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Magnifica e terrificante Aryna Sabalenka
10 set 2024
Il terzo Slam di Aryna Sabalenka conferma il suo percorso di crescita.
(articolo)
10 min
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Foto di IMAGO / PanoramiC
(copertina) Foto di IMAGO / PanoramiC
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Aryna Sabalenka, nel liberare l’ultimo dritto, ha urlato. Un po’ più forte del solito, almeno. Un suono acuto, liberatorio, a far uscire tutto l’ossigeno e la tensione. Stava per succedere, lo sapeva. Era al centro del campo, immobile, solida, altissima, mentre la sua avversaria Jessica Pegula cercava di rimandare di nuovo la pallina dall’altra parte. La statunitense, che dopo il servizio non aveva mai smesso di correre per tutto il campo nel tentativo di posticipare l’ineluttabile, è arrivata anche qui. La pallina ha superato la rete, è volata alta sopra la testa della bielorussa e direttamente fuori. Sabalenka si è lasciata cadere a terra in lacrime.

Gli Us Open, l’ultimo Slam della stagione, non sono nuovi a sorprese nel tabellone. Quest’anno, più dalla parte degli uomini che delle donne. Mentre i solidissimi cadevano come mosche contro gli avversari più improbabili, il torneo femminile non ha riservato grandi sorprese – di sicuro non lo sono state la defezione di Elena Rybakina (l’ottava quest’anno) o l’approdo in semifinale di Karolína Muchová, fuori dalle teste di serie solo per gli infortuni.

Tutto sembrava lineare, almeno fino all’eliminazione di Iga Świątek, numero uno del mondo. La polacca, che a dire il vero questa stagione ha faticato in tutti gli Slam, è caduta per mano di Jessica Pegula nei quarti di finale. Da quel momento il torneo era virtualmente in mano a Sabalenka.

La sua carriera è cambiata nel giro di una manciata di mesi. L’attuale numero due del ranking mondiale si è aggirata per anni tra le top ten (e dal 2020 non è mai scesa sotto la decima posizione) senza mai dare l’impressione di poter essere più di quello che già non era. Certo, era in grado battere chiunque per manifesta superiorità fisica in una giornata buona. Per superiorità fisica intendiamo soprattutto una cosa: la forza che imprime ai suoi colpi. Non erano, però, mai più di tante le giornate buone di fila, sicuramente non abbastanza per sperare di vincere uno o più Slam.

Il suo soprannome, tigre, manifestato anche da un tatuaggio sull’avambraccio, descrive bene il suo stile di gioco sempre aggressivo e in spinta – esaltato dal cemento. Come il felino più grande della terra, Sabalenka è in cima alla catena alimentare. Sempre, e da sempre, artefice del proprio destino. Nessuna sa colpire forte come lei e con quella intensità, sottolineata sempre dalla voce. Dà la sensazione che se non vince, è colpa sua – e tante volte, soprattutto in passato, era vero. Spesso perdeva la dimensione del campo (che avrebbe dovuto essere almeno un terzo più largo e più lungo per contenerla) e con quella anche le partite. Non era un fenomeno raro vederla commettere una decina di doppi falli e superare i cinquanta errori non forzati a partita. La differenza, tra vittoria e sconfitta, la facevano solo i vincenti: il rischio era ed è ancora un fattore imprescindibile del suo dominio (o disfatta, a seconda dei casi).

Per chi la circondava, invece, era chiaro che era solo questione di tempo, anche nei periodi più complicati. Quando Sabalenka era poco più che un’adolescente e suo padre Sergej era vivo, l’obiettivo era quello di conquistare due tornei dello Slam entro i venticinque anni di età. A inizio 2023, a ventiquattro anni e otto mesi, ancora non ne aveva vinto nemmeno uno. Sergej, morto nel 2019 quando Aryna era da poco entrata nel tennis che conta, non aveva fatto in tempo a dirle che andava bene lo stesso vincere uno Slam qualche mese dopo e lei sentiva che il tempo stava scivolando via. «Mi sento vecchia […] Ho ventiquattro anni e zero Slam, sento che mi metto moltissima pressione addosso» aveva detto nella puntata a lei dedicata di Break Point, docu-serie Netflix sul tennis girata nel 2022.

Agli Australian Open proprio del 2022 Aryna Sabalenka aveva commesso almeno dieci doppi falli in ogni singolo match: «Vedevo tutto quanto attorno alla palla, ma non vedevo la palla. Ero nel panico. Non riuscivo a servire. In quei momenti è come non sentire il tuo corpo, non controlli le braccia, le gambe, nulla. È stata la peggior sensazione che ho mai avuto su un campo da tennis».

