Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Gianni Montieri
Marek Hamsik, un ricordo sentimentale
03 ago 2023
03 ago 2023
Centrocampista, capitano, amico.
(di)
Gianni Montieri
(foto)
IMAGO / PA Images
(foto) IMAGO / PA Images
Dark mode
(ON)

Per Luca Di Meo (già Wu Ming 3) 1964-2023

Marek Hamsik appartiene a un gruppo di calciatori, non molto nutrito per la verità, da me molto amato, potrei dire senza timore di ricevere smentita che il centrocampista slovacco appartiene, più di altri, alla sfera sentimentale che riconduciamo al pallone. Attenzione: sentimentale non malinconica, quest’ultima più frequente, si ripresenta ogni volta che un calciatore molto noto e molto forte smette di giocare. La malinconia viene perché il ritiro di un attaccante, come è accaduto per Ibra, che abbiamo visto giocare benissimo, sempre benissimo, per tanti anni, ci mette davanti a un’evidenza (banale, se vogliamo): il tempo passa, le cose finiscono, e se finiscono per uno come Ibra figuriamoci per noi che bene che sia andata abbiamo pagato un biglietto per vederlo giocare. Sentimentale, invece, sfugge al tempo e inesorabilmente ha a che fare con il cuore, non c’è motivo per cui voler bene a un estraneo, a qualcuno cui non abbiamo mai rivolto la parola, eppure accade, e il sentimento è così forte proprio perché non è fatto di conoscenza, conversazioni, abbracci, ma soltanto di un rapporto – quasi mai alla pari – in cui qualcuno ha giocato molto bene a calcio, magari per un sacco di tempo nella squadra per cui tifi, che magari ne è stato pure il capitano e te, te che hai soltanto guardato, esultato, ringraziato, hai parlato di attaccamento e ti sei innamorato. Perché non avviene mai il contrario, il tuo idolo non potrà mai ricambiare quell’amore, potrà dire – e nel caso di Hamsik è andata così – di amare il luogo, la gente, il modo di vivere, di sentirsi legato alla città, ma non dirà mai: amo quel tizio, quello che una volta ha pianto dopo un mio gol alla Juventus, quello che si è spellato le mani vedendomi calciare preciso all’incrocio dei pali, che si è commosso il giorno che ha saputo che sarei andato via. Quel qualcuno sei tu che hai amato da lontano, come un innamorato timido che per anni manda biglietti senza firma alla ragazza che gli ha preso il cuore. Marek Hamsik ha scelto, negli anni in cui ha giocato nel Napoli, di vivere non in città ma tra Castelvolturno e Baia Verde; perciò, molto vicino a dove gli azzurri svolgono gli allenamenti, ma non credo sia stato solo per questo. Parliamo del litorale Domitio, quel lungo pezzo di strada che costeggia il mare tra la zona a Nord di Napoli (Giugliano, dove sono nato io, Varcaturo, dove abitava Sarri) e quella del casertano che finisce con il Garigliano, dove poi comincia la zona di Latina, quella che dopo Scauri arriva al mare bello di Formia, Gaeta, Sperlonga. Hamsik ha scelto di vivere in una zona che non spicca per bellezza, un po’ isolata, abbastanza distante dal centro di Napoli, periferica rispetto a ogni cosa, degradata. Perché non Gaeta? È a meno di un’ora di macchina da Castelvolturno, ed è stupenda. Nel tempo, senza volere entrare nelle scelte di vita dell’ex capitano del Napoli, mi sono persuaso che Hamsik abbia scelto di vivere laggiù, tra pineta desolata e mare poco limpido, perché è così, uno tranquillo, uno che s’accontenta, uno che ha bisogno di creare un habitat fatto di poche cose, in cui stare a suo agio con la famiglia, con gli amici, poche macchine, poco traffico, poca distanza tra abitazione e lavoro, pochi ristoranti, pochi bar. Lui è così, e quel così è anche il motivo per cui è sempre rimasto nel Napoli, pur sapendo che avrebbe vinto poco o niente, rifiutando negli anni offerte vantaggiose di squadre al tempo più forti, del Milan sopra tutte. Marek Hamsik, l’uomo di Castelvolturno, l’uomo che fa il bagno tradizionale in mare il primo dell’anno, l’uomo che è stato per molti anni il mio calciatore preferito, l’uomo che è stato uno dei più forti centrocampisti che io abbia mai visto giocare, uno dei più completi, l’uomo che nel campo delle password è stato da me molto usato. Se un calciatore diventa la tua password è amore. Maradona è stato password, Hamsik è stato password e poi basta, ho pensato che potrebbe diventarlo Di Lorenzo ma non ho ancora deciso, certo Kvicha Kvaratskhelia sarebbe più sicura e rispetterebbe un sacco di standard di sicurezza. C’è stato un momento in cui Higuain stava per diventare password ma poi l’istinto mi ha detto di non farlo, bene così.

