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Marco D'Ottavi
Questo era il mio sogno, intervista a Giulio Maggiore
02 nov 2021
02 nov 2021
Abbiamo parlato con il capitano dello Spezia, il più giovane della Serie A.
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Marco D'Ottavi
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Giuseppe Maffia/NurPhoto via Getty Images
(foto) Giuseppe Maffia/NurPhoto via Getty Images
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Giulio Maggiore è uno dei «ragazzi della città», come mi dice lui mentre parliamo al telefono. Gli avevo chiesto cosa significasse rapportarsi con i tifosi nel suo caso - il caso di uno spezzino cresciuto nello Spezia e che porta la fascia da capitano dello Spezia - dato che le storie dei calciatori profeti in patria non sono sempre luminose. «A volte essere un ragazzo della città non è facile» mi risponde «ma io so di essere amato veramente tanto dalla mia gente. L'avverto questa cosa e mi dà una carica...». Per tutta l’intervista Maggiore oscillerà tra la gioia viva e un po’ irrazionale del tifoso in campo e la fermezza del capitano navigato. Eppure non c’è nessuna contraddizione tra le due anime, anche se le cose potevano andare diversamente. A 13 anni era stato il Milan a volerlo, in uno di quei passaggi che creano un calciatore. Il partire, il crescere all’improvviso, l’affermarsi lontano da casa, sono tutti temi classici nella formazione del talento. Maggiore, però, non si sente a suo agio e sceglie di ritornare a casa, a La Spezia, e poi allo Spezia, che non si fa scappare l'occasione. «Quando sono tornato a casa molti mi dicevano che avevo perso un treno, che era molto importante stare lì. Io però rispondevo che loro non sapevano come stavo lì, che era un mio problema, un mio limite». Non fosse così giovane, verrebbe da scomodare quelle storie un po' retoriche da marinaio, quell’epica del mare per cui alcune persone riescono a essere se stesse solo se possono respirare la salsedine, essere vicini all’acqua. Per Maggiore però è banalmente una questione di scelte: non ha interrotto un percorso rinunciando al Milan, ha solo preso un'altra strada. Lo stesso farà qualche anno dopo, quando declinerà la convocazione al Mondiale U20 per sostenere la maturità scientifica, una decisione controintuitiva che - anche quella - gli ha attirato delle critiche. In quell’edizione l’Italia arrivò terza mettendo in mostra alcuni dei suoi migliori giovani (c’erano Barella, Dimarco, Pessina, Orsolini). Gli chiedo se oggi farebbe delle scelte diverse, scelte che magari avrebbero reso più semplice la sua carriera. Mi risponde che no, rifarebbe tutto allo stesso modo: «Ho portato avanti quello in cui credo, quello che mi ha insegnato la mia famiglia, e quindi sono due scelte che rifarei. A vedere come sono andate alla fine le cose, credo siano state scelte giuste. Ma in quel momento non ho mai pensato a dire, chissà… se avessi agito diversamente. Sono scelte che ho fatto perché mi facevano stare bene».Se a Milano «il calcio era passato in secondo piano», a La Spezia torna prepotentemente in primo piano. In Primavera Maggiore brilla come uno dei talenti più interessanti della categoria: nella semifinale del Torneo di Viareggio 2016 contro la Juventus, giocata al Picco, lo stadio dello Spezia, segna il gol del pareggio nei minuti finali con un colpo di tacco al volo. Una rete che non basta - passeranno i bianconeri ai rigori - ma che gli fa conoscere la gioia dell’esultanza dei tifosi che ti abbraccia, virtualmente e fisicamente. Maggiore frequentava la curva da bambino e, ovviamente, sognava di stare dall’altra parte «Quando da piccolo andavo in curva al Picco questo era il mio sogno: giocare nello Spezia, essere il capitano dello Spezia». https://youtu.be/2uzdDGL9P-4?t=320 Per realizzarlo ci mette meno del previsto: l’anno successivo - appena maggiorenne - Di Carlo lo lancia tra i titolari in prima squadra in Serie B. Un posto in mezzo al campo con la maglia dello Spezia che non ha mai abbandonato, ma che anzi ha coltivato come un albero da frutta. 163 presenze dopo Maggiore è, insieme a Simone Bastoni, il simbolo di una squadra che prova a creare il talento in casa. La scorsa stagione ha anche ereditato la fascia da Claudio Terzi, accettando la responsabilità con la naturalezza del predestinato.

