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Non è stato il cartellino rosso, è stato Haaland
19 set 2025
City-Napoli è stata segnata da un episodio meno casuale di quello che sembra.
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10 min
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IMAGO / NurPhoto
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Possiamo elencare tutti i numeri che vogliamo, a partire dai 50 gol in 49 partite di Champions League, ma non è mai la stessa cosa che vedere direttamente l’effetto che produce Haaland sulle difese avversarie. Difese di calciatori professionisti, che hanno giocato decine se non centinaia di partite, che hanno affrontato ogni tipo di pericolo nella loro carriera prima di Haaland, e che hanno introiettato tutto questo nel loro talento sotto forma di esperienza prima di arrivare in Champions League, dove sono - di fatto - i migliori difensori al mondo. Nel caso di ieri, poi, parliamo della difesa del Napoli, la migliore difesa del campionato più ossessionato dalle difese e dagli errori difensivi, martellata dall’allenatore che più sembra spaventato dal rischio, che da quando è allenata da Antonio Conte sembra poter addormentare le partite, togliere agli avversari la loro linfa vitale, come un’anestesia che entra nel corpo dolcemente ma inesorabilmente.

Ecco, della partita di ieri si parla molto del cartellino rosso, di quanto abbia cambiato la partita, del rimorso di aver dovuto giocare in dieci per circa 70 minuti, dell’inevitabile squilibrio di forze che ha creato in campo. Non voglio certo dire che tutte queste cose non siano vere - è lapalissiano che giocare in 10 contro 11 sia più difficile - ma mi sembra significativo che all’origine di tutte queste discussioni venga eliminata la causa di quel cartellino rosso, che di certo non è piovuto dal cielo (e che - ricordo a quelli che hanno un po’ storto la bocca davanti alla conduzione arbitrale - inizialmente non era stato nemmeno fischiato).

In questi casi in Italia si tende a parlare del difensore e non dell’attaccante - in questo caso, cioè, di ciò che ha fatto Di Lorenzo e non di ciò che ha fatto Haaland. Tuttosport, tanto per fare un esempio, in uno dei titoli dei suoi pezzi ha scritto che Di Lorenzo ha “inguaiato” il Napoli, e Alessandro Costacurta, che di mestiere ha fatto il difensore e lo ha fatto pure piuttosto bene, ha rincarato la dose nell’immediato post-partita su Sky Sport. «Va bene parlare di una sconfitta arrivata in dieci contro undici, ma non è solo merito degli avversari: ci sono stati anche degli errori», ha detto Costacurta. «Di Lorenzo legge male la traiettoria della palla, sul rosso: è un intervento sbagliato del difensore che, ad un certo punto, si fa superare dal pallone e poi prova a rimediare, non riuscendoci».

Ora, non voglio mettermi al di sopra di queste discussioni e passare per quello che vede la luna dietro al dito. Quello che voglio ricordare con questo pezzo, in realtà, è che, nel calcio, distinguere nettamente luna dal dito è molto più difficile di quanto non si pensi. Nel caso specifico, cioè, è difficile distinguere nettamente tra quanto sia colpa di Di Lorenzo e quanto invece Di Lorenzo sia stato indotto a una decisione affrettata dall’ansia di dover coprire una bestia di Satana come Haaland.

Insomma, Di Lorenzo ha 32 anni, si è fatto una lunga gavetta per diventare capitano della squadra che ha vinto due volte lo scudetto negli ultimi tre anni, ed è riuscito a convincere uno dei migliori allenatori del calcio contemporaneo che potesse essere ancora importante a questi livelli dopo una stagione in cui, a dirla tutta, sembrava finito. Anche solo conoscendo Di Lorenzo, la sua storia, insomma, è plausibile pensare che sia stato ingenuo? Ma voglio essere più specifico di così perché in fondo, mi direte, un’ingenuità può capitare a tutti.

L’azione del rosso nasce da un rinvio lungo di Donnarumma, e su questo più avanti torneremo perché potrebbe anche essere significativo. Sulla palla alta, vicino al cerchio di centrocampo, si allacciano Haaland con Beukema, e la prima cosa da notare è che il City recupera palla perché il difensore olandese - invece di rimanere alle spalle del proprio avversario e rischiare un potenziale uno contro uno, anche se solo spalle alla porta - prova ad anticiparlo. Beukema magari legge meglio la traiettoria del pallone di quanto pochi secondi dopo la leggerà Di Lorenzo, ma la sua rimane una scelta - una scelta rischiosa perché, per aggirare un Cristo come Haaland e mettergli la testa davanti per colpire il pallone, deve inarcarsi in maniera innaturale e passare di fatto il pallone a Foden.

