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(di)
Gianluca Ciucci
New York, New York
31 ott 2015
31 ott 2015
La presentazione della maratona più famosa del mondo, della sua storia, del suo percorso, dei suoi protagonisti.
(di)
Gianluca Ciucci
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La maratona di New York chiude la stagione delle grandi corse su strada. La più famosa e mediatica delle competizioni sui 42,195 chilometri è anche la punta di diamante delle Abbott

: un vero e proprio giro del mondo in sette gare. Si può parlare di campionato mondiale di maratona, nato nel 2006 e che fa tappa a Tokyo, Boston, Londra, Berlino, Chicago e, appunto, New York. Ne fanno parte inoltre, una volta ogni due anni, la gara del Mondiale di atletica e, una volta ogni quattro, la maratona olimpica. Il montepremi finale è di un milione di dollari, equamente diviso tra il vincitore della classifica maschile e la vincitrice della classifica femminile.

 

Nato nel 2006, il World Marathon Majors è ancora in fase di assestamento per quanto riguarda le regole e i punteggi, ma il suo prestigio è in continua ascesa. Ne è testimone il fatto che l’edizione del 2015 è la prima con uno sponsor ufficiale (la casa farmaceutica Abbott). Il regolamento prevede che il campionato si sviluppi nell’arco di un biennio: si comincia e si arriva nella medesima città. Questa nona edizione del trofeo Abbott è iniziata a febbraio con la maratona di Tokyo e si concluderà sempre in Giappone con l’

. New York è dunque la penultima tappa, quella che potrebbe rivelarsi decisiva e di gran lunga la più ricca di fascino e audience.

 



La prima volta è stata nel 1970 e quest’anno la maratona di New York festeggia la sua quarantacinquesima edizione. Ne manca una all’appello, infatti nel 2012 la corsa venne annullata dal sindaco Michael Bloomberg a causa del passaggio dell’

. La fama della maratona della Grande Mela supera di gran lunga quella del campionato in cui è inserita, vuoi per la sua lunga storia, vuoi per il fatto che

. Lo scorso anno i partecipanti furono circa 52mila, provenienti da 125 paesi diversi. Arrivarono al traguardo in 50.530 con un tempo medio di 4:34:45. La sola regola da rispettare è di rimanere entro il limite massimo delle 8 ore e 30 minuti. La partenza è fissata da sempre alle 10:10 in punto.

 

https://youtu.be/boauNvB9h6I

 

Ogni anno si iscrivono alle liste aperte dalla New York Road Runners più di 100mila persone. I partecipanti vengono scelti tramite una vera lotteria, ma privilegiando comunque gli atleti che hanno già partecipato o quelli in possesso di un tempo di qualifica eccellente. I corridori membri del

possono prendere parte alla gara o partecipando a delle qualifiche o grazie alla nomina da qualche club podistico ufficiale. Con l’edizione del 2015, la corsa sfiorerà il milione di concorrenti accolti nelle varie edizioni, secondo i numeri forniti dall’organizzazione.

 

L’itinerario copre tutti e cinque i

di New York. Comincia a

, vicino al ponte di Verrazzano, che chiude al traffico delle auto per l’evento e che negli anni è diventato il luogo simbolo della corsa. Dopo la discesa del ponte il percorso attraversa Brooklyn per circa 19 km. I corridori attraversano i quartieri di Bay Ridge, Sunset Park, Bedford-Stuyvesant, Williamsburg e Greenpoint. Intorno al ventunesimo chilometro la corsa passa sul ponte Pulaski, che segna la fine della prima metà di gara e l'entrata nel Queens. Dopo circa quattro chilometri gli atleti attraversano l’East River col passaggio sul ponte di

che li porta a Manhattan.

 

Si tratta del momento più critico della corsa, in cui molti atleti accusano la fatica. L'attraversamento del ponte è considerato lo spartiacque di questa maratona, il luogo in cui chi ha gamba mette le sue carte in tavola. Raggiunta Manhattan, dopo circa 25,5 km, la corsa procede sulla First Avenue, quindi passa brevemente per il Bronx, raggiunto attraverso il Willis Avenue bridge, e ritorna a Manhattan, stavolta sul ponte della Madison. La corsa procede poi per Harlem giù per Fifth Avenue fino a Central Park. A Central Park South inizia l’ultimo miglio e si assiepa una grande folla di spettatori per applaudire il passaggio degli atleti che si giocano la vittoria. Giunti a Columbus circle la corsa rientra nel parco e si conclude a pochi passi dallo storico ristorante dell’Upper West Side, il Tavern On the Green.

