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Giuseppe Pastore
La svastica sul Giglio
30 nov 2017
30 nov 2017
La storia della seconda maglia della Fiorentina nella stagione 1992/93, che venne ritirata perché conteneva una fantasia con delle svastiche.
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Giuseppe Pastore
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Charles Leiper Grigg possedeva quel che si dice un ottimo fiuto per gli affari.

 

A metà dell'ottobre del 1929 lanciò sul mercato americano una bevanda gassata al gusto di limone e lime, con l'aggiunta di tracce di citrato di litio che - a detta del suo stesso inventore - potevano avere effetti antidepressivi. Ottimo momento: una decina di giorni dopo la Borsa di Wall Street crollò fragorosamente gettando sul lastrico milioni di americani, che in quel momento ebbero probabilmente bisogno di berci su; non potendo più permettersi del buon whisky di marca, si buttarono sulla 7Up. La "Sevenàp" sopravvive ancora oggi, più all'estero che in Italia, e ha vissuto anni di splendore a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta a livello di sponsorizzazioni prestigiose: su tutte quelle di Formula 1, con

e poi con

nel 1991, anno in cui d'altra parte uscì "Lithium" dei Nirvana. Tutto si tiene; e di tanta 7Up ebbero bisogno i tifosi della Fiorentina nella disgraziata stagione 1992-93, quando il marchio ideato sessant'anni prima dal signor Grigg sbarcò finalmente anche sulle maglie delle squadre del “più bel campionato del mondo”.

 

La catastrofe non era nemmeno lontanamente annunciabile, viste le ambizioni estive da parte della famiglia Cecchi Gori, in cui il rampollo Vittorio cercava - un po' annaspando – di camminare da solo e affrancarsi dalla figura ingombrante e autorevole del babbo Mario. Il mercato aveva portato da Foggia il guizzante Ciccio Baiano, ideale complemento in attacco di un Gabriel Batistuta che dopo qualche mese di apprendistato stava iniziando a capire le difese italiane. A centrocampo erano arrivati dal Bayern Monaco per 8 miliardi il danese Brian Laudrup, fresco campione d'Europa con la sua Nazionale, e per 5 miliardi e mezzo il tedesco Stefan Effenberg, pure lui nazionale. In panchina era stato confermato Gigi Radice, che l'anno prima aveva condotto la squadra a una tranquilla salvezza dopo il prematuro esonero del brasiliano Sebastiao Lazaroni, improvvido capriccio di famiglia dopo il Mondiale 1990 a guida di una non memorabile Seleçao.

 

La cosa meno commendevole della stagione 1991-92 era stata sicuramente la seconda maglia, che aveva spiccato per bruttezza come un prete nella neve. Bianca con sottili righine viola, delle tremende losanghe sulle maniche e un enorme scarabocchio a tagliare in diagonale la maglia, una specie di astratto cinturone di spine viola (un cilicio?). Dulcis in fundo, del tutto incongruo

, che dava all'intera composizione un significato Kitsch che non avrebbe sfigurato in un campionato-baraccone stile North American Soccer League anni Settanta. Ma d'altra parte, era quella appena l'alba di un'epoca ultra-avanguardista.

 


La poetica gruccia di legno nella foto è perfettamente coerente con il vestito che regge.


 



Gli anni Novanta sono il decennio dell'ottimismo tecnologico e di una fiducia messianica nei computer, interpellati anche su questioni di competenza spiccatamente umana: per esempio, la fantasia. E dunque perché non liberare la creatività di un calcolatore, magari nel disegno degli arabeschi di un'innocua seconda maglia di una squadra di calcio? La Macchina seguirà canoni a noi sconosciuti e imperscrutabili e chissà – mente superiore qual è - potrebbe persino sfruttare l'occasione per provare a dirci qualcosa. Può succedere di tutto, e di tutto succede.

 

Legioni di designer e creativi hanno ottenuto incautamente carta bianca dopo l'exploit di stile e risultati dell'Olanda campione d'Europa 1988,

, firmata Adidas: resa iconica dalla prodezza all'URSS di Van Basten (con la numero 12!) che ha riempito per settimane riviste e programmi tv, ha indicato una nuova strada, seguita pedissequamente da tutte le marche “che contano”.