LiveMedia/Danilo Vigo / IPA

Con un fisico magro e slanciato, la fascia da capitano sembra stargli larga al braccio, come se dovesse crescerci dentro. È normale: a 23 anni è il capitano più giovane della Serie A, nella squadra più giovane del campionato per distacco (l’età media della rosa è 23,8 anni, quasi 1 anno in meno della seconda più giovane, l’Empoli). Gli chiedo se non preferirebbe, forse, una posizione più serena, essere solo uncentrocampista. Ma Maggiore non sembra porsi il problema, tutto scorre naturale se sei pronto ad accettarlo: «Penso di aver fatto un percorso in questi anni che mi ha portato ad arrivare a questo momento abbastanza maturo e responsabile».Gli faccio notare che, nonostante sia così giovane, nella rosa dello Spezia ci sono una decina di giocatori più giovani di lui. Gli chiedo se riesce a sentirsi un leader anche fuori dal campo - senza sprizzare il carisma di un veterano, in campo Maggiore parla molto, fa sentire la sua personalità anche con arbitri e avversari. «Preferisco dare consigli a tu per tu. Non sono di certo un ragazzo - userà spesso questa parola per descriversi - che alza la voce; sono abbastanza pacato, però mi piace dare consigli». Poi, forse intuendo la possibilità dell'incongruenza di queste parole dette da un calciatore così giovane, ci tiene a specificare «Non ho un'esperienza enorme, ma nel mio piccolo provo a essere un leader. Certo la fascia ti spinge a farlo, ma lo faccio nel mio modo».C’è un aspetto che mi pare di riconoscere subito nelle parole di Maggiore lungo tutta l’intervista ed è la consapevolezza, quasi un istinto verso il ruolo di calciatore, che nel suo caso non si riduce solo a una professione ma si estende anche a un'intera squadra e forse anche alla sua comunità. Curiosamente è una parola che tornerà nella nostra conversazione anche quando parleremo di come sta in campo. Nella finale di andata dei playoff di Serie B, che poi sanciranno la promozione dello Spezia, Maggiore riceve un pallone in verticale nel mezzo spazio di sinistra. È con le spalle rivolte alla porta ma non ha pressione; potrebbe controllare e girarsi per rendere pericolosa l’azione, invece con un tocco di prima di punta esterna allunga il pallone per il taglio di Gyasi da sinistra verso il centro facendolo ricevere perfettamente sulla corsa. L’attaccante dello Spezia poi è bravo a resistere alla pressione dell’avversario e battere il portiere sul primo palo.

