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Nicola Sbetti
La maledizione dei Mondiali di Cortina
05 feb 2021
05 feb 2021
Prima di quest'anno a Cortina si tenne un'altra edizione dei Mondiali di sci, che però venne cancellata dalla storia.
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Nicola Sbetti
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La bellezza mozzafiato del massiccio montuoso delle Tofane, il fascino della mondanità e un’attenta strategia turistica sono alla base del successo di Cortina d’Ampezzo, “la Regina delle Dolomiti”. Un primato che si è cristallizzato nell’immaginario collettivo anche grazie al cinema, tra James Bond, Frank Sinatra, la Pantera rosa, Michelle Pfeiffer, ma anche Totò, Alberto Sordi e Fantozzi. In molti hanno contribuito all’ascesa della località ampezzana che, come immortalato da “Vacanze di Natale”, negli anni Ottanta è diventata la meta simbolo del turismo della montagna.


 

Prima di tutto questo, però, la svolta va fatta risalire al 1956 con l’organizzazione dei Giochi Olimpici invernali. Per quanto già negli anni Trenta Cortina venisse definita la “capitale degli sport invernali”, fu proprio grazie alle prime Olimpiadi organizzate in Italia, nonché le prime trasmesse in diretta in Eurovisione, che Cortina venne proiettata in una dimensione globale a livello turistico. Una storia d’amore che verrà rinnovata nel 2026, quando Cortina tornerà assieme a Milano ad organizzare un’edizione dei Giochi invernali.


 

Diverso è il discorso per i Mondiali di sci. Quando questo evento viene associato a Cortina, infatti, la sfortuna sembra sempre volerci mettere lo zampino. Dopo ben cinque tentativi andati a vuoto, nel 2016 Cortina era finalmente riuscita ad ottenere l’organizzazione dei Mondiali del 2021, suscitando grande entusiasmo e aspettative.


 

La pandemia di Covid-19 ha però cambiato le carte in tavola. I Mondiali si svolgeranno regolarmente dall'7 al 21 febbraio e, date le circostanze, è già un grande successo, tuttavia le previsioni che parlavano di un giro d’affari da 1 miliardo di euro sono state necessariamente riviste al ribasso. E, nell’impossibilità di celebrare una grande festa, si punta almeno a dimostrare la propria efficienza organizzativa. Come ha dichiarato Alessandro Benetton, il Presidente di Fondazione Cortina 2021, «Vogliamo comunicare al mondo che a Cortina siamo pronti per vincere la sfida di organizzare un grande evento sportivo internazionale nel pieno di una pandemia».


 

Forse non è esagerato parlare di maledizione quando si tratta il tema Mondiale di sci a Cortina, soprattutto se pensiamo che l'unica precedente edizione, organizzata esattamente 80 anni fa, si svolse in circostanze altrettanto eccezionali, anche se per ragioni totalmente differenti da quelle di oggi. In quell’occasione il pubblico poté applaudire le imprese degli sciatori, certo, ma nel palmares ufficiale della Federazione Internazionale di Sci l’edizione del 1941 dei Mondiali venne cancellata dalla storia.


 



 

Nel febbraio del 1941 la Seconda guerra mondiale era già scoppiata da un anno e mezzo. La Germania nazista, dopo aver invaso la Polonia, aveva conquistato Danimarca, Norvegia ed era entrata a Parigi. E, sebbene la resistenza della Gran Bretagna non fosse stata piegata, le truppe dell’Asse controllavano quasi tutta l’Europa continentale, anche se il contributo offerto dall’Italia fascista, il cui esercito impreparato e male armato si era impantanato in Grecia, risultava essere marginale.


 

La guerra aveva imposto la cancellazione delle Olimpiadi del 1940, assegnate prima a Tokyo (altra coincidenza interessante) e poi spostate a Helsinki, ma non aveva interrotto lo sport. Anzi, la Germania nazista con il supporto dell’Italia fascista e dell’Impero giapponese erano al lavoro per costruire un nuovo ordine sportivo mondiale e gli eventi sportivi internazionali erano funzionali a celebrare i successi militari, a legittimare le nuove conquiste, ma soprattutto a rassicurare la popolazione. I Mondiali di sci, che si disputarono a Cortina dal 1 al 9 febbraio 1941, non furono quindi un semplice evento sportivo, proprio perché fecero espressamente parte di questa strategia.