Beukema cade a terra per quanto è innaturale il suo movimento, i giocatori del Napoli protestano debolmente per un fallo, ma in realtà non c’è niente: è stata la semplice presenza di Haaland, la sua minaccia - anche solo potenziale - di poter mangiarsi il proprio avversario in campo aperto, a costringere Beukema a una decisione rischiosa. Un anticipo di testa difficilissimo che di fatto ha regalato il pallone al Manchester City.

Beukema avrebbe potuto rimanere alle spalle di Haaland, lasciarlo mettere giù il pallone, ma ha preferito provare ad anticiparlo, tagliare alla radice quella possibilità. Possiamo tagliare corto e dirci che ha sbagliato, ma volendo approfondire ulteriormente rimane una domanda ad aspettarci: perché?

Con Beukema a terra e la palla facilmente nei piedi di Foden, accanto a Buongiorno si è aperto uno spazio inquietante - uno spazio in cui il trequartista di Guardiola può facilmente mettere la palla, e Haaland correrci come un bisonte in una prateria. Foden ci prova a lanciarlo, con un tocco di esterno quasi noncurante, e qui succede quello che sappiamo.

Di Lorenzo corre in punta di piedi alle spalle di Haaland con l’idea di passargli davanti e intercettare il filtrante, e invece viene aggirato dalla traiettoria e quando se ne rende conto è troppo tardi: l’attaccante norvegese è già alle sue spalle. Anche qui, come con Beukema, possiamo semplicemente dire che Di Lorenzo ha sbagliato, ma anche qui, come con Beukema, è interessante chiederci perché.

Il terzino del Napoli aveva di fronte una scelta: avrebbe anche potuto correre in verticale anziché in diagonale, aspettare di vedere dove sarebbe andato il pallone, e magari coprirlo con il corpo o scaricarlo indietro a Milinkovic-Savic. In fondo aveva almeno un metro di vantaggio sul suo avversario. E invece ha deciso di tagliare la corsa di Haaland per intercettare il passaggio - per eliminare alla radice, cioè, anche solo la possibilità di dover correre all’indietro e coprire la profondità.

In pochi secondi, insomma, due diversi difensori di Antonio Conte, due membri della difesa che riesce più a mantenere sotto controllo gli avversari in Italia, hanno preso consecutivamente due scelte piuttosto rischiose. Strano, no? Il perché, però, a pensarci bene è chiarissimo: coprire la profondità avendo alle spalle Erling Haaland non solo è un incubo, è semplicemente impossibile, e per un difensore di questo livello ha più senso provare ad eliminare questa possibilità anticipandolo, anche rischiando un intervento scomposto o che non ha la sicurezza di riuscire a portare a termine, che immaginare di doverlo rincorrere verso la propria porta.

L'idea di Haaland che ti corre alle spalle fa sudare freddo persino me che sto solo scrivendo questo pezzo, e posso solo immaginare cosa significhi vederselo arrivare - o anche solo sentirlo arrivare - sul campo. Riprendendo il dibattito degli ultimi giorni tra Luis Enrique e Scaloni, se abbia più senso guardare la partita dall'alto o a bordo campo, questo è un caso esemplare: a vederla dalla televisione, cioè dall'alto, può sembrarci chiaro che sia un errore di valutazione. Eppure sono piuttosto sicuro che se interpellassimo Di Lorenzo su questo cartellino lui darebbe la stessa risposta che ha dato Scaloni: «Il calciatore vede le cose da una prospettiva diversa, e dall'alto tutto sembra così semplice che quando arrivi al calciatore, lui ti dice: "Non è così"».

Dicevamo poi del rinvio lungo che porta a questo cartellino rosso, che di fatto ha deciso la partita. Non mi ricordo dove ho letto che il fatto che Guardiola sia cambiato lo si vede dal fatto che per la sua squadra ha scelto un vero attaccante e un vero portiere. Lui, cioè, che ha coniato il celebre aforisma «il mio centravanti è lo spazio» e per cui la caratteristica più importante che doveva avere un portiere era il gioco con i piedi. Ecco, il fatto che l’evento che ha deciso questa partita sia nato da un rilancio lungo del portiere è sicuramente significativo ma non ci racconta tutta la partita di ieri.

