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Madrid piena di rimpianti
09 mar 2016
09 mar 2016
La Roma gioca bene ma non rientra mai in corsa per la qualificazione.
(articolo)
11 min
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Dagli ottavi in poi la Champions League va interpretata sui 180 minuti: per quanto il ritorno sia teoricamente decisivo, mantiene una narrativa inscindibile da quanto accaduto nella gara di andata. Se scrivo quest’ovvietà è per dire che non ha senso raccontare la partita di ieri senza legarla a quanto successo a 5 minuti dalla fine di quella giocata due settimane fa allo stadio Olimpico, quando Jesé ha segnato il gol dello 0-2 in favore dei “Merengues”.

Se la Roma non avesse subito quel gol il piano gara di Spalletti, per il ritorno al Bernabéu, sarebbe stato aperto a diverse opzioni. E invece la rete di Jesé ha costretto la Roma a provare a segnare quanto meno un gol, solo per cominciare ad avere un minimo di speranza di passaggio del turno. Un concetto ribadito da Spalletti nella conferenza pre-partita: «Noi dobbiamo pensare a fare un gol, poi dentro la testa si ribalta la partita... Con un gol cambia tutto».

A viso aperto

La strategia della Roma era chiara: imporre un ritmo alto e provare a segnare subito, facendo a quel punto leva sull’ostilità ambientale del Bernabéu nei confronti del Real, girando dalla propria parte l’equilibrio psicologico della gara.

Le assenze di Nainggolan e Rüdiger non hanno inciso sulla strategia di gara, che sarebbe stata la stessa anche con loro in campo. La strategia, però, ha spinto Spalletti ha schierare dal primo minuto tutte le opzioni offensive a disposizione. E cioè il tridente con El Shaarawy a sinistra, Perotti al centro, Salah a destra, solo arretrati di una decina di metri rispetto alle ultime partite, per fare spazio a Edin Dzeko. Il centro del campo è stato affidato a Keita e Pjanic per aiutare la transizione offensiva e portare rapidamente il pallone agli attaccanti.

La Roma ha giocato con l’idea di punire il principale difetto organizzativo del Real Madrid: le transizioni difensive. Il che significa giocare con una squadra corta, brava a verticalizzare subito su dei bersagli precisi: Salah e Dzeko. L’egiziano doveva ricevere sui piedi e puntare lo spazio lasciato libero da Marcelo (costantemente proiettato in avanti), facendo fruttare il vantaggio in termini di velocità anche sulla copertura del centrale di sinistra; Dzeko invece doveva ricevere alle spalle di Kroos e Modric (che hanno la tendenza a finire sopra la linea della palla quando in attacco) per poi appoggiarsi subito al compagno più vicino e lanciare il contropiede.

Si spiega così anche la posizione di Pjanic più arretrata: il bosniaco è un giocatore che ama la verticalizzazione veloce più di quanto si dica e ha la sensibilità nei passaggi per far arrivare presto il pallone alle punte.

Il piano della Roma è stato coerente con le necessità dettate dal risultato, ma forse fin troppo prevedibile. Zidane sembra aver letto in anticipo le mosse tattiche di Spalletti e ha impostato un piano gara che non comportava grandi cambiamenti rispetto a come è solitamente schierato il suo Real. Dalla sconfitta nel derby madrileno in poi, Zizou ha deciso di abbandonare l’idea di calcio di possesso puro, scegliendo uno stile più pragmatico che ha in Casemiro, tornato titolare, il suo simbolo. L’inserimento del brasiliano somiglia a un tentativo alchemico di trovare equilibrio alla propria formula: se ho due giocatori associativi meglio inserire un giocatore in grado di distruggere il gioco avversario per bilanciare la squadra.

La difficoltà nell’uscita del pallone quando si ha un giocatore che non parla la stessa lingua calcistica dei compagni in una foto in cui Ramos salta completamente Casemiro per far arrivare il pallone a Modric spalle alla porta costretto quindi a trovare indietro e rendere poco fluida l’impostazione.

La presenza di Casemiro ha permesso sia di contrastare le verticalizzazioni su Dzeko (che ha sempre trovato il brasiliano in contrasto nelle sue zone di ricezione) che di portare Kroos e Modric in pressione molto più avanti rispetto al solito, togliendo così respiro al quarterback Pjanic, privato spesso della linea di passaggio libera in verticale. Avanzato di qualche metro, Kroos poteva anche essere più determinante in fase di rifinitura, sgravato da compiti di costruzione bassa. Questo ha reso la manovra decisamente meno fluida, proprio per la presenza di Casemiro alla base dell’azione, ma ha moltiplicato il numero di palloni puliti per i piedi di Cristiano Ronaldo nell’inedito (quest'anno) ruolo di punta centrale.

Il Real Madrid ha spezzato il proprio centrocampo: Kroos e Modric sopra la linea della palla, Casemiro a tutto campo alle loro spalle. Zidane ha accettato il gioco di transizioni della Roma, perché ha accettato l’idea di una partita giocata con ritmi alti e ampi spazi, forte della maggiore qualità individuale dei suoi interpreti, e della loro capacità di far arrivare presto, e con continuità, il pallone nell’area avversaria.

