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Calcio Florent Toniutti 14 ottobre 2015 9'

Marsiglia dopo Bielsa

Tra l’addio del Loco e una chiusura di mercato agitata, l’inizio di stagione dell’OM è stato a dir poco turbolento. Come sta provando a sistemare le cose Míchel?

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Dopo nove giornate l’Olympique Marsille è fermo al sedicesimo posto in classifica della Ligue 1 con solo 8 punti. Tra l’addio a sorpresa di Bielsa, la perdita di alcuni dei giocatori chiave e una chiusura di mercato agitata, l’OM ha affrontato un primo quarto di stagione pieno di turbolenze. Sedutosi in panchina a fine agosto, Míchel sta provando dal primo giorno a far tornare la squadra sulla strada giusta ed è interessante analizzare l’evoluzione tattica della squadra in queste ultime settimane.

 

La rottura brutale con Bielsa

Era cominciato tutto nel migliore dei modi. Contro il Troyes, l’OM di Míchel sembrava aver incorporato in pochi giorni i nuovi principi: anzitutto il modulo (4-1-4-1), un pressing più equilibrato e una maggiore attenzione nel possesso e nella conservazione del pallone. Contro una squadra come il Troyes, che non ha l’abitudine di chiudersi, fu un successo su tutta la linea: risultato finale 6-0.

 

La trasferta successiva a Guingamp, però, ha raffreddato gli entusiasmi (OM sconfitto 0-2); e sono seguiti risultati altalenanti, con l’OM che è rimasto dominante in casa (vittorie contro Bastia, pareggio contro il Lione finendo la partita in dieci contro undici), ma deludente fuori (pareggio contro il Touluse). Poi è arrivata la sconfitta casalinga contro l’Angers (neopromosso dalla Ligue 2), che ha avvolto l’Olympique Marseille di Míchel in una coltre di dubbi, incollandolo all’ultimo terzo della classifica subito prima di affrontare il Paris Saint-Germain al Parco dei Principi.

 

I “cassetti” si sono chiusi

Il problema principale del primo 4-1-4-1 di Míchel è stata la velocità con cui gli avversari hanno capito cosa bisognasse fare per bloccarlo. In fase offensiva il tecnico spagnolo poggiava le basi del suo gioco su dei “cassetti” laterali: quando difensori e centrocampisti salivano con la palla, le ali stringevano in mezzo per offrire una soluzione tra le linee, mentre i terzini si buttavano nello spazio lungo la linea laterale, il “cassetto”, appunto, aperto dalle ali.

 

Teoricamente il circuito di passaggi dell’OM cominciava dentro la propria metà campo difensiva: il primo passaggio cercava di raggiungere l’ala, che girava sull’esterno per il terzino, oppure internamente per l’inserimento di un centrocampista. A quel punto si cercava di finalizzare, con più giocatori che si proiettavano in area avversaria.

 

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Il primo passaggio di Barrada, per Cabella che si è spostato al centro e gira di prima per De Ceglie nel corridoio laterale.

 

I movimenti senza palla—dall’esterno all’interno del campo—erano ripetuti dai giocatori di fascia quasi ogni volta che il pallone arrivava dal loro lato. Ovviamente gli avversari non ci hanno messo molto a capirlo. Nella partita simbolo delle difficoltà del 4-1-4-1 di Michel, l’Angers ha creato densità proprio in quelle zone di campo, con lo scopo di bloccare le catene dell’OM.

 

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Il posizionamento del centrocampista centrale dell’Angers e lo spostamento dell’ala che stringe rendono impossibile il passaggio di Rolando per Cabella.

 

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Stessa cosa dalla parte opposta.

 

Lassana Diarra, l’acceleratore

Dalla sua prima partita con la maglia del Marsiglia, contro Troyes, “Lass” ha impressionato soprattutto per la sua serenità e la sapienza di gioco (tanto da meritarsi una nuova convocazione in Nazionale). L’ex-madridista è centrale nell’organizzazione di Míchel, ed è uno dei pochi ad aver garantito costanza da quando in panchina siede lo spagnolo: a suo agio con il pallone tra i piedi e con un grande repertorio di passaggi, è quello che può accelerare il ritmo della squadra (soprattutto con il gioco lungo).

 

Quando l’OM è bloccato da un lato, Diarra può cambiare rapidamente gioco mettendo l’ala o il terzino sul lato debole in una situazione ideale: con dello spazio davanti, spesso in uno contro uno con il difensore avversario. Quando ha campo per avanzare, invece, Diarra permette di “saltare” il fraseggio sul breve per trovare direttamente un attaccante in profondità o in fascia.

 

Anche in questo caso, però, con il passare delle partite gli avversari hanno capito il pericolo rappresentato da Diarra, se lasciato libero. Per continuare con l’esempio della partita con l’Angers, l’allenatore Stéphane Moulin ha chiesto al suo centravanti (Ketkeophomphone) di non lasciare spazio a Diarra, in entrambe le metà campo. Risultato: la qualità del gioco lungo dell’OM è peggiorata, dal 53% di passaggi riusciti (in media, 19,5 riusciti su 36,6 tentati in totale) “Lass” è sceso a 38% (con 8 su 21 passaggi lunghi riusciti). Con questa poca qualità, Diarra non ha potuto cambiare gioco efficacemente per sfuggire alla densità dell’Angers in zona palla.