 

Dopo qualche anno con casacche firmate dall'ABM, per il terzo anno di fila lo sponsor tecnico della Fiorentina è la Lotto, azienda di Treviso nata nel 1973 che in quegli anni vive il suo momento di massimo splendore, arrivando persino a sponsorizzare il grande Milan campione d'Europa nel 1994. Come abbiamo visto, già l'anno prima si era calato nella nuova avventura fiorentina con una certa personalità; ma rispetto al pastrocchio precedente, fortunatamente accompagnato a una prima maglia più classica di tutto rispetto, le maglie 1992-93 superano almeno di qualche centimetro il fatidico limite della decenza. Certo, una quota di eccentricità è garantita da quegli astratti arabeschi nella parte alta della divisa, perfettamente in linea con le composizioni sempre più ardite che stanno fioccando in tutta Europa e che raggiungono lo zenit nell'indimenticabile

.

 


La maglia indossata dal giocatore più iconico di quella Fiorentina: Gabriel Omar Batistuta, che nell'estate 1993 avrebbe vinto la Coppa America, quello che rimane tuttora l'ultimo trofeo internazionale portato a casa dalla Nazionale argentina.


 

Concepita per essere indossata in trasferta, la seconda maglia debutta in campionato a San Siro

e propizia un buon 2-2 con doppietta di un Batistuta che sta finalmente vivendo i suoi pomeriggi nelle aree di rigore italiane come la faina nel pollaio. Poi arriva

, in un 4-2 in cui l'unica luce è Effenberg, autore di una doppietta. Nonostante il buio pesto in difesa, giunta a undici gol subiti in due partite (tre giorni prima ne avevano presi sette a domicilio dal Milan), l'autunno fiorentino si conferma spensierato: arrivano tante goleade in casa e qualche passo falso in trasferta, come quello del

terza esibizione della bizzarra mise che viene dal futuro. La quarta uscita,

, coincide con un altro pareggio, per 1-1. Notoriamente piazza molto esigente, Firenze si gode con serenità un campionato quasi di vertice: dopo dieci giornate è sesta in classifica a soli due punti dal secondo posto, giocando un calcio piacevole e brillante.

 


Oltre a essere l'ultimo dei due 3-7 della storia della serie A, questo Fiorentina-Milan contribuì non poco alle 48 reti in 9 partite della quinta giornata del campionato 1992-93, tuttora record di marcature in una singola giornata a 18 squadre.


 

A un torneo spettacolare e ricco di gol, dominato dal Milan di un Van Basten ignaro di essere prossimo al canto del cigno, si oppone un Paese che non si capisce e non si ritrova neanche davanti allo specchio. L'inquietudine seminata dalle stragi mafiose di via Capaci e via D'Amelio, la crisi economica e il collasso del vecchio sistema politico sta portando alla riemersione dei soliti liquami nostalgici. Gli stadi italiani riscoprono un razzismo cieco e stupido, costellato di piccoli episodi di odio quotidiano: tornano di gran moda gli ululati scimmieschi, ne sono vittime Gullit, Rijkaard, Asprilla, Aldair, Walker della Sampdoria, Roy del Foggia. Dagli spalti del San Paolo vengono lanciati oggetti (

) sul difensore brasiliano della Juventus Julio Cesar che sta uscendo in barella con la tibia fratturata. Proprio a Firenze i romanisti sventolano bandiere con la croce celtica e la Fiesole risponde: "Come gli ebrei, voi siete come gli ebrei".

 

All'Olimpico, durante Lazio-Torino, il 33enne neo-fascista Andrea Insabato brucia in piena Curva Nord una bandiera con la Stella di David, urlando “Ebrei ai forni”: viene arrestato e condannato a diciotto mesi. Insabato tornerà agli onori delle cronache nel 2000, a pochi giorni da Natale, con una prodezza al contrario degna di una canzone di De André. Nel tentativo di far scoppiare una bomba sul pianerottolo della sede romana del Manifesto, si farà saltare in aria da solo: gli salveranno la vita i giornalisti stessi, attirati dal rumore, trovandolo in stato di choc in un lago di sangue. Per via di quella tentazione da bombarolo rimarrà in stampelle per tutta la vita.

