile viene sciolto.
L'allenatore della squadra maschile, Álvaro, in conferenza stampa spiega che: “L'obiettivo del Santos è avere una squadra professionale [maschile] che possa durare per centinaia di anni, e che ogni attività secondaria è possibile solo quando è possibile”. L'intero budget operativo della squadra femminile si aggirava intorno al milione e mezzo di reais; lo stipendio di Neymar dell'epoca era proprio di un milione. Questa è l'operazione con cui il Santos trattiene per qualche anno in più un grande talento destinato comunque ad andare in Europa, lasciando andare la più forte giocatrice di tutti i tempi, già affermata e disposta a guadagnare meno pur di tornare a casa l'anno prima di guidare la Nazionale al Mondiale.
Qualcuno contento dello scioglimento del Santos c'era: l'altra squadra
Considerate le avversità che Marta ha dovuto affrontare nella sua vita sportiva e non, trovarsi una nuova squadra non è quella maggiore: difatti viene nuovamente accolta negli USA dalle Western New York Flash. Terza stagione in nordamerica, terzo primato in stagione regolare, terzo titolo di capocannoniera, secondo titolo nazionale. Ma tutti i successi di Marta sono agrodolci. Ha vinto almeno un trofeo di rilievo in ogni club in cui ha giocato, ma tutti tranne l'Umeå hanno chiuso i battenti dopo il suo passaggio. A fine stagione 2011 è l'intera lega americana a dichiarare il termine delle competizioni, per poi venire restaurata con un nome diverso nel 2013.
Ritorno in America
Nell'estate 2011 Marta ha 25 anni, è forse al massimo della sua forma e tocca il picco prima di alcune stagioni da grande-ma-non-grandissima. C'è il Mondiale in Germania, in cui ci si aspettano stadi pieni e un aumento di visibilità televisiva, e nonostante il Brasile le abbia dato poco supporto a livello professionale, nel Paese è molto popolare e lei cerca di ripagare l'affetto trascinando la Nazionale ben oltre le sue possibilità.
Le verdeoro vincono il girone a punteggio pieno, Marta contribuisce segnando due gol alla Norvegia nel match più difficile dei tre: la sensazione è che rispetto alle vere candidate al titolo (Germania e USA) e anche alle outsider (Giappone, Francia, Svezia, Norvegia, Inghilterra) le brasiliane paghino sia in termini di talento che nell'impianto di gioco. Ma cercano di essere il più possibile ordinate, e di concedere alla loro numero dieci le occasioni per cambiare le partite.
Il Brasile arriva a Dresda per un quarto di finale dei mondiali. Tutto vero.
Nei quarti di finale il Brasile incontra gli USA che sino a quel momento hanno deluso: si sono qualificate solo attraverso lo spareggio superando l'Italia con un gol all'ultimo minuto e non hanno vinto il loro girone battute nello scontro diretto dalla Svezia. Le due squadre arrivano allo stadio nel più rigido rispetto dei luoghi comuni sui rispettivi Paesi: le americane hanno la faccia seria e da settimane si ripetono il mantra “siamo americane e vinceremo per questo”, le brasiliane scendono dal pullman suonando e ballando.
Che sia merito della concentrazione, delle abilità o solo un caso, gli States vanno avanti dopo due minuti su autorete di Daiane. Il Brasile si trova nella situazione di dover costruire contro una squadra più forte atleticamente e che non ha motivo di scoprirsi. La soluzione è contare fino a(lla) dieci.
Intorno al ventesimo della ripresa Marta si butta in profondità su una palla che entra in area dal lato sinistro, partendo in ritardo rispetto a due avversarie. Accelera, passa in mezzo e arriva per prima sul pallone, lo lascia rimbalzare e col primo tocco sterza improvvisamente passando nuovamente tra le due e superandole con un pallonetto. Mentre la palla ricade prova a calciare in porta ma viene anticipata dalla difendente e atterrata. Il contatto è dubbio, ma l'arbitro fischia ed espelle. Senza entrare nel merito della chiamata arbitrale, Marta ha creato un'azione pericolosa dal nulla.
Il rigore lo batte Cristiane e lo para Solo, ma la direttrice di gara fa ripetere (con un ritardo clamoroso). Questa volta calcia Marta che spiazza il portiere avversario. Gli USA rimasti in dieci riescono a trascinare la partita al supplementare, ma la loro preparazione atletica e mentale fa sì che la differenza numerica sia un mero equalizzatore di una forza altrimenti sbilanciata in loro favore.
Al secondo minuto del primo tempo aggiuntivo, però, Marta riceve dalla fascia un cross sul vertice sinistro dell'area piccola. La palla le rimbalza davanti e non le dà possibilità di stoppare perchè ben marcata, ma lei si approfitta del rimbalzo colpendola da sotto per allungarne la traiettoria. Il pallonetto scavalca il miglior portiere del mondiale, tocca prima terra e poi il palo opposto ed entra in rete, con la naturalezza con cui un cestista si servirebbe del tabellone per appoggiare a canestro.
Mettere il Brasile avanti in questa partita significa già portarlo oltre le proprie possibilità, e Marta ci è riuscita. Per contrastarla ci vuole il colpo di un'altra fuoriclasse, Wambach, che a tempo scaduto segna il gol forse più iconico della sua carriera, che se avesse portato gli USA al titolo sarebbe passato alla storia come quello altrettanto drammatico di Tomasson (ve lo ricorderete come fosse di Inzaghi) in Milan-Ajax del 2003. Nel recupero del secondo supplementare le americane provano il lancio disperato verso l'area: la difesa è schierata male e il portiere esce a vuoto, Wambach va in cielo e trova la porta da posizione per niente scontata.