IMAGO / HochZwei/Syndication

A giugno Marek Hasmik ha annunciato il ritiro, ma in fondo ce lo stava dicendo da qualche mese, da quando aveva tagliato la cresta, da quando aveva capito che il Napoli – senza di lui – stava per vincere lo scudetto. Giocare ancora non aveva più senso, la missione era compiuta, anche se da altri, anche se non da lui. È stato come se vincere lo scudetto dell’anno passato con il Trabzonspor avesse autorizzato il Napoli e qualcuno dei suoi ex compagni a fare lo stesso. Dài, ma allora si può. Ho immaginato per Hamsik uno stato di forza della portata di Nedved, di Gerrard. Mi dicevo è quasi forte quanto lo sono stati loro. Ha visione di gioco, capacità di accelerare, è in grado di giocare con entrambi i piedi. Chi saprebbe dire, senza andare a controllare su Google, se il centrocampista slovacco sia destro o sinistro? Sa calciare forte, di precisione, ha dei tempi di inserimento che quasi (di nuovo) nessuno ha, è bravo di testa, ha corsa, sa dare una mano in difesa, sa impostare, sa dribblare. Passavano le stagioni, il Napoli continuava a non vincere quasi niente, però Hamsik mi sembrava sempre più forte, più completo, aumentavano il numero degli assist e poi dei gol: parliamo più o meno di un gol ogni tre/quattro partite. Gol belli, bellissimi, non mi pare che per Marek si possa facilmente ricordare una realizzazione brutta, un tiro sporco. Una volta ho scritto mezzo Nedved, mezzo Tardelli, ma poi qua è diventato tutto Hamsik, solo Hamsik. Un centrocampista che non avrebbe sfigurato nel Liverpool, nel miglior Barcellona, nel Real e che però ha scelto di restare nel Napoli. Ed ecco l’amore, ed ecco la scelta di vivere a Castelvolturno, la riservatezza, il privilegiare lo stare bene al vincere di più. Hamsik è stato poco ambizioso? Secondo molti sì, secondo me no, ha solo avuto un tipo diverso di ambizione. Sua ambizione era giocare in una squadra che lo ha scelto da ragazzo, di starci il più a lungo possibile, sua ambizione era stare bene. E quando stai dove vorresti stare ti bastano forse un paio di Coppe Italia e una Supercoppa, ti basta provarci, ti basta giocare al meglio delle tue possibilità. Dire quasi vuol dire mettersi al riparo, non azzardare, non rischiare, non osare. Quasi bravo. Dopo molti anni, oggi che ha smesso di giocare, ho capito che il quasi non ha mai avuto senso. Hamsik non è stato quasi Nedved, quasi Tardelli, quasi Gerrard ma è stato uno di loro, la discriminante è che ha vinto meno. Eh, ma che noia, Ma è davvero da questi particolari – solo da questi – che si giudica un giocatore? E l’Olanda allora? Tutti quei talenti sono davvero passati invano? Io non credo, e Marek Hamsik men che meno. Se per qualche anno abbiamo potuto giocare a domandarci chi ci ricordasse Hamsik, da qui in avanti dovremmo metterci a scovare il calciatore che ce lo ricorda, sbagliare pensando a un nuovo quasi: guarda, un quasi Hamsik. Oppure, cose come lo hai visto? Mezzo Hamsik, mezzo Iniesta, mezzo Antognoni, perché le metà non bastano mai, figuriamoci due. Forse il Napoli davvero non avrebbe vinto lo scudetto tenendo Insigne, Mertens, Koulibaly, ma mi sono convinto che lo avrebbe vinto lo stesso se fosse rimasto Hamsik, perché parliamo di un’altra cosa, di un altro tipo di giocatore, uno che me lo immagino benissimo arrivare da dietro, su servizio di Lobotka, scambiare con Kvara e fiondarsi in area, pronto a calciare di destro o di sinistro – un tiro imparabile – appena sotto la traversa. Sono tanti i gol di Hamsik che ricordo a memoria, che ogni tanto riguardo, come si fa con le belle poesie: si prende il libro dallo scaffale, si tira giù, lo si apre a caso (ma non troppo), si sceglie una poesia e la si rilegge. A quel punto, contemporaneamente, si ritrova l’emozione delle letture precedenti e se ne prova una nuova, perché ogni verso col tempo suona diversamente, ogni gol – quando lo si riguarda dopo un po’ – sembra un pochino diverso. Perché diversi siamo noi, perché ricordavamo un controllo di destro e invece era stato di sinistro, ricordavamo un triangolo e invece erano due. Avremmo giurato che la palla fosse entrata precisa nel sette e invece era un po’ più in basso, e non per questo il gol è meno bello e non per questo il tiro è stato meno imparabile. 520 partite con la maglia del Napoli e 121 gol, non proprio uno di passaggio.