 

Erano gli stessi giornali del tempo che, attentamente controllati dalla censura e intrisi di propaganda fascista e bellicista, rivendicavano questo ruolo. Per esempio La Gazzetta dello Sport del 31 gennaio scriveva: «In tempi di pace l’organizzazione del campionato del mondo già costituirebbe per la nostra Nazione un merito e un vanto (…). In tempo di guerra è una cosa più importante e più bella. Non è soltanto un segno di vitalità; già lo sappiamo che lo sport dell’Asse non ha ammainato la sua bandiera appunto perché viene pesato e brandito come un’arma. Prepara e fa dei soldati, è una vigilia e non una vacanza».


 



 

Proprio a causa della situazione bellica la partecipazione non poté essere completa. Fra gli assenti spiccavano i francesi e i britannici, oltre agli statunitensi (che saltuariamente avevano partecipato ad alcune edizioni precedenti). I formidabili sciatori austriaci, invece, gareggiavano ormai dal marzo del 1938 (a seguito dell’Anschluss) sotto le insegne del Terzo Reich, mentre i sovietici fin dal 1917 si erano autoesclusi da quello che definivano con un certo disprezzo lo “sport borghese”. In ogni caso grazie alla presenza più che altro simbolica di paesi come la Bulgaria, l’Ungheria, la Spagna e la Slovacchia, ma anche della stessa Norvegia (governata dal regime collaborazionista di Vidkun Quisling, che si presentò a Cortina con una delegazione non all’altezza della sua tradizione), le nazioni partecipanti furono 12, sostanzialmente lo stesso numero delle precedenti edizioni prebelliche. Inoltre la presenza di quattro squadre provenienti da nazioni neutrali come la Svizzera (anche se non al completo), la Svezia, la Finlandia e la Jugoslavia (che ironia della sorte sarebbe stata invasa dalle potenze dell’Asse di lì a due mesi) contribuì a legittimare un evento che poteva effettivamente definirsi mondiale grazie alla presenza della sparuta delegazione giapponese.


 



 

La cerimonia inaugurale si svolse in un clima austero caratterizzato, non solo da saluti romani e dalla tipica iconografia fascista, ma anche da una forte presenza di divise militari. In assenza di Benito Mussolini e dello stesso Presidente della Federazione Italiana degli Sport Invernali nonché Ministro delle Corporazioni, Renato Ricci, fu il Presidente del CONI, Raffaele Manganiello, ad inaugurare l’evento. «È la prima volta, nella storia moderna, che una grande manifestazione sportiva internazionale si effettua in tempo di guerra e coll’intervento di squadre militari» dichiarò «Questo fatto onora l’Italia organizzatrice dei Campionati ed onora i Paesi che hanno decisamente aderito all’iniziativa perché rispecchia la serena coscienza di popoli veramente forti e sicuri del loro destino; i popoli che non si lasciano turbare dalle vicende dell’ora che volge». Manganiello, che dopo aver aderito con convinzione alla Repubblica di Salò sarebbe stato giustiziato dai partigiani piemontesi nel settembre del 1944, assisterà a tutte le gare a fianco del Reichssportführer (il Ministro dello sport tedesco) Hans von Tschammer und Osten, con il quale si intrattenne in diverse riunioni italo-tedesche, volte a pianificare operativamente quel nuovo ordine sportivo mondiale che i vertici dei due Paesi andavano teorizzando fin dal 1939. Più di rappresentanza fu invece il ruolo di alcuni esponenti della famiglia reale come il Duca di Bergamo Adalberto di Savoia-Genova e la Principessa Mafalda d’Assia.


 



 

A livello sportivo i Mondiali di Sci di Cortina, che eccezionalmente riunivano sia le prove alpine che quelle nordiche (sci di fondo, salto con gli sci e la combinata fra queste due specialità), furono dominati dalla Germania. Gli sciatori del Terzo Reich conquistarono 14 titoli frutto di 6 vittorie, 3 secondi posti e 5 terzi posti. Alle loro spalle la Finlandia con 3 ori, 3 argenti e un bronzo, mentre l’Italia chiuse davanti alla Svezia con 2 ori, 3 argenti e 4 bronzi. Per la squadra italiana, che beneficiò del fattore casa e di qualche assenza, si trattò di un risultato di altissimo livello. Prima di allora solamente la bolzanina Paula Wiesinger, proprio a Cortina ma nel 1932, aveva vinto un titolo mondiale.