Gli chiedo come gli è venuto in mente di giocare quel pallone così, visto che mi ha appena detto che crede che la sua qualità migliore sia quella di «vedere alcune giocate un po' prima».«È istinto» mi risponde «lo capisci da come sono posizionati gli avversari. Contro il Frosinone c'è stato un piccolissimo errore della difesa e in quel momento mi è venuta l’intuizione di provare quella palla d’esterno». Ho rivisto anche dopo l’intervista il suo assist, eppure non ho capito di quale errore parlasse, ma forse è questa la differenza tra chi scrive e chi gioca; anche se Maggiore mi ha detto che è iscritto a Scienze della Comunicazione e che fare il giornalista, dopo, è una possibilità che lo interessa. La descrive come una giocata «importante, importantissima», e non può essere altrimenti: per lo Spezia è valsa la promozione in Serie A, la prima nella sua lunga storia. I protagonisti di quella squadra abbiamo imparato a conoscerli meglio nei mesi successivi. Oltre a Maggiore c’erano N’Zola, Gyasi, Bastoni, Erlic e soprattutto Vincenzo Italiano. Con un’identità tattica precisa e un calcio intenso e ambizioso, il suo Spezia ha sorpreso tutti al primo anno di A. Rimanere fedeli a un’idea così coraggiosa con una squadra neopromossa e una rosa giovane e inesperta poteva sembrare un rischio troppo grande, soprattutto nel nostro calcio dove difesa equivale a salvezza. «Era un'incognita un po' per tutti, anche per il mister. Anche per lui era la prima volta in Serie A, come per quasi tutta la rosa. Però avevamo fiducia nelle sue idee, ce l’aveva trasmesse in pochissimo tempo e ci sentivamo pronti. In quella stagione siamo riusciti, applicando quel calcio intenso e diretto che voleva lui, a giocare delle grandissime partite, arrivando a centrare quello che era il nostro obiettivo». Quando parla del suo arrivo in Serie A Maggiore è esaltato, si percepisce quanto lavoro e quanta soddisfazione c’è stata nel fare un tuffo in un mare così profondo e poi accorgersi che si era in grado di nuotare: «Abbiamo giocato un ottimo calcio, credo, anzi... alcune volte ci siamo trovati meglio contro le grandi squadre che contro le piccole. È stata la nostra forza: portare avanti un modo di giocare preciso, senza mai avere paura». Forse la partita simbolo della gestione Vincenzo Italiano è stato il successo per 2-0 contro il Milan in quel momento capolista. In quella vittoria i gol erano arrivati da due “ragazzi della città”, Maggiore e Bastoni. Per il centrocampista dello Spezia era stata la prima rete in Serie A, un evento forse inaspettato in quella fredda sera di febbraio se si guarda la sua goffa esultanza, rotolando vicino la bandierina. Quando gli chiedo di quel momento, a passare in primo piano è la squadra e la prestazione: «Contro il Milan abbiamo messo qualcosa in campo di incredibile (ci pensa qualche secondo prima di usare la parola incredibile, nda). Dall’approccio, ai gesti tecnici, all’intensità, tutto quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto nel migliore dei modi». Poi, come se avesse ancora in testa le azioni di quella partita, mi ricorda che il Milan «non è riuscito neanche a tirare in porta», merito - secondo lui - dell’intensità altissima tenuta nel pressing (invece, ad esempio, non sembrava ricordare che nell’intervista a fine primo tempo aveva detto che che la squadra avrebbe dovuto essere “più cattiva”). https://youtu.be/1PlCJ7QUnR0 Quel gol è arrivato al termine di una transizione perfetta dello Spezia, finalizzata da Maggiore, magari con un po’ di fortuna, ma anche con la capacità di inserirsi nel cuore dell’area di rigore con i tempi giusti. Con Italiano, Maggiore veniva schierato come mezzala sinistra con il compito di dare una tensione quasi verticale e risolutiva al gioco dello Spezia (pur essendo uno dei calciatori con meno passaggi per 90’ della squadra, era secondo solo a Farias per passaggi chiave). Lui stesso - in un’intervista rilasciata in quei giorni - aveva detto di ritenere quello il suo ruolo ideale, perché gli permetteva di dare un’interpretazione più offensiva alle partite. Con l’arrivo di Thiago Motta, invece, Maggiore sta giocando nei due mediani davanti alla difesa. Le differenze tra il gioco di Italiano e quelle del nuovo allenatore sono evidenti e Maggiore è uno di quelli che ha dovuto cambiare compiti di più. Gli chiedo quanto è stato difficile: «Sono un ragazzo che riesce ad adattarsi. In questo momento, anche a causa degli infortuni, c’è la necessità di giocare nella mediana a due, quindi ci gioco. Penso di avere le caratteristiche per fare anche quel ruolo: certo devo migliorare un po' nel palleggio, però a livello difensivo e di letture, so di avere quello che serve per fare bene». Contro la Juventus - in una sconfitta sfortunata in cui per larghi tratti lo Spezia ha messo in difficoltà i bianconeri - Motta l’ha schierato come trequartista nei tre dietro la punta. Maggiore ha servito l’assist per il secondo gol di Antiste, lanciando un pallone nello spazio dietro la difesa con uno strano colpo di mezzo collo, mezzo esterno. «Se vado a pensare a quello che mi piace di più, ti dico la mezzala sinistra o il trequartista. In un centrocampo a 3 - io ragiono sempre in un centrocampo a 3, ma può essere anche un centrocampo a 2 con uno davanti - è quello che mi piace fare di più, ma soltanto per il fatto che mi dà più libertà negli ultimi 30 metri». Maggiore non nasconde una volontà di essere presente nel momento in cui la sua squadra deve creare occasioni. Spesso mi ripeterà quanto è importante per lui «rischiare la giocata», cercare di risolvere il rebus che è una partita di Serie A. https://youtu.be/mqDBJULqv1I?t=126

Forse la giocata più bella di Maggiore dalla scorsa stagione. Quando gli chiedo come l’ha pensata, mi dice che «tante volte quello stop lo sbagli, ma provarlo ti permette di fare la giocata decisiva per fregare l’avversario».