Ai rigori Marta segna ma il Brasile esce. La narrativa americana ricorderà questa partita, a buon diritto, come ulteriore esempio della volontà superiore degli USA in ogni campo. Sotto di una giocatrice e nel risultato, capaci di riprendersi la partita. Ma la realtà è che è stato il Brasile ad accorciare il divario che era in favore delle avversarie, e col Brasile intendiamo Marta.
La delusione mondiale si somma quindi a quella del fallimento dell'esperienza al Santos, e poi a quella della chiusura della lega americana. La nomade Marta si trova senza una casa, perché non può tornare in Brasile e non ci sono altre squadre negli USA. Perciò torna nella Svezia che l'aveva accolta la prima volta. Firma nel 2012 per il Tyresö, che non ha mai vinto il titolo, e da due anni termina al quarto posto in campionato. Con Marta arriva subito la vittoria nazionale e un secondo posto nell'anno successivo, alle spalle del Rosengård.
Nel 2014 il Tyresö raggiunge la finale di Champions League, che per Marta, nonostante la vittoria del 2004 con tre reti tra andata e ritorno della finale, è diventata una maledizione: con l'Umeå ha giocato altre due finali dopo la prima, perdendole entrambe di misura e segnando solo un gol in quattro partite. La finale 2014 prosegue il trend, con una sconfitta per 3-4 contro il Wolfsburg dopo essere andate avanti prima 2-0 e poi 3-2. Marta segna due gol, che ancora una volta non bastano. Come grottesca ulteriore beffa, il Tyresö vicecampione d'Europa deve annunciare nel giro di poche settimane problemi economici e ritirarsi dal campionato.
Non è uno sport per donne
Marta è la calciatrice più pagata del mondo, e tuttavia il suo stipendio non raggiunge la settima cifra. Marta è anche la calciatrice più forte del mondo, ha vinto cinque palloni d'oro consecutivi, la Champions League, campionati ovunque abbia giocato. Ma averla sotto contratto diventa un problema per le squadre per cui gioca, perchè il business del calcio femminile non genera abbastanza ricavi. Mentre lei, tutto sommato, potrebbe aver messo da parte qualcosa per la pensione, migliaia di altre calciatrici sono costrette a lasciare lo sport perchè nonostante le loro capacità non possono farne una professione.
Dopo il fallimento del Tyresö, ormai ventottenne, Marta ha contattato il Rosengård campione in carica, con la speranza di rimanere in Svezia. Il club si è detto lusingato della proposta, ma ha fatto sapere che non si sarebbe potuto permettere il suo ingaggio. Lei avrebbe potuto muoversi in Germania, ad un club con budget più alto (e forse più competitivo in Champions League), ma ha preferito abbassarsi lo stipendio.
Il CEO del club ha raccontato in un'intervista a ESPN dell'arrivo di Marta, che si è chiesta “se le altre ragazze l'avrebbero accettata”, e al primo allenamento si è messa a raccogliere i coni e le aste da terra. Dopo aver vestito da sempre la numero 10, stavolta l'ha trovata occupata e ha scelto l'11 senza neanche discuterne con la diretta interessata (Bachmann).
A Marta della Svezia piace la semplicità e la poca pressione mediatica. È il modello opposto ai personaggi molto pubblici (e peraltro non sempre positivi) di Solo, Wambach, Morgan, che tanto hanno influenzato la cultura del loro Paese. Marta però è anche una leader silenziosa, che dà tutto dentro e fuori dal campo.
Il Rosengård è stato eliminato dalla Champions League 2014/2015 dal Wolfsburg allora campione in carica, ma ha vinto il torneo svedese 2015. Marta ha compiuto trent'anni poche settimane fa, e sebbene le restino ancora alcune stagioni da giocare ad alti livelli, potrebbe essere iniziato il suo declino. Questo ha influenzato il mondiale 2015, in cui ha segnato solo un gol su rigore (superando Prinz e raggiungendo il Fenômeno a 15 marcature nel massimo torneo, senza distinzioni di sesso). La mancanza del suo supporto extra ha portato il Brasile all'eliminazione agli ottavi, che è più o meno in linea con la forza della squadra. Nessuna squadra sudamericana ha fatto meglio, ma anche in campo continentale le avversarie stanno chiudendo il gap.
Nonostante il calo, nel dicembre scorso Marta ha segnato cinque gol a Trinidad e Tobago portandosi a 98 totali in Nazionale superando Pelé (giunto a 95 nella somma tra gare ufficiali e non) come miglior marcatrice di sempre del Brasile, per poi ritoccare il record a 100 solo poco dopo. Nei giorni che hanno preceduto il suo compleanno, Globo Esporte ha riportato i suoi pensieri dopo il Mondiale canadese. Marta diceva di voler lasciare la Nazionale e ha ammesso che potrebbe non attaccare il record di Klose (16 gol ai mondiali, a lei ne manca uno per raggiungerlo). Marta potrebbe avere un futuro oltre il calcio giocato, in rappresentanza delle organizzazioni che si battono contro le discriminazioni sessuali, ma nel frattempo dà l'idea di essere in missione quando parla dell'Olimpiade da giocare in casa, in cui una medaglia potrebbe rilanciare il movimento femminile locale.
In quel caso, per una volta, ad accelerare sarebbe il mondo intorno a lei.