 



Come da programma nello sci alpino si disputarono, sia a livello maschile che femminile, la discesa libera e lo slalom, che allora in nome dell’autarchia linguistica veniva chiamata discesa obbligata. Proprio nella discesa obbligata Vittorio Chierroni (ex aequo con il “tedesco” di Sant’Anton Albert Pfeifer) e Celina Seghi conquistarono il titolo mondiale. La somma dei tempi di discesa e slalom assegnava anche il titolo della combinata alpina, senza che questa diventasse, come in tempi più recenti, una gara a sé.

 

Le prove di sci nordico invece erano riservate solo agli uomini. Nel fondo si svolsero gare individuali sui 18 e sui 50 km, oltre che nella staffetta. E proprio nella 4x10 km il quartetto italiano composto da Aristide Compagnoni, Severino Compagnoni, Alberto Jammaron e Giulio Gherardi si piazzò al terzo posto. Nel fondo, beneficiando della ridotta partecipazione norvegese, gli azzurri riuscirono ad ottenere importanti piazzamenti e a presentarsi come la prima potenza non scandinava. Assai meno soddisfacenti furono invece i risultati nel salto e nella combinata nordica, discipline dominate da tedeschi e finlandesi che ebbero luogo a Zuel sul maestoso trampolino interamente in legno, ristrutturato nel 1940 in vista delle Olimpiadi che si pensava Cortina avrebbe potuto ospitare nel 1944.


 

A certificare il clima di guerra, il calendario fu completato dalla gara della pattuglia militare. Questa disciplina, già sport olimpico dimostrativo a Chamonix (Francia) nel 1924, a St. Moritz (Svizzera) nel 1928 e a Garmisch-Partenkirchen (Germania) nel 1936, era stata introdotta ai Mondiali nel 1939 a Zakopane (Polonia). Rispetto al biathlon, che si sarebbe affermato nel secondo dopoguerra, era uno sport esclusivamente di squadra e riservato ai militari. Un terzetto formato da un sottoufficiale e due soldati con zaini e fucili, guidato da un ufficiale, doveva affrontare con gli sci da fondo un percorso di 25 km intervallato da una prova di tiro. Curiosamente il bersaglio era rappresentato da tre palloncini distanziati almeno 100 metri; se non venivano centrati al primo colpo le penalizzazioni andavano da 15 secondi fino a 5 minuti. L’ufficiale in ogni caso non poteva sparare ma solo guidare e comandare il resto della truppa.




Gli italiani, che si presentarono forti del successo di Garmisch 1936, si piazzarono al terzo posto. Ciononostante, la stampa di regime esaltò la sfortunata prova del quartetto, composto da Luigi Perenni, Achille Compagnoni, Celeste Maurizio e Giovanni Fanton, che comunque eseguì al poligono una prestazione senza errori. Come scrisse La Gazzetta dello sport, l’alpino bergamasco Celeste Maurizio «era colto da violenti crampi di stomaco che lo costringevano a rallentare l’andatura e ben presto a sbarazzarsi dello zaino e del fucile, i quali passavano sulle capaci, possenti spalle dell’ufficiale, il meraviglioso Luigi Perenni».

 

Perenni perderà la vita nell’estate del 1943 in un incidente durante una scalata, poche settimane prima che i suoi soldati del Nucleo pattuglie sci veloci, dopo l’otto settembre, piuttosto che arrendersi ai tedeschi, decisero di rifugiarsi in Svizzera. Nel gruppo che con gli sci ai piedi trovò rifugio nella neutrale Repubblica elvetica c’erano anche alcuni protagonisti dei Mondiali di Cortina come Roberto Lacedelli (caduto in discesa e 10° in slalom) e Zeno Colò. Quest’ultimo, allora ventenne di belle speranze, non venne scelto nel quartetto titolare, ma corse la prova come apripista e la completò con un tempo che lo avrebbe classificato al secondo posto davanti al compagno Marcellin e al tedesco Cranz. Lo sciatore di Abetone si prenderà comunque la sua rivincita nove anni più tardi vincendo 3 medaglie di cui due d’oro ai Mondiali di Aspen 1950 e soprattutto conquistando il titolo olimpico nella discesa delle Olimpiadi di Oslo 1952.