Vedendolo giocare si nota come sia uno di quei centrocampisti molto diretti, verticali non solo per quanto riguarda il palleggio, ma anche nella ricerca dell’ultimo passaggio o del tiro. È, come si dice, uno di quei centrocampisti che “vede la porta”. Lo fa anche in maniera piuttosto estrema certe volte: in questa stagione, ad esempio, ha già tirato due volte da centrocampo. Eppure il numero dei gol in carriera è ancora "normale" per il tipo di centrocampista che vuole essere, uno che cita Marchisio e Gerrard tra i suoi punti di riferimento (l’anno scorso è stata la sua miglior stagione realizzativa, 5 gol tra campionato e Coppa Italia).Maggiore ne è consapevole, mi ripete chiaramente, in più momenti, che la conclusione, o comunque in generale «l’atteggiamento negli ultimi 20 metri» è la cosa che più deve migliorare. A vedere i suoi tiri si nota un po’ di foga, come se avesse paura che il pallone potesse sparirgli da sotto gli occhi all’improvviso. Mi dice che ci sta lavorando perché «un centrocampista che riesce a segnare con regolarità diventa un centrocampista importante. Quello è uno step che voglio fare, perché ce l'ho già un po' nelle mie corde, devo cercare di approfittare di questo istinto».Magari è proprio questo l'ultimo scalino da superare per arrivare in Nazionale? Maggiore è stato piuttosto presente nelle rappresentative giovanili, ma il passo per vestire la maglia azzurra più importante non è facile. Se l’Italia è storicamente un popolo di difensori, stiamo vivendo il rinascimento dei centrocampisti. Oltre a Verratti, Jorginho e Barella c’è una classe che scalpita: Pellegrini, Locatelli, Pessina, Tonali e Rovella solo per citare i più pronti. «Guarda l'Europeo che abbiamo fatto e mancavano anche degli infortunati, senza contare quelli rimasti a casa» mi dice quando gli chiedo se sente la competizione per l’azzurro «c'è veramente un alto numero di centrocampisti italiani di qualità e quindi, per forza, la concorrenza è di alto livello, ma adesso non la vivo come un problema. Rimane un sogno, e piano piano vediamo dove posso arrivare». La soluzione per Maggiore è «fare esperienza giocando. Oggi mi confronto con giocatori veramente forti, questo mi permette di migliorare e, se miglioro, la Nazionale diventa un obiettivo». Tra i giocatori “forti”, che sono quasi tutti immagino, gli chiedo chi l’ha impressionato di più. Maggiore prova allora a spiegarmi cosa vuol dire affrontare Milinkovic-Savic, contro cui deve aver passato momenti difficili, visto che l’aggettivo che ricorre più spesso è «dominante», allungando la o, come se volesse farmi capire quanto è grosso. L’altro nome che mi fa è quello di Theo Hernandez, un altro giocatore che se vuole può spostare le montagne. È forse più facile farsi impressionare da questo tipo di giocatori, ma la scelta di citare loro e non qualche talento più cerebrale e compassato forse fa capire che tipo di giocatore è - e che vuole essere - Maggiore. A questo punto la conversazione si sposta su Thiago Motta, su cosa vuol dire essere allenato da uno che è stato così forte nel tuo ruolo. Maggiore non ha mai negato una simpatia per l’Inter e mi dice che la prima cosa a cui ha pensato appena saputo che sarebbe stato il suo nuovo allenatore, è il Triplete, «me lo ricordo