 

https://youtu.be/BlHbntVAMzM

Quella del 2014 è stata l’edizione più partecipata di sempre.



 

Dalla prima vittoria in assoluto di Gary Muhrcke del 1970 (le donne parteciperanno solo dall’anno successivo), molte cose sono cambiate: dal percorso alla copertura mediatica dell’evento. Ad applaudire l’atleta americano che vinse in poco più di 2 ore e 31 minuti su un tragitto che prevedeva diversi giri lungo il Park Drive di Central Park c’erano appena un centinaio di spettatori. Oggi la maratona coinvolge tutta la città ed è seguita da oltre due milioni di appassionati sulle strade più famose del mondo e altri 300 milioni se la godono alla televisione.

 

La svolta avvenne nel 1978, grazie alla leggendaria

, che proprio a Central Park stabilì il record mondiale col tempo di 2:32:30 vincendo la prima di otto edizioni della maratona. Morta nel 2011 di cancro, a Waitz, leggenda dello sport norvegese, la NYRR dedica ogni anno una mezza maratona, la “

”.

 

Come tutte le altre gare di atletica sulle lunghe distanze, anche a New York, da tempo, la fanno da padrone gli atleti africani. Il Kenya ha vinto le ultime tre edizioni tra gli uomini e tre delle ultime quattro tra le donne. L’altra l’ha vinta l’Etiopia. Una preponderanza che, a parte qualche eccezione, dura ormai da venti anni. Eppure le difficili condizioni meteo hanno spesso sparigliato nella Grande Mela. Sono tante le edizioni della maratona disputate con temperature molto al di sotto dei dieci gradi e con la pioggia. Soprattutto tra le donne, sono rimaste nella storia le tre vittorie della fuoriclasse britannica Paula Radcliffe (2004-2007-2008), intervallate dai trionfi della lettone Jelena Prokopcuka.

 

https://youtu.be/1NuJlCNeODE

Gli Stati Uniti non vincevano nella maratona di New York dal 1982.



 

Tra gli uomini per trovare un vincitore non africano bisogna risalire al 2008, quando a vincere fu il brasiliano

(ci sarebbe l’americano Meb Keflezighi nel 2009, ma trattasi di eritreo naturalizzato), che aveva già trionfato nel 2006 regalando il primo alloro al continente sudamericano e spezzando un decennale dominio africano. Nel 1996 era stato infatti

(qui in un eroico servizio della DS) da Francavilla Fontana, provincia di Brindisi, a portare in Italia la quarta maratona di New York, dopo i trionfi di

nel 1984 e 1985 e quello di Gianni Poli nel 1986. Leone è stato l’ultimo re europeo a New York e ne detiene tuttora il record italiano. Tra le donne la nostra unica regina è

, prima sul traguardo di Central Park nel 1998, suo anno d’oro, in cui portò a casa anche le corse di Roma e Torino.

 



Una parata di stelle nere anche quest’anno scenderà dal ponte di Verrazzano per tentare di scrivere il proprio nome sul traguardo di Central Park. L'uomo più atteso è senza dubbio il keniota

(“Run fast and run long, together” è il suo motto), campione uscente ed ex primatista del mondo. Sulla sua strada il 33enne di Keiyo trova l’agguerrito gruppo degli etiopi, capeggiati da

, secondo a New York lo scorso anno e vincitore quest'anno a Boston. Non meno temibile è Yemane Tsegay, argento mondiale a Pechino 2015, e il sempre pericolosissimo Gebre Gebremariam, vincitore della gara al debutto nel 2010 e terzo nel 2014.

 

Della partita sono anche gli altri keniani: Stanley Biwott, che, dopo aver vinto a Parigi nel 2012 ed essere giunto secondo a Londra nel 2014, quest'anno è il secondo uomo più veloce al mondo sulla mezza maratona, e Geoffrey Kamworor, che ai Mondiali di Pechino 2015 si è preso l'argento nei 10mila. Non ci sarà invece Eliud Kipchoge, leader della classifica del World Marathon Majors e capace quest’anno di vincere a Londra e

con tempi stratosferici, ma fallendo l’attacco al primato del mondo proprio nella capitale tedesca a causa di un

con le sue scarpe (ciononostante ha strappato un 2:04:00 netto da paura).

 

https://youtu.be/4gljxBkd06o

Il finale di Londra 2015 con quattro degli uomini più velocemente resistenti al mondo.



 

Lo stesso Kipchoge aveva annunciato a

che dopo Berlino la sua concentrazione si sarebbe spostata esclusivamente sulla maratone dell’Olimpiade di Rio e che avrebbe corso solo un’altra maratona da qui al 21 agosto 2016, probabilmente in primavera.

 

Magari a Londra, dove il 26 aprile di quest’anno ha battuto due pezzi da novanta come Dennis Kimetto (nemmeno il detentore del record mondiale sarà a New York) e Wilson Kipsang, rispettivamente primo e terzo nella classifica all time best di categoria, col tempo di 2:04:42, terzo miglior risultato nella capitale britannica e nella

all time.

 

Mancherà anche Ghirmay Ghebreslassie, più giovane campione del mondo della storia della maratona a Pechino 2015 e primo atleta eritreo a vincere una medaglia d’oro a un Mondiale di atletica. Il non ancora ventenne (è nato il 14 novembre 1995) si è presentato come grande domatore dell’inferno cinese, con una vittoria netta tra caldo umido e smog, entrando da solo nel Nido d’uccello e lasciando dietro di sé gente del calibro di Yemane Tsegay e Solomon Mutai.

 

Senza considerare che Kimetto e Kipsang avevano “lasciato le penne” ben prima del traguardo di una gara a eliminazione, con appena 40 atleti a completarla. Tra i quali il nostro Ruggero Pertile, ottimo quarto a 41 anni suonati, arrivato davanti ai più accreditati Stephen Kiprotich e Lelisa Desisa. Lui a New York non ci sarà, proiettato com’è verso il sogno di Rio 2016.

 

https://youtu.be/96C2hA7uGA4

Ci saranno tutti i protagonisti di Pechino tranne il vincitore a sorpresa.



 

Nella pattuglia degli italiani al via dal ponte di Verrazzano spiccano i nomi di Daniele Meucci, ottavo a Pechino dopo una prima parte di gara da sogni di gloria, e Andrea Lalli, che vuole a tutti i costi convincere i più scettici sulle sue potenzialità in questa gara e non essere “solo” uomo da corsa campestre (specialità in cui è stato

in tutte le categorie dalla juniores in su). Il

in carica Daniele Meucci si ritroverà in una situazione molto strana: è accreditato di un 2:11:37, crono decisamente più alto rispetto al gruppo dei migliori. Il dilemma per l’atleta dell’Esercito sarà tentare il tutto per tutto e correre a ritmi da record italiano o accontentarsi di una gara regolare?

 



E le donne? Le speranze italiane sono tutte riposte in Anna Incerti, la palermitana

a Barcellona 2010, accreditata del dodicesimo miglior tempo, lotterà per il miglior piazzamento tra le atlete del vecchio continente. Il podio non è alla nostra portata, soprattutto alla luce del forfait di

, la nostra migliore runner, argento ai mondiali di Mosca 2013 e pure ai successivi Europei di Zurigo, due volte piazzata nelle prime dieci a New York (quinta nel 2013 e ottava nel 2014). Purtroppo il suo 2015 non è mai iniziato a causa di una fascite plantare che non le dà pace. Anche per lei la speranza è di ritrovarla ai nastri di partenza dell’Olimpiade.