 

Ai Giochi del 1952, a contendere il primato a Colò, non ci sarebbe invece stato la stella dei Mondiali di Cortina: Josef Jennewein. Nato nel 1919 a Sant Anton, centro sciistico nelle alpi tirolese, “Pepi”, come veniva chiamato, era arrivato a Cortina forte della vittoria in combinata ai Mondiali di Zakopane del 1939 (frutto di un doppio secondo posto in discesa e slalom), ma soprattutto dopo aver ultimato il proprio addestramento con l’aviazione tedesca in cui si era arruolato con entusiasmo come volontario. Le vittorie in discesa libera e nella combinata furono una delle ultime gioie della sua vita da civile. Pochi mesi dopo i Mondiali, abbandonò gli sci per dedicarsi ai combattimenti aerei, prima sul fronte britannico poi su quello orientale. Anche in guerra dimostrò un certo talento, abbattendo 86 velivoli degli eserciti Alleati. Tuttavia, nel luglio del 1943, trovò la morte sul fronte sovietico dopo aver compiuto un atterraggio oltre le linee nemiche.


 

Del quartetto dei discesisti in rappresentanza del Reich tedesco che gareggiarono a Cortina 1941 solo Heli Lantschner sopravvisse alla Seconda guerra mondiale e tornò a vivere in Austria. Sia il vincitore ex-aequo con Chierroni dello slalom, Albert Pfeifer, sia Rudolf Cranz andarono incontro a una fine analoga a quella di Jennewein. L’aereo di Pfeifer, che come il compagno si era arruolato nella Luftwaffe, venne abbattuto in Olanda nell’agosto del 1943, mentre Cranz, inquadrato nei Gebirgsjäger (gli alpini tedeschi), venne ucciso in Polonia, nel primo giorno dell’invasione nazista all’Unione Sovietica. Anche il campione mondiale della combinata, Gustl Berauer, tedesco dei Sudeti, la regione della Cecoslovacchia annessa al Terzo Reich a seguito degli Accordi di Monaco del 1938, combatté con i Gebirgsjäger sul fronte orientale, venendo gravemente ferito e non poté più praticare sport.


 

A livello femminile invece il dominio assoluto di Christl Cranz, sorella di Rudolf, che si era presentata a Cortina forte di 12 ori mondiali e uno olimpico, venne almeno parzialmente interrotto da una giovanissima sciatrice dell’Abetone: Celina Seghi. La ventenne toscana conquistò l’oro nello slalom e l’argento nella combinata, ma come tanti altri atleti della sua generazione anche la Seghi perse gli anni migliori per colpa della guerra. Dopo la Liberazione sfiorò in più occasioni la medaglia olimpica e centrò solo un bronzo mondiale ad Aspen nel 1950. Continuò comunque a gareggiare fino al 1956 vincendo numerose gare anche a livello internazionale. Una volta sposata chiuse con l’agonismo ma divenne maestra di sci e lo scorso anno ha festeggiato un importante traguardo, spegnendo le 100 candeline.


 

Svoltisi nel pieno della Seconda guerra mondiale, i Mondiali di sci di Cortina rappresentarono un tentativo da parte dei paesi dell’Asse di normalizzare la propria effimera egemonia. Sulla stampa italiana la Cortina dei Mondiali veniva rappresentata come «un’oasi franca dove gente di ogni contrada si muove a suo agio convive in cameratismo e cordialità, sotto il segno rappacificatore dello sport» e come un «bellissimo esempio di serenità e di superiore civiltà che attraverso questo raduno l’Italia Fascista mostra al mondo». Poco più di due anni dopo, a seguito degli eventi successivi alla caduta di Mussolini e all’armistizio di Cassibile, il centro ampezzano non rientrò nei territori controllati dalla cosiddetta Repubblica di Salò, ma venne sottoposto al controllo diretto della Germania nazista fino alla Liberazione.


 



 

Proprio perché inquadrati all’interno di un più ampio progetto di un nuovo ordine sportivo mondiale e perché disputati in una situazione di guerra escludendo gli Alleati, all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale, nel primo congresso della Federazione Internazionale, su forte pressione della Norvegia, l’edizione di Cortina 1941 venne cancellata, scomparendo così prima dagli annali e poi dalla storia. L’Italia, tuttavia, al contrario della Germania non venne esclusa dalla Federazione internazionale e alcuni dei protagonisti di quel Mondiale cancellato, come Zeno Colò e Celina Seghi, furono protagonisti alle Olimpiadi di St. Moritz 1948, Oslo 1952 e ai Mondiali di Aspen 1950.


 

Significativamente proprio Cortina, da strumento della propaganda sportiva del fascismo, diventerà con le Olimpiadi del 1956 il simbolo sportivo della redenzione dell’Italia che aveva ora abbracciato i valori democratici e repubblicani. Chissà che anche i Mondiali che ci apprestiamo a vivere nelle prossime ore non possano rappresentare una nuova pagina per la nostra storia.


 

 

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