Un gol contro il Milan in cui si fa tutto il campo, in cui nel replay facciamo finta di non accorgerci dell’acconciatura del Pampa Sosa, che viene giustamente ignorato da Hamsik che calcia. La serpentina in area della Sampdoria, a Marassi, con il Napoli in maglia rossa. La strepitosa tripletta al Bologna, gol in tuffo di testa, gol di piattone destro a uscire, gol con tiro incredibile da fuori area. La doppietta del 2009 contro la Juventus a Torino, con in bianconeri in vantaggio per 2-0, risultato finale 3-2 per il Napoli, con il telecronista napoletano Auriemma che si produsse in un: seppelliteci qui, vogliamo morire qui. Il primo gol in serie A, di nuovo alla Samp, prima della cresta, prima di tutto. Una rovesciata contro la Roma. Una doppietta alla Lazio, e così via, per 121 volte. Hamsik diverso dagli altri, il primo acquisto del Napoli tornato in serie A (con Lavezzi), il primo del tempo nuovo che anno dopo anno si è trasformato in questo, quello della vittoria. Mi domando: se lo scudetto del Napoli appartiene ai tifosi che non ci sono più, ai tifosi che non c’erano nei giorni dei primi due campionati vinti, allora deve appartenere anche a calciatori come Marek Hamsik che hanno tracciato una nuova linea, che hanno separato il tempo del fallimento, delle serie minori a quello che avrebbe portato alla città vestita nuovamente d’azzurro. Hamsik, quasi amico dài, che da adesso non gioca più, chissà che farà. Come vivrà, dove andrà, la casa a Castelvolturno l’ha tenuta, magari ci ritorna, oppure no, oppure decide di tornare in Slovacchia, dedicarsi alle scuole calcio, al tempo senza cresta, alla vita senza aver bisogno di individuare il momento in cui inserirsi, senza rimpianti, senza dover prendere la mira e calciare, senza avere fretta. Oppure ancora no, oppure decide che adesso si può vivere a Napoli in città, prendere residenza in centro storico, fare il centrocampista che resiste alla gentrificazione, abbonarsi e andare in tribuna a vedersi la sua ex squadra, anzi no, non in tribuna, in curva. Il capitano in curva, il cerchio chiuso - a modo nostro – ma chiuso.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura