
Pubblichiamo un estratto da "Maradona, un mito plebeo", il nuovo libro a cura di Antonio Gomez Villar, tradotto da Alberto Bile Spadaccini ed edito da Tamu Edizioni. Se volete comprare il libro potete farlo cliccando qui.
Negli ultimi anni Messi e Cristiano Ronaldo hanno rappresentato il prototipo del corpo come ingranaggio, della macchina per la produzione capitalista, dell’ortopedia del calcio. Il loro è un calcio che rientra nella sfera del dover essere. Abitano lo spazio-tempo come se, appena prima di ogni partita, leggessero la Critica della ragion pura.
È vero che Messi è un prodotto della strada mentre Cristiano Ronaldo lo è della palestra. Ed è anche vero che la palestra è un luogo d’ordine mentre la strada lo è dell’astuzia, dell’imprevedibilità e della spontaneità. Messi però, anche se è cresciuto per strada, sembra muto, non parla mai. E ai popoli non è mai piaciuto il mutismo. Di Maradona, invece, si è sempre detto che era un fanfarone. Maradona svaluta e sospende il tempo, gli dà un’altra densità, ci strappa dalla temporalità ordinaria, è un ragazzo di strada. Messi non lo sarà mai. È su questo che si fonda il mito di Maradona. Le identità politiche si costruiscono sempre attraverso miti, immagini e dispositivi simbolici. Le forme culturali creano significati e simboli fondati su basi materiali, si incarnano sempre in un corpo.
Qualsiasi nostra idea o qualsiasi nostro valore ha una relazione molto più stretta con un’identità ideale o figurata, e quindi più con immaginari creati attraverso identificazioni simboliche, che con convinzioni fondate su quanto vissuto. Idee e valori appartengono alla sfera dell’immaginazione però, come sosteneva a ragione Cornelius Castoriadis, l’immaginazione non è fantasia ma «materia sognata».
Un mito non è l’opposto di una verità. Un mito è ciò che veicola, forgia e fonda una verità. Un mito non è né vero né falso: o crea o non crea. I miti rinviano alle poetiche necessarie per esprimerci, alle narrazioni che cambiano immaginari, alle superfici di iscrizione catalizzatrici di affetti, veri e propri supporti per esprimere emozioni condivise in comunità. Come ben sapeva Georges Sorel, i miti servono a mobilitare, fungono da energia identificatrice. Per questo Diego non si può possedere ma lo si può verificare nelle emozioni. Maradona è un’operazione legata non soltanto ai con tenuti immaginari che introduce ma anche a tutto ciò che, da tale operazione, viene abilitato e reso simbolicamente e materialmente possibile.
Diciamolo subito: Diego è il nostro malessere trasformato in opera d’arte. Il mito Maradona è un modo per definire una verità plebea. Come tale, è una verità contraddittoria. L’horror vacui annunciato dalle immagini del suo funerale non è il terrore dello schieramento, della massa abbrutita, quanto piuttosto il terrore di ritrovarci in un’epoca carente di nuovi miti che esprimano il sentire plebeo. Lo sradicamento delle forme simboliche e degli universi mitici è sempre stato il fulcro di tutti i progetti razionalizzatori. Maradona è stato una diga contro il disincanto del mondo. Non è un ansiolitico per negare la nostra realtà: è al contrario capace di deformarla, trasformando quel disincanto del mondo che ha sempre giocato a favore dei potenti. La sua dimensione non è storica ma mitica.
Antonio Gramsci, nella Questione meridionale, sostiene che le feste religiose non sono un sintomo di sottomissione, ma veicolano il desiderio di un’altra vita e di un altro mondo. Secondo alcuni il calcio, così come la religione, è l’oppio dei popoli. Lo disprezzano perché lo ritengono proprio di masse animalizzate. Paradossalmente, però, sono gli stessi che pretendevano che Maradona fosse un idolo perfetto e immacolato. Diego, invece, è un idolo uscito (letteralmente) dal fango. Non ha mai cancellato il suo marchio d’origine, non ha mai abbandonato o tradito il mondo popolare. È l’astuzia che diventa mito, Diego potrebbe essere chiunque di noi. Come nel teatro di Bertolt Brecht, socializza la maestria nel gioco. È morto inoltre come uno dei nostri. Alcuni avrebbero preferito che morisse come un figlio dello spettacolo. Maradona è stato il volo di un popolo, ha contribuito a dare un senso ai nostri dolori intrecciando emozioni e simbolismi collettivi. È il mistero della fede, non rappresentabile ma condiviso da tutti. È ciò che chiamiamo «popolo». La celebre mano de Dios non è solo manifestazione di astuzia, è anche impulso di ascensione. Un Maradona secolarizzato, desacralizzato. Un sacro presente nelle forme plebee. Maradona non è il sacro, piuttosto l’irruzione del sacro, una sacralità laica, che libera e incorpora altro da sé. Attraverso il suo gesto ci difendiamo dal niente, dall’insignificanza a cui ogni ordine ci condanna. Un niente che coincide con l’etimologia di plebeo, di prol tario.
La logica del plebeo è sempre quella di un’irruzione, di un qualcosa che irrompe. Ne era cosciente Machiavelli: è la logica del tumulto, del conflitto irrisolvibile, della fondazione sempre impropria. È sempre un momento di inadeguatezza, di anomalia e di agitazione. Quale metafora migliore per rappresentare la fine di un’epoca e la nascita di un’altra che l’immagine della mano plebea di Maradona che sfida il divino, il nuovo Dio Var che tutto vede? Da un lato l’espressione popolare, sempre straripante ed eccessiva; dall’altro il limite, la cesura, il taglio. In altre parole: la lotta di classe. Se Diego è un idolo, lo è in senso dionisiaco, un santo pagano che ci permette di sperimentare l’infinito, la festa lussuosa del popolo, l’energia sublimata in esuberanza estetica che va oltre l’ordinario, altera l’esperienza temporale, sospende il tempo. Ci chiama alla vita nella sua forma assoluta, sganciata da ogni preconcetto, abbandonata al suo fluire primordiale. Il suo calcio è pura presenza, e in quanto tale non rappresentabile. Una miscellanea iconografica, una poetica in essere, uno sperpero che eccede l’efficacia e la mera utilità. Di fronte al massificatore calcio/ingranaggio, oppone la potenza espressiva del suo carattere dionisiaco, l’energia cosmica (come l’aquilone), l’espressione della «grande ragione del corpo» nietzschiana. Di fronte al potere logico delle tattiche di gioco, come una grammatica metafisica tracciata su una lavagna, ecco le forme espressive e la trasgressione dell’ordinario. Diego, come Dioniso, non può essere visto da vicino, altrimenti si è trasformati in pietra.