 

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In posizione alta o bassa (come qui sopra), l’Angers ha mantenuto una presenza costante nella zona di Lassana Diarra, in questo caso era proprio Ketkeophomphone.

 

Gioco “scolastico”, ali in scacco

La prima conseguenza dell’adattamento degli avversari è stata che l’OM non è più riuscito ad accelerare la propria circolazione: il 4-1-4-1 dipendeva quasi interamente dalle individualità, per cambiare ritmo con i dribbling. Gli esterni di centrocampo, i primi a venire coinvolti nelle ripartenze marsigliesi, si ritrovavano sempre in situazioni in cui era difficile fare la differenza: scivolando al centro finivano spalle alla porta e circondati da avversari, troppo lontani dalle zone che contano.

 

Per girarsi fronte alla porta, spesso dovevano superare due o tre giocatori, il che ha portato ha una mancanza di lucidità negli ultimi venti metri. Stesso discorso in attacco per Michy Batshuayi: con gli spazi tra le linee chiusi a chiave, il belga era costretto a dare battaglia sulla fascia pur di offrire qualche soluzione profonda ai compagni. Decentrato, però, fuori dalla sua zona di campo preferita e meno efficace.

 

Anche per cambiare ritmo con un dribbling i giocatori hanno bisogno di spazio, e nel 4-1-4-1 gli spazi si trovano a centrocampo. La circolazione di palla tra i due centrali di difesa, il centrocampista basso e le due mezzali, in effetti, permetteva di trovare quasi sempre un uomo libero per ripartire. Con Diarra controllato da vicino dagli avversari ne avrebbero potuto approfittare i compagni: i difensori centrali prendendosi qualche responsabilità in più, le mezzali proiettandosi palla al piede.

 

Ma anche in questo caso l’OM non è riuscito a superare i suoi problemi: né Barrada, né Lucas Silva hanno in repertorio il guizzo necessario per rompere le linee avversarie portando palla. In attesa del debutto (ipotetico) di Abou Diaby, i tifosi marsigliesi possono già rimpiangere Giannelli Imbula, adesso al Porto, che spesso e volentieri era sembrato inadatto al ruolo che Bielsa gli aveva assegnato nel suo sistema, ma con caratteristiche che avrebbero fatto comodo al 4-1-4-1 di Míchel.

 

Troppa poca intensità difensiva

L’altra novità introdotta da Míchel a partire dalla partita contro il Troyes si è vista nella fase difensiva: lo spagnolo ha fatto subito piazza pulita del pressing a tutto campo del suo predecessore, preferendo una squadra “in posizione” con il pressing solo in determinati momenti e dopo aver perso il pallone. L’OM alternava fasi di pressing alto per ostacolare l’inizio dell’azione avversaria sulle fasce, a fasi in cui ripiegava a protezione della propria metà campo.

 

Nella metà difensiva il 4-1-4-1 si “scomponeva” in due sottoinsiemi. La prima linea di quattro copriva l’ampiezza del campo e si occupava di schermare i giocatori avversari capaci di rifornire gli attaccanti. Solo davanti, Batshuayi, accorreva in aiuto se un avversario si liberava della marcatura. Stesso discorso per la linea difensiva, con quattro giocatori in marcatura e uno per tappare i buchi (di solito, Lass Diarra).

 

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Il 4-1-4-1 dell’OM a protezione della propria metà campo.

 

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Un altro esempio della fase difensiva: Mendy e Rekik seguono gli avversari che all’inizio dell’azione erano nella loro zona, Diarra li copre.

 

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Il grande pericolo della fase difensiva dell’OM: lasciare troppo spazio al portatore di palla mentre i difensori sono impegnati nelle marcature. Qui, Rekik guarda la posizione di Beauvue, nessuno attacca Tolisso (Barrada e Luca Silva stanno a guardare). Il giocatore del Lione ha tutto il tempo di calibrare la palla in profondità per Lacazette mandandolo uno contro uno con Mandanda (l’attaccante dell’OL colpirà il palo).

 

Grazie, in parte, al rendimento mostruoso di Lassana Diarra, l’OM è sembrato solido nella sua metà campo (è la seconda miglior difesa del campionato per la statistica degli “expected goals”, secondo i dati di Julien Assuncao), almeno sul piano tattico. Ma è nella metà campo avversaria che le cose sono cambiate troppo rispetto all’era Bielsa. La squadra è in grado di portare il pressing alto quando si trovava già nella metà avversaria, ma non ha l’energia necessaria per provocare la perdita del pallone.

