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Andrea Lamperti
Il Mali spera nel futuro
02 feb 2024
02 feb 2024
La Nazionale è arrivata ai quarti di finale in Coppa d'Africa ma il Paese è in subbuglio.
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Andrea Lamperti
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IMAGO / MB Media Solutions
(foto) IMAGO / MB Media Solutions
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Se una squadra dovesse scegliere come festeggiare il proprio primo gol in Coppa d’Africa, il saluto militare non sarebbe la scelta più immediata. Eppure, è così che due settimane fa i giocatori del Mali hanno deciso di accogliere la prima rete segnata in Costa d’Avorio, firmata da Humari Touré nel 2-0 contro il Sudafrica.

Dietro l’esultanza delle "Aquile" si celano dieci anni di storia travagliata, all’interno di uno dei Paesi africani osservato con maggiore attenzione dalle diplomazie di tutto il mondo. Una storia recente, che riguarda da vicino anche noi europei. Per capirla, è utile tornare allo scorso novembre, quando il governo di transizione del Mali - guidato da militari e salito al potere dopo un colpo di stato contro il governo eletto nel 2021 - ha riconquistato Kidal, città situata nel nord del Paese e da sempre considerata la capitale dei tuareg maliani. Un gruppo etnico che a sua volta è stato identificato, in maniera impropria, con l’insurrezione jihadista che ha sconvolto la regione del Sahel, partita proprio dal Mali. Sono molte informazioni in poche righe, lo capisco: per capirci qualcosa torniamo indietro di altri dieci anni.Nel 2012 i tuareg hanno lanciato da Kidal una rivolta armata contro il governo centrale, reclamando l’indipendenza dell’Azawad, regione dai confini incerti che dovrebbe essere uno stato governato dagli “uomini blu”. I gruppi tuareg indipendentisti, alla guida dei quali c’era il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad (MNLA), hanno quindi stretto un’alleanza con i nuclei jihadisti vicini ad Al-Qaeda - senza ottenere, però, gli effetti desiderati. Questi ultimi hanno infatti scacciato nel giro di pochi giorni l’MNLA dalle città chiave del nord (Timbuctu, Kidal, Gao), assumendo la guida della ribellione.Proprio in quei mesi la Nazionale volava a Johannesburg per la Coppa d’Africa 2013. Era un gruppo reduce dall’esperienza positiva in Gabon e Guinea Equatoriale, da dove era tornato dodici mesi prima con la medaglia di bronzo al collo. Certo, c'era qualche incertezza dovuta alle assenze e alla separazione dall’ex CT Alain Giresse, ma la fiducia era alta. Al suo posto, la federazione maliana di calcio (FEMAFOOT) aveva scelto Patrice Carteron, uno degli undici tecnici francesi - tra cui il predecessore - passati sulla panchina del Mali dal 2000 a oggi (al netto di due maliani, due polacchi, un nigeriano e un italiano).«Anche se siamo qui, non possiamo evitare di pensare continuamente a ciò che sta succedendo in Mali», raccontava Samba Sow, centrocampista del Lens, prima del debutto contro il Niger. «Perché siamo cittadini maliani, siamo figli di questo Paese, ed è lì che vivono le nostre famiglie: tutto ciò deve rappresentare una motivazione in più per noi, e non una distrazione». Missione compiuta, a occhio e croce, per Sow e compagni, che faranno ritorno a casa con il secondo bronzo consecutivo e la terza medaglia in assoluto per le "Aquile" nella massima competizione continentale. «Ci tenevamo a mandare un messaggio di speranza al nostro Paese, regalare una gioia a un popolo in grande sofferenza», dirà Seydou Keita, ex Barcellona e Roma.Il Mali aveva dato prova di resistenza e forza d’animo nella spedizione in Sudafrica così come in quelle precedenti. Nel 2012 avevano eliminato il Gabon negli ottavi di finale, davanti al suo pubblico, andando in svantaggio nel secondo tempo e passando con il rigore decisivo trasformato da Keita; nel 2010, in Angola, avevano invece inaugurato il torneo con un’impresa ai limiti dell’impossibile: una memorabile rimonta da 0-4 (al 78esimo!) a 4-4; e in Sudafrica, ecco le "Aquile" dare seguito a questa tradizione, ponendo fine al sogno dei padroni di casa negli ottavi di finale.Intanto, di fronte all’avanzata dei gruppi jihadisti, il governo maliano chiedeva l’intervento militare della Francia, che non si è fatto attendere e in poche settimane ha portato alla riconquista dell’area settentrionale del Paese. Le forze armate del Mali sono rientrate così in possesso del proprio territorio, ma non di Kidal. Fino all’autunno scorso, infatti, la città è rimasta sotto il controllo di una missione dell’ONU, la United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali, appoggiata da gruppi armati tuareg che dopo gli accordi di pace di Algeri avevano ufficialmente prestato fedeltà al governo di Bamako.Tutta questa instabilità ha contribuito, negli ultimi dieci anni, alla proliferazione di malcontenti e sospetti, e ha posto Kidal al centro di svariate teorie del complotto, sapientemente sfruttate dalla propaganda del gruppo Wagner, entrato in servizio in Mali nel 2021. Secondo queste teorie, Kidal sarebbe la base di movimenti jihadisti armati e addestrati dalla Francia, l’ex potenza colonizzatrice, con l’intento di giustificare la propria presenza militare nel Paese e “derubare” le risorse naturali, oro in primo luogo. L’aggravarsi dell’insurrezione, che dal Mali si è sparsa al resto della regione del Sahel, ha accelerato la circolazione di questa teoria, divenuta ormai realtà acquisita per ampi strati dell’opinione pubblica regionale. Alla fine dell’estate scorsa, quindi, il governo provvisorio del Mali ha deciso di rompere gli accordi di pace (ufficialmente annullati due settimane fa) e dare il via a un’offensiva contro il CSP, l’alleanza tuareg che occupava Kidal. Grazie al supporto del gruppo Wagner, il 14 novembre le forze armate di Bamako hanno annunciato di aver ripreso il controllo della città, portando a compimento il processo di riunificazione nazionale.Per festeggiare l’avvenimento è stata organizzata una cerimonia allo stadio principale di Bamako, con protagoniste proprio le "Aquile", simbolo sportivo della ritrovata dignità del Paese. Un comunicato del Ministero dello Sport, pubblicato su Facebook il 15 novembre, invitava “il pubblico sportivo e i giovani del Mali a un’ampia mobilitazione” per le sfide contro Ciad e Repubblica Centrafricana, valide per le qualificazioni al Mondiale 2022. Due serate in cui, con biglietti offerti all’equivalente di un dollaro e mezzo, la popolazione era chiamata a sostenere la Nazionale nell’inseguimento al suo primo Mondiale (sogno che sfumerà negli spareggi, per mano della Tunisia), e a “celebrare la storica vittoria delle forze armate”.Pochi giorni più tardi, a Bamako tornerà d’attualità il caso Mamoutou Touré, noto anche come “Bavieux”. Numero uno della FEMAFOOT e storico volto del calcio maliano, Tourè era stato travolto lo scorso agosto da uno scandalo di corruzione e arrestato insieme ad altri vertici della federazione, con l’accusa di appropriazione indebita di fondi pubblici per un totale di oltre 25 milioni di euro. Il 28 novembre la Corte d’Appello ha negato il suo rilascio provvisorio, dopo aver fissato una cauzione di 300 milioni di franchi CFA (450mila euro circa) che aveva lasciato intravedere una possibile scarcerazione in tempo per l'attuale Coppa d’Africa.Già, perché nel frattempo Touré è stato incredibilmente confermato alla presidenza della FEMAFOOT, seguendo dal carcere le elezioni di settembre, in cui era l’unico concorrente - causa “ineleggibilità” di tutti gli altri candidati - e ha ottenuto 61 voti su 63 totali. Tuttora si attendono la liberazione e il reintegro di “Bavieux”, caldeggiato a più riprese dalla CAF, ma che “potrebbe richiedere ancora molto tempo: accade spesso in Mali che detenzioni preventive per casi di corruzione si protraggono per due o tre anni, in attesa del processo”, stando alle parole di un giornalista locale a L’Équipe.