 

In questo clima di smisurata sensibilità in cui il nervosismo offusca la vista e confonde il raziocinio, qualcuno sembra vedere qualcosa di strano. Negli ultimi giorni di novembre un lettore dell'Unità telefona in redazione e rivela di avere scoperto un dettaglio indicibile: quegli strani incroci di linee nella parte alta della seconda maglia della Fiorentina, non somigliano forse a delle svastiche?

 

Dall'articolo di Susanna Cressati, "Quelle svastiche in area di rigore", sormontato da una foto del centrocampista Fabrizio Di Mauro con croce cerchiata e ingrandita: "Dopo una corsa al più vicino negozio sportivo, la maglietta acquistata, setosa e lucida, è ben distesa sul tavolo della redazione accanto a decine di foto dei giocatori viola che la indossano. [...] Sul petto, sulle spalle, lungo le maniche un disegno nero a linea continua spicca sul tradizionale fondo viola e a intervalli regolari si intreccia a formare inequivocabilmente la croce uncinata. Ora che qualcuno ce l'ha detto si vedono sì, quei maledetti simboli".

 



 



Si fa prestissimo a scivolare nel grottesco, fedele compagno della storia italiana dal dopoguerra in poi. Continua l'articolo: “È probabile, visto le tecniche attuali di lavorazione dei tessuti, che il disegno sia venuto fuori da un programma computerizzato o dalla sovrapposizione di elementi decorativi modulari non pensati unitariamente”. Viene interpellato un docente universitario di comunicazione di massa: “La nostra capacità di vedere è un riflesso condizionato da tanti fattori. Un fatto anche emotivo e culturale. I simboli conservano nei secoli la propria potenza evocatrice, sia che vengano esposti volontariamente sugli spalti di uno stadio, sia che affiorino casualmente da un gioco grafico. Può darsi che, senza il riemergere dei rigurgiti nazisti, nessuno avrebbe notato quei simboli”.

 

Chi ora guarda con l'occhio della malizia vede due, tre, dieci svastiche, sul petto, sulle spalle, sui gomiti, sulle maniche. O che scherzo è questo, perpetrato ai danni di una delle città più nobili al mondo, decorata con la Medaglia d'Oro al valor militare per la Resistenza? Oltretutto quelle svastiche sembrano pure inclinate di 45 gradi verso destra, proprio come da simbologia nazista, che pare si fosse ispirata all'ariosofia e le avesse mutuate dalle filosofie orientali, iscrivendole in un cerchio bianco. Nella loro versione “diritta”, sarebbero forse accettabili: dopotutto la svastica è un simbolo largamente utilizzato da tante religioni, per i Buddhisti la 卐 indica l'infinito, per gli induisti il Sole, è segno benaugurante di prosperità

. Se ne trovano parecchie anche in Italia: a Pompei, a Paestum, nella valle dei Templi, in tante catacombe romane, nel Duomo di Reggio Calabria come motivo ornamentale e anche a Milano, nella Basilica di Sant'Ambrogio,

, contorta e misteriosa opera paleo-cristiana realizzata intorno all'anno 385.

 

Non è tutto: nel 2008 l'architetto Giovanni Malanima scoprirà che ci sono delle svastiche persino allo stadio Artemio Franchi, progettato da Pier Luigi Nervi, inaugurato nel 1931 in pieno fascismo e allora intitolato a Giovanni Berta, camicia nera rimasta uccisa dieci anni prima da alcuni militanti comunisti. Più precisamente, sono scolpite in ferro battuto nelle decorazioni delle cancellate d'ingresso alla tribuna d'onore, quaranta svastiche per ognuno dei cinque cancelli, per un totale di duecento. Malanima ci scriverà un libro, appunto intitolato

.

 

La circostanza è ancora più delicata perché proprio a pochi metri dallo stadio di Firenze ebbe luogo uno degli episodi più tragici della Resistenza fiorentina. Il 22 marzo 1944, nei pressi della Torre Maratona, i repubblichini fucilarono cinque ragazzi di 21 anni renitenti alla leva per la Repubblica di Salò e sospettati di appartenere alle bande partigiane: a loro è consacrata una cappella all'interno dello stadio. I Martiri del Campo di Marte erano conosciuti e rispettati in tutta la città anche dai loro cosiddetti oppositori politici, tanto che neanche i giovanissimi soldati del plotone di esecuzione avevano avuto il cuore di prendere la mira. Alcuni di loro erano rimasti vivi dopo le scariche di fucile; un torturatore fascista, dal nome tragicamente ironico di Mario Carità, si occupò di finirli con un colpo alla testa.

 


Nel sacrario dello stadio Artemio Franchi si trova la lapide commemorativa dei cinque Martiri del Campo di Marte: Leandro Corona, Ottorino Quiti, Antonio Raddi, Adriano Santoni e Guido Targetti.


 

Cosa dunque ha voluto dirci il potentissimo computer in dotazione a chissà quale ufficio della Lotto? Nel primo episodio del Decalogo (1988) del regista polacco Krzysztof Kieslowski, un padre fermamente convinto della supremazia delle macchine sull'uomo calcola al computer l'esatto spessore del ghiaccio del lago vicino casa, su cui suo figlio vuole andare a pattinare, e lo ritiene sicuro; ma il ghiaccio si rompe, e il bambino annega. Quanto può essere potente l'intelligenza artificiale di una macchina, e che uso essa può farne? Può diventare maligna?

 

Nell'attesa di prendere una decisione, la Fiorentina indossa per la quarta volta in campionato la tenuta dello scandalo, rimediando una sonora sconfitta per 4-1 a Napoli. Interpellato a fine partita, il direttore sportivo Maurizio Casasco risponde infastidito: "Non vale la pena commentare certe provocazioni, non abbiamo nulla da dire. Non ci presteremo al gioco". Ma il dado è tratto e tutti i soggetti in ballo, ansiosi di dimostrare la propria buona fede, agiscono velocemente. Il 1° dicembre la Lotto, dopo aver ribadito il carattere "assolutamente fortuito e casuale dell'effetto ottico", decide di ritirare la maglia incriminata. Il giorno dopo Gigi Radice firma un fondo sulla prima pagina dell'Unità, intitolato “E ora via le svastiche dagli stadi”, in cui si dichiara entusiasta della reattività del mondo del calcio su una questione così delicata. "Sono nel mondo del calcio da quasi mezzo secolo e quando, durante Fiorentina-Roma, ho visto sventolare la bandiera con la croce celtica e dei giovani che facevano il saluto fascista sono tornato indietro nel tempo. Quei giovani non sanno niente delle sofferenze patite dagli italiani in quegli anni terribili e dolorosi. Sono rimasto turbato. Mi ha confortato la rapidità con cui la Fiorentina e la Lotto hanno deciso di levare di circolazione quelle magliette”.

 

La pressione sanguigna del Paese non ha nulla di anormale e i riflessi sono a posto: il polverone è durato meno di una settimana, l'onore è salvo. La Lotto rimedia con una

, tutta bianca, indossata per la prima volta a Foggia e poi a Genova, Ancona e così via. Forse per l'ennesimo scherzo giocato da un computer burlone, lo stesso disegno - opportunamente ritoccato - comparirà anni dopo

, la cui suscettibilità la Lotto farà particolare attenzione a non urtare.

 



Ma il buonsenso e la correttezza formale di quei giorni non salvano la Fiorentina da un tonfo fragoroso. Fiaccato da una crisetta invernale che tuttavia mantiene la Viola tranquillamente al sesto posto, Radice è esonerato in diretta televisiva dallo scalpitante Vittorio contro il volere di tutto lo spogliatoio. Viene assunto Aldo Agroppi, non proprio un alfiere del politicamente corretto. Se ne dicono di ogni: che Cecchi Gori sia geloso del feeling tra Radice e suo padre Mario, o addirittura di un'amicizia sospetta tra la sua compagna Rita Rusic e il figlio di Radice, calciatore del Monza.