 

Con Bielsa, il pressing era sistematico: i giocatori sapevano esattamente cosa fare una volta perso il pallone, con un solo obiettivo in testa: recuperare palla. Facendo pressare solo a tratti i propri giocatori, Míchel lascia loro libertà di prendersi o meno questa responsabilità: deve venire da loro la volontà di andare alla ricerca del pallone. Precisamente, deve essere un giocatore a dare il segnale prima di essere seguito dagli altri.

 

Contro l’Angers qualche giocatore ci ha provato, ma i loro sforzi non erano coordinati e i difensori avversari sono usciti senza problemi dal pressing. Chiudere l’avversario su una delle fasce non è una cattiva idea di per sé, ma bisogna metterci la giusta intensità per evitare che esca e vada a giocare dalla parte opposta.

 

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Il pressing coordinato di Batshuayi, Cabella e Barrada, coperti da Diarra…

 

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Ma i marsigliesi sono troppo lontani dalla palla e basta girare il pallone sul secondo centrale difensivo per far indietreggiare tutto l’OM in blocco.

 

Più libertà, meno responsabilità

Sotto la guida di Marcelo Biela i marsigliesi erano inseriti in uno quadro rigido, con molti difetti, ma che almeno metteva ognuno di loro di fronte alle proprie responsabilità. Le chiavi del gioco collettivo le avevano loro: sia il viaggio di andata (positivo) dipendeva da loro, che il ritorno (negativo), e il sistema non era cambiato durante la stagione.

 

Míchel—che spesso si è presentato “controcorrente” rispetto al suo predecessore in conferenza stampa, anche se ne condivide “la visione”—si è ritrovato in una situazione opposta con il suo 4-1-4-1. Ha dato subito più libertà ai suoi giocatori (l’esempio principale, come detto, è il pressing, che ormai dipende dal loro spirito di iniziativa), una libertà che avrebbe dovuto garantire una miglior gestione fisica (sul singolo match e sulla stagione intera), ma che ha soprattutto deresponsabilizzato gran parte della squadra.

 

Una lettura di questo tipo può spiegare le recenti affermazioni del tecnico spagnolo in conferenza stampa, in cui ha accennato a una “mentalità francese” e a giocatori che “scelgono le partite”. Il turnover a cui lo ha costretto un simile contesto ha, inoltre, rallentato l’assimilazione degli automatismi indispensabili per dare vitalità offensiva al 4-1-4-1 (soprattutto tra ali e terzini). E piuttosto che restare passivo di fronte a questa situazione, l’ex-giocatore del Real Madrid ha deciso di dare una smossa alle cose e cambiare sistema.

 

Il 4-2-3-1 è la soluzione a tutti i problemi?

Così, contro lo Slovan Liberec e contro il Paris Saint-Germain, l’OM ha ritrovato se stesso grazie al 4-2-3-1. Offensivamente si sono viste belle cose (33 tiri contro lo Slovan e una bella performance anche contro il PSG): l’aggiunta di un secondo punto di riferimento centrale ha fatto uscire la squadra dal vicolo cieco del gioco “scolastico” del 4-1-4-1. Posizionato come numero 10, Cabella ne ha guadagnato, e anche Batshuayi ha beneficiato della presenza dell’ex-giocatore del Montpellier al suo fianco per offrire ancora più soluzioni di gioco.

 

Con questo sistema i marsigliesi hanno anche mostrato qualità negli attacchi rapidi, portando più di un affondo che ha messo in difficoltà la difesa parigina, tra cui due azioni che sarebbero valse il 2-2 finale se il portiere del PSG, Kevin Trapp, non fosse stato in grande forma (il rigore sbagliato da Barrada e il tiro alla fine di Cabella). Unico problema in fase di possesso: il fatto di avere una soluzione in meno ha portato inevitabilmente a maggiori difficoltà nell’uscita dal pressing alto avversario. E i piedi di Mandanda non sono dei più affidabili.

 

Per quanto riguarda la tenuta difensiva della squadra è difficile sbilanciarsi dopo la partita del Parco dei Principi. L’OM ha tenuto testa al PSG, contestandogli anche il possesso del pallone a inizio partita. Alternando fasi di pressing alto a fasi interessanti in cui incanalavano il gioco dei parigini sulle fasce, i giocatori hanno fatto il massimo dello sforzo contro un avversario che non avrebbe perdonato la minima mancanza di aggressività. Se il cambio di sistema ha senz’altro giovato ad alcuni (Cabella su tutti), va detto che il contesto difficile ha rimesso tutti i giocatori di fronte alle proprie responsabilità.

 

Resta da capire come si comporteranno quando davanti a loro si troveranno avversari meno pericolosi del PSG. Il campionato ricomincia con il Lorient, una squadra limitata, ma capace di mettere in difficoltà anche formazioni “europee” come Monaco e Bordeaux (contro cui ha vinto), che da questo punto di vista fornirà il banco di prova perfetto per capire esattamente a che punto è, e dove può arrivare, l’OM post-Bielsa.

 
 

Tags : ligue 1marcelo bielsaolympique marsigliaparis saint-germain

Florent Toniutti è autore del blog les Chroniques Tactiques da 5 anni, consulente per Data Room su Canal+Sport dal 2014.

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