Per realizzare i suoi sogni, erano necessari degli aggiustamenti al suo gioco, in grado di renderla meno vittima di sé stessa. Così, nel 2022, durante il suo ventiquattresimo anno di vita, aveva lavorato con uno «specialista in biomeccanica», così lo aveva definito, che l’aveva aiutata a cambiare quello che non andava nel movimento del servizio, semplificandolo e ottimizzando i dettagli che la portavano all’errore nei momenti di stress, a partire dal lancio di palla. Senza snaturare del tutto il suo gioco, era riuscita ad aggiungere rotazione ai suoi colpi prima del tutto piatti. Inoltre, aveva inserito nel suo repertorio qualche variazione in slice per ridurre gli errori e produrre più cambi di ritmo.

I cambiamenti avevano portato i loro frutti e poche settimane dopo l’inizio dell’anno, il 28 gennaio 2023, aveva finalmente vinto gli Australian Open, il suo primo Slam. La cerimonia di premiazione era stata anche battesimo della seconda parte della sua carriera, quello che lei aveva definito già dai quarti di finale il «nuovo inizio». Otto mesi dopo, a settembre, si era ritrovata in finale da favoritissima contro Coco Gauff agli Us Open. Che modo drammatico e dominante di mantenere la promessa sarebbe stato. La conclusione dell’anno perfetto, che l’aveva anche vista diventare la numero uno del mondo per la prima volta.

Dopo aver vinto il primo set 6-2 la finale sembrava indirizzata. Poi, forse complice il tifo del pubblico per l’eroina di casa, oppure la mancanza di ossigeno che si prova quando manca un respiro al raggiungimento degli obiettivi di una vita, aveva iniziato a sbagliare. Proprio come una volta, quando non era davvero pensabile che la tennista di Minsk sarebbe mai stata capace di trovare giornate buone per due settimane di fila. Una resiliente Coco Gauff aveva avuto la meglio su una Sabalenka capace di produrre quarantasei errori non forzati per “soli” venticinque vincenti.

L’ultima immagine che ci resta della bielorussa a New York nel 2023 è di un filmato rubato dopo la partita, sola nella saletta per il riscaldamento a spaccare racchette in silenzio.

La promessa a suo padre alla fine è riuscita a mantenerla: il 27 gennaio 2024, a venticinque anni e otto mesi, si è confermata campionessa agli Australian Open, l’ultimo Slam disponibile prima del suo ventiseiesimo compleanno. Che sollievo.

Quest’anno, memore del trauma del 2023 e più leggera per l’obiettivo raggiunto, aveva provato a portare il pubblico dalla sua parte, promettendo giri di bevute in caso di vittoria. Ma agli spettatori patinati dell’Arthur Ashe, il campo centrale degli Us Open, non mancano i soldi per riempirsi di honey deuce, lo sponsorizzatissimo cocktail della manifestazione che ha già fatturato milioni di dollari. E quando Jessica Pegula era riuscita a sconfiggere in rimonta Karolína Muchová, era chiaro che la bielorussa sarebbe di nuovo stata sola contro lo stadio.

Alla vigilia della finale di quest’anno, si diffondevano oscuri presagi. Per esempio, che coincidenza, anche l’anno scorso Aryna Sabalenka testa di serie numero due affrontava una statunitense, all’epoca Coco Gauff, sesta testa di serie. Oppure, incredibile, la bielorussa Victoria Azarenka nel 2012 e nel 2013 aveva vinto gli Australian Open per poi essere sconfitta da una statunitense (Serena Williams entrambe le volte) in finale a Flushing Meadows.

Non è un caso che la prima partita in cui Sabalenka ha dato segnali di un possibile cedimento sia stata la semifinale, proprio come l’anno scorso, e contro una statunitense – Madison Keys nel 2023 e una sorprendente Emma Navarro nel 2024. Questa volta si era presentata nella sua forma più splendente e terrificante in assoluto. Aveva stabilito il record del dritto medio più veloce del torneo, maschi compresi: 129 chilometri all’ora, contro i 127 di Carlos Alcaraz e 126 di Jannik Sinner. In più, in tutte le partite aveva commesso un unico doppio fallo – e chi l’ha mai vista giocare e ha assimilato quanto detto finora, sa che questa è la statistica più incredibile delle due. Navarro, per quanto avesse dimostrato nelle partite precedenti di possedere un tennis solido, non sembrava essere capace di creare il peso necessario a sconfiggere la predestinata.

Eppure, soprattutto nel secondo set, si erano manifestati i fantasmi della Sabalenka passata: le palle sparate fuori in lungo e in largo e i doppi falli avevano riportato in partita la statunitense, fino al tie break. Poi, dopo essere finita sotto due a zero – per colpa di un doppio fallo, nientemeno – la bielorussa non aveva più perso un punto. L’ansia e lo smarrimento che l’avevano fermata in passato erano svanite e aveva chiuso la partita prima che si potesse complicare (6-3, 7-6).

La finale con Jessica Pegula aveva tutti gli ingredienti per evocare più forti gli spettri sommersi. La statunitense dal canto suo aveva già dimostrato nella semifinale contro Muchová che non è una che si lascia demoralizzare facilmente. Perso malamente il primo set e sotto di un break nel secondo, era riuscita a trovare la chiave per disinnescare le variazioni e gli schemi tattici della ceca, trovando la vittoria (1-6, 6-4, 6-2). Più volte nella finale con la bielorussa, è riuscita a riprendersi i break subiti e si è anche guadagnata l’occasione di servire per portare la partita al terzo set. Sabalenka non era nello spazio mentale più sereno, in più di una situazione le esultanze erano sostituite da sospiri di sollievo e goffi tentativi di ingraziarsi il pubblico di star.

Ma non serviva. Il destino era nelle sue mani, come sempre, nel bene e nel male, al di là dei presagi e delle maledizioni. Sabato sera, in campo c’erano le condizioni perfette per il suo fallimento, per il melodramma. Ma lei è in cima alle classifiche e alla catena alimentare, lo ha dimostrato una volta per tutte e ha compiuto il suo riscatto e la sua consacrazione a soli dodici mesi dalla sconfitta più dolorosa. Ha vinto il suo terzo Slam, poco dopo aver compiuto ventisei anni, perdendo un solo set. L’ultima partita l’ha chiusa con un doppio 7-5, a lasciare una testimonianza della fatica e della tensione, di un match che sarebbe potuto andare in un altro modo. Probabilmente qualche mese fa sarebbe andato in un altro modo.

Aryna Sabalenka invece quest’anno ha trovato la maturità necessaria, forse un po’ più tardi di quello che avrebbe voluto, ma giusto in tempo per mantenere le promesse. Nel 2024 ha vinto due Slam su tre a cui ha preso parte. Al Roland Garros era stata sconfitta ai quarti di finale da un virus intestinale (e Mirra Andreeva); poi aveva saltato Wimbledon per un infortunio alla spalla.

Stop forzati che forse l’hanno solo aiutata a provare a elaborare il secondo lutto di questa storia: quello per la scomparsa, a marzo, del suo ex compagno,Konstantin Koltsov. Il giorno dopo la notizia, Sabalenka era in campo ad allenarsi. A fine agosto, in un’intervista al Guardian alla vigilia degli Us Open aveva riflettuto sulla sua reazione iniziale: «Tempo fa, quando ho perso mio padre, il tennis mi ha aiutato a superare quella dura perdita. Ho pensato di dover continuare ad andare avanti, continuare a giocare, continuare a fare quello che stavo facendo per separare la mia vita privata dalla carriera». È stato un errore, in retrospettiva: «Stavo avendo molti problemi di salute perché non non mi sono fermata. È stato molto pesante e stressante e ne ha risentito la mia salute mentale». Dopo la pausa obbligata, si era resa conto che era una cosa «di cui aveva assolutamente bisogno» e che le ha permesso di tornare «fisicamente e mentalmente molto meglio e molto più forte».

Al rientro, è stata in grado di vincere il WTA 1000 di Cincinnati senza perdere neanche un set, battendo Iga Świątek in semifinale e Jessica Pegula in finale. Poi, subito dopo, gli Us Open. Un’impresa riuscita ad altre tre donne finora: Kim Clijsters nel 2010; Serena Williams nel 2014; Coco Gauff nel 2023. Durante la cerimonia di premiazione di sabato notte, ha ricordato ancorauna volta chi è e cosa vuole: «Dopo la morte di mio padre il mio obiettivo è sempre stato quello di scrivere il nome della mia famiglia nella storia del tennis e ogni volta che vedo il mio nome inciso su un trofeo sono così orgogliosa di me stessa, della mia famiglia». Quello che sembra cambiato adesso, è che finalmente il suo nome sembra davvero vicino alla consacrazione. O almeno, per una volta Sabalenka sembra rendersene conto: «Se sacrifichi tutto per un sogno alla fine lo raggiungi e sono super orgogliosa di me stessa, non lo dico mai, ma sono super orgogliosa di me stessa».

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