 

La stagione procede ripidamente su un piano inclinato cui non sono estranei neanche gli stessi tifosi, che rendono ulteriormente “antipatica” la città contestando il presidente federale Matarrese e fischiando sonoramente l'inno nazionale in un'amichevole Italia-Messico, circostanza che desta grande scandalo su tv e giornali. La Seven-Up assume il sapore fatale di un infuso a base di cicuta. La Fiorentina retrocede malamente a dieci minuti dalla fine dell'ultima giornata, un pomeriggio balordo fatto di tanti gol (6-2) al Foggia di Zeman e di altrettanti moccoli alla radiolina a causa di uno strano pareggio tra Roma e Udinese e di un gol del Genoa che, per gli incroci della classifica avulsa, si salva condannando la Fiorentina alla serie B per la prima volta dopo 54 anni di ininterrotta militanza in serie A.

 


Il momento di svolta della sciagurata stagione della Fiorentina. Vittorio Cecchi Gori anticipa l'esonero di Radice dopo la sconfitta interna contro l'Atalanta, lanciandosi in spericolate disamine tattiche: “Non è possibile perdere una partita con un'azione, creando tante azioni da rete su un'unica azione da gol, incaponendosi su un fantomatico e mal eseguito... eeehhhh... difesa a zona”.


 

Lasciata libera di creare, la Macchina aveva forse mandato un messaggio di morte, presagio delle conseguenze funeste che abbiamo appena elencato? O invece la sua intenzione era quella di mandare un avviso, naturalmente affatto recepito da noi umile specie inferiore?

 

“Contact” (1985), romanzo di fantascienza di Carl Sagan da cui Robert Zemeckis trarrà un gran bel film, racconta come talvolta gli alieni tentino di aprire un dialogo con i terrestri utilizzando messaggi e personaggi (purtroppo) universali: nella circostanza, un frammento del discorso di inaugurazione delle Olimpiadi di Berlino 1936 da parte di Adolf Hitler, con tanto di svastiche in bella mostra. E se nel 1992 la fantascienza fosse diventata realtà? E se gli alieni avessero identificato in Batistuta e Vittorio Cecchi Gori gli unici depositari della loro saggezza? D’altra parte, già in passato gli UFO si erano fatti un giro dalle parti di Firenze. Il 27 ottobre 1954, durante il secondo tempo dell’amichevole Fiorentina-Pistoiese, alcuni oggetti “a forma di ali di gabbiano” avevano iniziato a volteggiare sul campo, mentre tante altre segnalazioni di avvistamento stavano intasando i centralini del Comune. Dei “filamenti di vetro” iniziarono a cadere sul prato del Comunale: una sostanza misteriosa che scompariva a contatto con la pelle, simile a fili di seta. Il giorno dopo, La Nazione raccontò così la gimcana degli oggetti volanti non identificati: “I due oggetti rotondi e lucenti, di colore grigio metallico, si muovevano a elevata velocità e procedevano in linea retta da Sud a Nord. A un certo punto il primo oggetto si fermò, pur continuando il proprio moto rotatorio, l’altro proseguì il suo cammino diminuendo la distanza che li separava; giunto perpendicolarmente sulla Torre di Maratona si arrestò mentre il primo riprese la sua corsa procedendo però a scatti zig-zagando. A un tratto però invertirono repentinamente la direzione e ripassarono sulle teste degli spettatori, riattraversando lo stadio in tutta la sua lunghezza e scomparvero verso Sud procedendo ad una velocità superiore a quella di qualunque aereo conosciuto“.

 

Forse, questa bizzarra storia di maglie strane, bevande gassate, imprevedibili psicosi e impazzimenti è da collegarsi a quella dell'amichevole con la Pistoiese. Forse quelle svastiche erano un modo con cui gli alieni hanno cercato di dirci qualcosa, scegliendo sempre Firenze come megafono per il loro messaggio (forse perché culla del Rinascimento e quindi della civiltà occidentale). Ad ogni modo, sarebbe un modo tanto razionale quanto qualsiasi altro per spiegare come delle svastiche siano finite sulla maglia della Fiorentina in quella tremenda stagione 1992-93.

 

 

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