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Manu Koné vuole spaccare tutto
04 set 2024
Per il nuovo acquisto della Roma sarà la stagione della verità.
(articolo)
7 min
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Foto Imago / Sportimage
(copertina) Foto Imago / Sportimage
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Un rinvio lungo di De Gregorio, intercettato di testa da Cristante: Manu Koné controlla la palla che gli viene incontro con il tacco destro, se la alza sopra la testa, fa una specie di auto-sombrero, poi fa una specie di scivolata per anticipare Yildiz che gli arriva da dietro e passarla a Celik, poco lontano.

Basta poco per entusiasmare i tifosi romanisti, disperatamente bisognosi di qualcuno che gli dia speranza in un futuro migliore, in un momento in cui il presente consiste in due pareggi e una sconfitta nelle prime tre partite di campionato. Allargando un po’ lo sguardo: basta poco per entusiasmare i tifosi romanisti che, ormai da qualche anno, dai tempi di Strootman e Nainggolan, aspettano un centrocampista più o meno del tipo di Manu Koné: dinamico, muscolare, ma anche tecnico, se possibile dominante; e che, oltretutto, vengono da due buche clamorose prese da Wijnaldum e Renato Sanches.

Anche per questo è bastata una giocata del genere per fargli tirare un sospiro di sollievo.

Manu Koné ha preso il pullman per Torino e ha esordito allo Juventus Stadium poche ore dopo essere diventato un nuovo giocatore della Roma, al termine di un tiro alla fune con il Milan durato un paio di settimane. È entrato in campo durante il cooling-break del secondo tempo, intorno al settantesimo e ha passato i primi sette minuti a correre dietro al pallone e agli avversari.

Era il momento di maggiore passività della Roma, in cui non usciva dalla propria metà campo né con né senza il pallone - De Rossi poi avrebbe parlato di “paura” anche se il suo consiglio di non tenere palla e lanciare, come riportato da Dazn in diretta, non sembrava voler dare coraggio ai suoi. Koné sembra perso. Se saliva in pressione su Savona o Cambiaso c’erano Conceição, Koopmeiners o Yildiz che gli si piazzavano alle spalle per ricevere. Quando Celik aveva palla e riusciva ad alzare la testa preferiva lanciare lungo, piuttosto che darla a lui con McKennie addosso - e quando gliel’ha provata a passare McKennie lo ha anticipato: erano passati già cinque minuti dal suo ingresso in campo.

Ce ne sono voluti quindici perché effettuasse il primo recupero e il primo passaggio riuscito della sua partita. E lo ha fatto nella trequarti juventina, giocando qualche metro più in alto di Cristante e partendo alla sua destra (in quel momento c’era Baldanzi come mezzala sinistra) aggredendo in avanti. A quel punto Koné è sembrato maggiormente a proprio agio.

In questa prima ventina di minuti giocati in Serie A, la maggior parte dei quali passata a capire dove si trovasse, c’è già un piccola lezione da trarre: Manu Koné gioca molto meglio quando la sua squadra ha il baricentro alto, aggredendo, libero di seguire il suo fiuto per recuperare palloni. Non tanto perché questo era il calcio praticato dal Borussia Mönchengladbach, arrivato a un punto dalla retrocessione lo scorso anno in Bundesliga, quanto piuttosto perché questo è il suo stile, il suo carattere, il suo modo di esprimersi in un campo da calcio. Senza agitarsi, però, senza affrettarsi. «Quello che mi colpiva in lui», ha detto uno dei suoi primi educatori, che lo ha visto quando aveva dodici anni al Paris FC, «era la sua calma, la sua serenità».

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Una delle azioni che i tifosi della Roma sognano: recupero alto, conduzione e assist. Con il gol alla fine, sarebbe stato perfetto. Ma nella vita si sa, non dipende tutto da noi.

Manu Koné gioca a calcio perché il padre giocava a calcio e perché dal balcone di casa sua a Villeneuve La Garenne si vedeva il Parc de Princes. A dieci anni si svegliava alle sei del mattino per andare a scuola e tornava alle nove di sera dopo essersi allenato, con ancora la doccia e i compiti da fare. In un piccolo documentario andato in onda sulla tv francese un anno e mezzo fa, l’intervistatore gli chiede: «L’obiettivo era diventare calciatore?». Koné risponde: «Quando sei piccolo non ci pensi. Lo facevo perché amavo il calcio».

Le cose sono diventate più semplici quando è entrato nel centro federale di Clairefontaine, anche se significava vivere lontano dai propri genitori. Poi a quindici anni (dopo aver giocato un anno, in una squadra della periferia di Parigi, insieme a Kephren Thuram con cui oggi sente di avere un “legame di sangue”) è entrato a far parte delle giovanili del Toulouse e, dopo due partite, si è rotto la tibia. Come in molte storie di calciatori e sportivi di alto livello, l’infortunio è servito a renderlo ancora più ambizioso. Il fratello ricorda che gli diceva: «Appena mi rimetto, spacco tutto». Lui aggiunge: «Sono un tipo vendicativo. Mi dicevo: ok ora sono infortunato, non posso farci niente, non posso tornare indietro nel tempo. Ma quando torno a giocare me li mangio».