La FIFA, di cui Touré è stato membro, in passato ha sanzionato duramente le interferenze della politica maliana nei processi di voto interni alla FEMAFOOT (come accaduto anche in Zimbabwe e Kenya, ad esempio); allo stato attuale, in attesa di un responso della giustizia, la federcalcio mondiale si è limitata a presenziare alle assemblee e supervisionare lo svolgimento delle elezioni.In queste settimane, finalmente, la selezione di Éric Chelle sta facendo tornare il Mali nella cronaca sportiva propriamente detta, ovvero per i risultati sul campo, in Coppa d’Africa. Superato abbastanza agevolmente il girone (dopo la vittoria all’esordio, 1-1 con la Tunisia e 0-0 con la Namibia), le "Aquile" si sono trovate di fronte negli ottavi di finale i vicini di casa: il Burkina Faso. Un incontro che non ha riservato particolari sofferenze al Mali, anche grazie all’avvio di gara in discesa con l’autogol di Edmond Tapsoba al terzo minuto.

Il confronto tra Mali e Burkina Faso ha rappresentato una di quelle strane congiunzioni astrali in cui sport e politica si fondono. Entrambi i paesi sono al centro delle insurrezioni nel Sahel, con la città di Timbuctu sotto assedio in Mali e il Burkina Faso che ha perso il controllo del 40% del proprio territorio. Entrambi, inoltre, sono retti da governi di transizione guidati da militari, e sono animati da un profondo sentimento antifrancese. Ad accomunare ulteriormente il momento storico dei due Paesi, infine, la decisione di rafforzare le relazioni con la Russia, che li ha riforniti di grano e armamenti in cambio della loro vicinanza a livello diplomatico.Negli scorsi mesi, Mali e Burkina Faso hanno dato vita insieme al Niger all’Alleanza degli Stati del Sahel, un’organizzazione che si prefigge obiettivi ambiziosi come domare l’insurrezione interna e accelerare lo sviluppo di tutti i suoi membri. Per rispondere ai colpi di stato che hanno portato al potere le giunte militari, i membri dell’ECOWAS (Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale) hanno imposto sanzioni durissime contro i tre stati ribelli, restringendo i commerci verso alcune delle economie più povere del pianeta. Per tutta risposta, 48 ore prima del calcio d’inizio degli ottavi di finale, i tre Paesi hanno annunciato l’uscita dall’organizzazione, mettendone in pericolo il futuro.Sabato, nei quarti di finale, la Nazionale maliana troverà sulla propria strada un altro Paese membro della comunità, la Costa d’Avorio, che sta vivendo settimane caotiche ma in qualche modo è ancora in corsa. Gli "Elefanti" partono con il leggero favore del pronostico, in virtù principalmente del fattore campo e del loro strano cammino ormai da under dog, ma storia recente del torneo dovrebbe aver insegnato qualcosa. Con un massimo di tre partite ancora all’orizzonte, il Mali vuole finalmente rompere il “record” di Nazionale con più presenze in Coppa d'Africa senza mai essere riuscita a vincerla.

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