Se è vero, infatti, che il cartellino rosso ha cambiato il contesto tattico della partita, costringendo il Napoli ad abbassare il baricentro, è anche vero che nei 18 minuti che lo hanno preceduto i tentativi della squadra di Conte di alzarsi per andare a prendere alto il Manchester City erano andati quasi tutti sostanzialmente a vuoto. Insomma, il possesso palla per la squadra di Guardiola prima del cartellino rosso sfiorava il 70% e questo certo non perché il Napoli non ci stesse provando, a togliergli la palla.

Un esempio, tra i tanti, di come il City riusciva ad uscire brillantemente dal pressing del Napoli.

Ripeto che non voglio eliminare dall’equazione il cartellino rosso, ma il suo peso va sicuramente relativizzato. Insomma, con un uomo in meno, il Napoli ha abbassato il baricentro e si è dovuto difendere basso, e quante volte ci siamo detti la scorsa stagione che questa era la sua comfort zone? Ieri, invece, con il Manchester City è stata una tortura e per certi versi è stato scioccante vedere il Napoli così in difficoltà a controllare la situazione. Dal rosso in poi, la squadra di Guardiola ha tirato verso la porta 19 volte creando circa 2 Expected Goals. Sicuramente in parità numerica queste statistiche sarebbero state differenti, ma non era nemmeno detto che il City sarebbe stato capace di creare così tanto, contro una squadra di Conte arroccata nella propria area.

Quando diciamo che Guardiola è cambiato, e che Haaland e Donnarumma sono il segno di questo cambiamento, dovremmo insomma anche dirla tutta. E cioè che se questo cambiamento ha significato da una parte un’attenzione maggiore al contenimento del rischio, con tutto ciò che ne consegue, dall’altra però ha anche portato a un innalzamento del baricentro che forse diamo un po’ troppo per scontato, e che infatti a un certo punto ieri ha stupito Caressa, che in telecronaca ha notato come l’ultimo uomo del City fosse praticamente dentro la trequarti del Napoli. Rimanere alti con un uomo in più è semplice, mi direte, ed è vero ma a questo punto bisogna dire due cose. La prima è che il City aveva il baricentro così alto anche prima di andare in superiorità numerica, e qui sotto avete un esempio di un’azione qualsiasi d’attacco della squadra di Guardiola, con tutti i giocatori di movimento nell’immagine, prima del rosso.

La seconda è che entrare in area con la facilità con cui l’ha fatto il City con il baricentro così alto, cioè così schiacciato su quello della squadra avversaria, è tutt’altro che semplice, perché i corpi sono tutti ammassati in spazi strettissimi e per far passare il pallone in quella densità ci vuole talento.

«Il mio centravanti è lo spazio» è un aforisma che è nato per spiegare la creazione del falso nueve. L’idea cioè che l’attaccante non rimanesse in area, ma venisse incontro sulla trequarti, attirando dietro di sé i difensori e creando quindi lo spazio al centro delle difese avversarie - spazio che sarebbe stato poi attaccato da qualcun altro. È un’idea nata in un calcio in cui il baricentro, anche chi di utilizzava il falso nueve, era molto più basso, e in cui quindi c’era molto più spazio tra le linee e alle spalle delle difese avversarie. È stupefacente quindi vedere che Guardiola sia riuscito a trasporre quasi identico questo concetto nel calcio attuale che lui stesso a creato - un calcio in cui quello spazio tra le linee e dietro le difese avversarie è praticamente scomparso - contro una squadra che a quel punto aveva come unico scopo quello di non fare entrare in area il Manchester City. In un certo senso lo ha miniaturizzato.

Sull’azione del primo gol, che di fatto ha chiuso definitivamente la partita, è Phil Foden, tecnicamente una mezzala, a fare da “falso nueve”. Foden viene trovato “tra le linee” da un filtrante che sorprende Lobotka, in ritardo a recuperare sullo scivolamento orizzontale, e Juan Jesus, che forse sarebbe potuto uscire più aggressivo su di lui. Dopo la sua ricezione è Haaland ad attaccare lo spazio da lui creato, perché Buongiorno, che teoricamente dovrebbe marcarlo, a questo punto non può controllare il suo taglio in profondità e il pallone contemporaneamente.

Ovviamente poi ci vuole la sensibilità quasi magica di Foden nel mettergli il pallone in testa, ma ci pensate a cosa significa anche solo ambire a replicare questi concetti in uno spazio che, a guardare le linee del campo, è di circa cinque metri? A cosa significa costringere un difensore a lasciar scappare Haaland alle proprie spalle, senza che possa farci niente?

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