Anche in Germania è arrivato da infortunato, a vent’anni. In Bundesliga dice di essere migliorato. «Adesso recupero più palloni, sono il più aggressivo possibile. Devo migliorare le mie statistiche offensive, certo», ha detto un anno fa, «ma nel mio ruolo non è la cosa più importante. La cosa più importante è difendere e far arrivare palloni ai trequartisti e agli attaccanti».

Già, difendere. Il punto è come difendere.

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Manu Koné, come detto, è un giocatore calmo e rilassato. Il che però non significa che sia un giocatore anche prudente. Nelle ultime due stagioni ha provato 1.7 e 1.9 dribbling (in media ogni 90 minuti), provandone 3.9 e 3.1. Nella stagione 2023/24 è stato il giocatore a farne di più nel Mönchengladbach, ma è stato anche quello a perdere più palloni: 1.9.

Per dire, anche nella Roma dello scorso anno sarebbe stato il giocatore a provare ed effettuare più dribbling (Dybala ne ha provati 2.8 e gliene è riuscito 1). Ma forse questo è un aspetto su cui De Rossi ha voluto mettere mano nel mercato, considerando che anche Soulé (2.8 riusciti e addirittura 6.3 tentati, col Frosinone) ed Enzo Le Fée (1.2 riusciti e 2.1 tentati al Rennes, 1.9 su 4.4 al Lorient) dribblano di più.

Da piccolo, Koné guardava Ronaldinho, poi quando ha iniziato a giocare a centrocampo ha girato lo sguardo verso Paul Pogba. «Non è che volessi avere qualcosa di suo, perché io resto Manu Kone. Ma guardarlo giocare mi ispirava. Volevo avere lo stesso impatto che aveva lui a centrocampo». In un’altra intervista del marzo 2023 ha detto: «Ho sempre avuto questa tranquillità. Ho molta fiducia in me con il pallone tra i piedi. A volte sembra che tengo il pallone senza ragione ma è perché ho fiducia in me stesso».

Anche difensivamente, non è un giocatore passivo, che aspetta che gli avversari gli vengano addosso, o gli tirino la palla sui piedi. Il Borussia Mönchengladbach la scorsa stagione è stata la squadra ultima per PPDA (la statistica che misura quanto una squadra lascia gestire il pallone ai propri avversari prima di effettuare un intervento difensivo) e terz’ultima per recuperi del campionato, Manu Koné però è stato nei primi venti giocatori per pressioni portate sugli avversari (21.39).

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Voi non lo vorreste un centrocampista che fa cadere a terra i compagni con una finta?

«Sono un centrocampista che ama andare in avanti. Mi piace anche venire a prendere la palla dalla difesa. Sono quello che oggi si dice un box-to-box». Daniele De Rossi lo lascerà difendere in avanti? Gli darà un ruolo abbastanza importante da lasciargli prendere palla dalla difesa?

E poi c’è il carattere. Perché Manu Koné sarà anche un tipo tranquillo ma è uno a cui piace parlare, che i primi tempi in Germania si sentiva limitato proprio perché non riusciva a comunicare coi compagni in campo (poi ha usato l’inglese). I suoi compagni lo ascolteranno? Si lasceranno guidare da lui, che in fondo ha appena 23 anni, verso la metà campo avversaria? Caratterialmente, gli faranno spazio, lo lasceranno essere se stesso?

Manu Koné arriva alla Roma per giocare una coppa Europea per la prima volta ma anche per diventare il leader a centrocampo di una squadra che ne ha disperatamente bisogno. La scorsa stagione anno ha saltato un mese all’inizio per un infortunio al ginocchio e poi, ad aprile, ha avuto un altro infortunio muscolare. Ma poi ha giocato un torneo olimpico di alto livello, uno dei migliori della Francia di Thierry Henry, uno dei pochi a salvarsi e a dire la sua anche nella lezione subita in finale con la Spagna.

Questa sarà la stagione della verità per Manu Koné, in un campionato complesso e in una squadra che non ha ancora un’identità chiara. Lui, come molti altri giocatori in rosa (il pacchetto difensivo Ndicka, Hermoso, Mancini, come Pellegrini, Paredes, Le Fée, Soulé, Dybala), si trova molto meglio a giocare un calcio aggressivo in entrambe le fasi, un calcio coraggioso, col baricentro alto. Le domande a cui i prossimi mesi daranno una risposta sono almeno due: 1) Ci riusciranno? 2) È quello che vuole davvero Daniele De Rossi?

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