 

La vincitrice uscirà dal solito scontro tra Etiopia e Kenya, con tre atlete su tutte le altre accreditate di tempi inferiori ai 2:20’ e date in grande forma in questo finale di stagione. Si tratta della campionessa uscente, la keniota

e delle etiopi Aselefech Mergia e Buzunesh Deba. Riflettori puntati anche sull'argento olimpico dei 10.000 metri

, che a New York farà il proprio esordio sulla maratona, cosi come l'atleta di casa Laura Thweatt. Per quanto riguarda la classifica del World Marathon Majors sarà interessante la sfida tra Caroline Rotich, vincitrice a Boston e Tigist Tufa, che invece si è portata a casa la gara di Londra. Ah, ci sarà pure

.

 

https://youtu.be/3yJcJTE1cb4?t=25s

 

Sarà una corsa ancor più interessante, visto che mancherà tutto il podio dell’ultimo Mondiale: l'etiope Mare Dibaba, la keniana Helah Kiprop e la portacolori del Bahrain Eunice Jepkirui Kirwa. Protagoniste di un arrivo al fotofinish nella mattina pechinese e ai primi posti del campionato majors insieme all’altra Dibaba, Birhane, che pure non ci sarà. Un pizzico di nostalgia lo regalerà di certo Jelena Prokopcuka:

, prossima ormai ai 40 anni, tenterà di nuovo l’attacco all’impero nero e c’è da credere che non si risparmierà. Prokopcuka si è mangiata la Mela nel 2005 e nel 2006 (una delle magnifiche sette a riuscire nell’impresa), e nelle ultime due edizioni è stata capace di ottenere un terzo e un

. Inoltre quest’anno è accreditata del sesto tempo assoluto.

 



Lo scorso anno, sul traguardo di Central Park, due atleti giapponesi si sono piazzati tra i primi undici nella gara maschile. Si tratta di

, arrivato settimo, e Yuki Kawauchi, undicesimo. Per entrambi si trattava dei

. Tra le donne nessuna atleta del Sol levante si era distinta particolarmente, eppure la scuola giapponese ha espresso già una campionessa olimpica,

, vincitrice ad Atene nel 2004, nonché argento ai Mondiali di Parigi nel 2003. Non si tratta di casualità.

 

Sta succedendo qualcosa nelle isole del Pacifico, infatti tra i primi 100 maratoneti più veloci al mondo soltanto sei non hanno origini africane: cinque di questi sono giapponesi. Tra le donne le giapponesi sono 11 su 100. Nel 2013 ben cinquantacinque corridori del Sol levante hanno registrato tempi inferiori alle due ore e quindici minuti, per fare un confronto negli Stati Uniti sono stati dodici (con una popolazione doppia). In Italia ce l’hanno fatta in tre.

 

https://youtu.be/5THRBUH0MdY

 

Nella mezza maratona i giapponesi vanno ancora più forte. Lo testimoniano i risultati della gara di Ageo, periferia di Tokyo, del 17 novembre 2013. A partecipare sono quasi esclusivamente studenti universitari e nemmeno i più bravi, non ci sono inoltre atleti professionisti. A ben vedere il vincitore chiude in 62 minuti e 36 secondi, un tempo non straordinario, ma molto buono sicuramente (il record mondiale di

è 58’ 23”). Ciò che è straordinario è il livello di competitività di tutti gli altri concorrenti: in diciotto finiscono sotto i 63 minuti. Da noi ci riescono solo in tre, e non lo stesso giorno.

 

Il Giappone sta aprendo una via nuova alla corsa su strada, una via diversa per preparazione e alimentazione. La Japanese way to run ha impressionato a tal punto

, giornalista inglese e maratoneta dilettante, da spingerlo a scrivere

, un libro sui suoi sei mesi passati tra passione popolare, interessi economici e mistica della corsa. Una passione che trova la sua sublimazione nell’ekiden, ovvero in una corsa a squadre che si disputa in ogni angolo del Giappone, alla quale partecipano praticamente tutti: correndo, organizzando o semplicemente tifando. Non solo ogni scuola ha la sua squadra, ma anche ogni grande azienda multinazionale, ogni quartiere, catena di negozi, università.

 

https://youtu.be/7rT3Fg8el6I

La passione giapponese per l’ekiden non ha limiti e sfiora a volte il masochismo.