bene, ero già abbastanza grande: avevo 12 anni». Gli chiedo se, da centrocampista a centrocampista, Motta gli dia consigli particolari: «Ci spiega le sue idee, in base all’avversario ci prepara in un modo oppure in un altro. Per me non c’è bisogno di nulla di particolare: da uno che è stato centrocampista come lui, tutte le cose che dice sono da prendere e portarsi dentro».La stagione per lo Spezia è iniziata lentamente, tra problemi di Covid in estate, un mercato massiccio (anche a causa della sanzione della FIFA che partirà dalla prossima sessione) e qualche infortunio di troppo. Motta fatica a togliersi di dosso una patina ingenerosa da filosofo - forse per colpa di una provocazione ricevuta male in cui teorizzava un 2-7-2 (che invece era solo un modo diverso di leggere un modulo, partendo dalla fascia destra arrivando alla sinistra). Gli chiedo se anche i giocatori sentono questa sfiducia, se ha una posizione in questa battaglia quasi spirituale tra provare a giocare e provare a vincere: «A oggi abbiamo fatto molte belle partite, contro Juventus e Milan abbiamo tenuto testa anche se poi non è andata bene. Il bel gioco porta risultati se è messo insieme all'atteggiamento e allo spirito di squadra. Non esiste uno senza l’altro: non basta il bel gioco se poi uno va in campo mollo, senza motivazioni».Mentre parliamo, lo Spezia sta preparando la partita contro la Fiorentina, una partita poi persa nettamente per 3 a 0, nonostante una particolare motivazione extra per tutta la città, ovvero Vincenzo Italiano come avversario. «Quando penso a Mister Italiano, penso ai due anni in cui è stato qui. Grazie a lui e grazie ai miei compagni abbiamo raggiunto quello che era uno dei miei sogni». Ovviamente Maggiore non può ignorare quello che l’allenatore ha fatto per lui e per la squadra, quanto sia stato importante per la sua crescita. Non riesce, però, a non mettersi nei panni dei tifosi: «E normale che poi noi ragazzi, soprattutto i tifosi, per la storia di questa estate abbiamo provato un po' di delusione e rammarico per come è finita». Italiano aveva rinnovato il contratto a inizio giugno, salvo poi rescindere alla fine del mese per diventare l’allenatore della Fiorentina; «sappiamo tutti come ragionano i tifosi ed è normale che dopo un rinnovo di contratto insomma non si aspettavano questa scelta, però ci mancherebbe: ognuno fa le scelte che ritiene giuste».Scelte personali insomma, le stesse che hanno portato Maggiore a questo punto, a essere il capitano della squadra in cui è cresciuto. A 23 anni ha abbracciato le responsabilità con una tranquillità invidiabile, ma potrebbe non essere finita qui. Per diventare la miglior versione possibile di se stesso come calciatore, quella a cui Maggiore sembra aspirare in maniera decisa, altre scelte potrebbero arrivare in un prossimo futuro. Potrebbero essere scelte dolorose, ma intanto è giusto pensare a godersi il momento. Come mi dice lui, essere un "ragazzo della città" è «una pressione bella, che ti da grande responsabilità. Ti dà la carica per portati i compagni sulle spalle, fargli capire cosa desidera la gente di Spezia, cosa vuole la città. Sono responsabilità che mi fanno crescere sotto tutti i punti di vista».

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