 

Il paradosso è che l’ekiden rappresenta al tempo stesso il tesoro del podismo giapponese e la sua maledizione: è grazie alle staffette, infatti, che l’atletica produce un movimento così ricco di corridori di alto livello; ma l’attenzione quasi esclusiva che viene indirizzata fin dallo sport giovanile all’ekiden, penalizza tutte le altre discipline. Così accade che il punto d’arrivo di ogni promessa del podismo giapponese diventi l’approdo nelle squadre professionistiche delle grandi aziende, o che magari correre da protagonisti un’ekiden appaghi runner che potrebbero puntare con maggiore convinzione a Olimpiadi o gare internazionali.

 

Apparentemente si tratta di una semplice staffetta a squadre (nata a inizio dello scorso secolo proprio come prova propedeutica alla maratona), che si corre su varie distanze: di pochi chilometri per i runner amatori, fino a un massimo di oltre duecento chilometri per le gare universitarie e professionistiche, coperti dai frazionisti nell’arco di due giorni. In realtà l’ekiden è una disciplina che, in occasione ad esempio di quella di

, riempie le strade di tifosi e blocca l’intera nazione davanti alla tv, con uno share del 30%, paragonabile a quello del Super Bowl negli Stati Uniti.

 

Insomma nomi come quello di Imai e Kawauchi, o quello di

, settantunesimo tempo all time con 2:06:16, secondo soltanto al leggendario brasiliano Ronaldo da Costa tra i non originari del continente africano, dicono poco anche agli addetti ai lavori.

 

Questo fatto è dovuto di certo alle diverse priorità degli atleti nipponici rispetto alle gare da scegliere, ma anche a una certa difficile adattabilità a tracciati e climi diversi da quelli affrontati in patria. Infatti le migliori performance vengono registrate sempre in maratone “casalinghe”.

 

è pronto ad affrontare la maratona di New York per migliorare l’undicesima posizione dello scorso anno, consapevole del fatto che se gli altri corrono più forte nessuno ha la costanza sui tempi che ha lui.

 

Yuki ha corso undici maratone nel 2013, quattro delle quali sotto i 2:10’, addirittura è sceso sotto le due ore e nove minuti in due gare consecutive tra febbraio e marzo a distanza di 42 giorni. Cose impressionanti anche per i re keniani e etiopi. Nel 2014 è arrivato a 13 maratone, chiuse tutte con tempi tra 2:16:41 e 2:09:36. Quest’anno ha corso in tre mezze maratone in tre giorni consecutivi. Una volta si è rasato i capelli a zero (segno di umiliazione in Giappone) perché era andato troppo piano.

 

https://youtu.be/RfQjTH0RTIA

Giusto per farsi un’idea di come vive la corsa Yuki, qui siamo a Fukuoka 2013.



 

Ha potuto dedicarsi meno alla lunghissima distanza, il lavoro non glielo ha concesso. Già, perché Kawauchi non è un runner professionista, ma ha un lavoro d’ufficio che lo assorbe per 40 ore a settimana, non ha allenatore né manager. Fa tutto da solo e lo fa velocemente, vive la sua vita all’insegna dei manga e dei “

”.

 

Religiosi che vivono nel tempio Enryaku, sul monte Hiei (Kyoto). Il loro credo buddhista consiste nel percorrere, ogni anno per cento giorni di fila, 50 chilometri su e giù per il monte, correndo con sandali di paglia. La leggenda sostiene che chi riesce a correre mille maratone in mille giorni, raggiunge l’illuminazione e, di conseguenza, viene servito e riverito come un Buddha. È, comunque, molto raro che un monaco decida di affrontare questa sfida, ancor di più che la porti a termine. Si narra che negli ultimi 130 anni solo quarantasei ce l’abbiano fatta.

 

Prendendo ispirazione proprio da questi monaci, nel 1917 è nato l’ekiden. La prima gara venne organizzata fra Kyoto e Tokyo nel 1968, su un percorso di 508 chilometri, per festeggiare l’anniversario dello spostamento della capitale. Il termine deriva da due kanji: (eki, stazione) e (den, trasmettere). La destinazione della corsa giapponese è quella di portare i propri atleti a vincere le competizioni internazionali più importanti, ma non è ancora dato sapere quante altre stazioni manchino alla meta. Il compito di Yuki, Masato e i loro compagni e compagne è correre.

 
 

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