Nei primi minuti della partita nessuna delle due squadre ha cercato di imbastire una trama con calma e precisione, ossessionate dal tentativo di arrivare nei dintorni della porta avversaria il prima possibile. Questo ritmo era quello che voleva Spalletti per portare la gara verso la propria direzione, accettando, quindi, anche che Salah non tornasse sempre su Marcelo, pur di averlo prontissimo per la ripartenza alle sue spalle.

Qui Marcelo lascia il pallone per Bale per chiamare la copertura di Manolas ed infilarsi nello spazio e concludere lui in porta. Il tiro però finisce largo.

Finalmente, dopo poco meno di un quarto d'ora, il lavoro di preparazione di Spalletti arriva a compimento: una palla recuperata da Manolas (su un inserimento altissimo di Kroos), passata per i piedi di Florenzi e Pjanic, e dopo un triangolo tra Salah e Perotti, è tornata sui piedi di Salah lanciato verso l'area avversaria. L’egiziano in corsa è stato bravo e fortunato a saltare Ramos, poi bravo e basta a saltare Modric, a inchiodare al limiti dell'area (quando Bale lo stava recuperando) e a giocare in orizzontale per Dzeko. Menzione speciale per il velo di El Sharaawy che lascia arrivare la palla al bosniaco. Con tutto lo spazio per stoppare e tirare (per qualche ragione Dzeko si porta la palla sul sinistro) su Keylor Navas in uscita, Dzeko ha calciato fuori la prima grande occasione.

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Dzeko fa l’errore di aggiustarsi il pallone verso il sinistro, dove lo specchio della porta si è rimpicciolito, anche grazie alla rapidità dell’uscita del portiere del Real.

Questo è il momento topico della partita della Roma, quello che Spalletti aveva preparato accuratamente per costruire la rimonta. È, però, anche il momento più crudele: per quanto un piano gara possa essere ben studiato, il calcio rimane dei calciatori, e dei loro gesti tecnici.

A quel punto la Roma poteva pensare di essere riuscita a portare un proprio giocatore davanti al portiere a poco dall’inizio della partita, ma al contempo il Real Madrid non aveva trovato alcun ostacolo al proprio piano gara. Il che significa che ad ogni azione della Roma ne corrispondevano tre della squadra di casa. Il pallone viaggiava veloce ed era sempre del Real Madrid, non tanto per scelta quanto per l’evidente superiore caratura tecnica, e per la facilità con cui è stata ostacolata l’uscita del pallone dalla difesa della Roma, che non ha avuto in Pjanic un aiuto sufficiente.

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Il bosniaco aveva un ruolo determinante nella strategia iniziale, ma ha approcciato la partita in modo piatto: nel tentativo di rendersi protagonista di qualche passaggio decisivo è finito per non partecipare a sufficienza al volume di gioco della propria squadra.

Appena riceve il pallone Pjanic viene attaccato da Kroos e a breve distanza c’è Modric ad impedirgli di avanzare palla al piede. L’unica soluzione è passare la palla a Keita accanto.

Keita è sembrato più adatto ad accompagnare la transizione, ed ha finito per mangiare campo anche a Pjanic. La presenza del bosniaco a un certo punto sembrava quasi ridondante rispetto a un lavoro che poteva fare il solo Keita, ma la sua brutta prestazione ha reso la vita più difficile a Dzeko, che invece di palloni puliti sui piedi si è dovuto accontentare dei rilanci dei difensori o del portiere, facilitando la pressione di Casemiro.

Con tutte le difficoltà del caso – diversi uomini in pressione, diversi duelli aerei persi – Dzeko è anche riuscito a risultare decisivo nella rifinitura da cui è nata la seconda grande occasione di Salah, al minuto 27. Di nuovo, però, l’uscita di Keylor Navas è stata perfetta e il tiro del giocatore della Roma è finito fuori.

I nodi al pettine

La Roma ha avuto le due più chiare palle gol del primo tempo, ma il divario in termini di produzione offensiva con il Madrid è rimasto intatto, e la cosa con il passare del tempo non poteva che tranquillizzare Zidane. La partita si era incanalata in un duello a chi tira di più verso la porta avversaria, e in condizioni del genere non poteva che spuntarla la squadra che aveva dalla propria parte Cristiano Ronaldo, abilissimo a muoversi lungo tutto il fronte per ricevere palla e tirare.

Con il passare del tempo anche un gol della Roma non è più un problema rispetto alla certezza che, prima o poi, il gol del Real Madrid sarebbe arrivato. Non che i madridisti siano stati più precisi dei giallorossi: dei 18 tiri del primo tempo solo 4 sono in porta, e quasi tutti da fuori area. Ma a Zidane andava benissimo continuare così: accettare passivamente il ritmo della partita non è un problema se l’inerzia è a tuo favore.

L'intervallo non ha cambiato gli equilibri, e neanche il cambio (a quanto pare per un infortunio) di Pjanic per Vainqueur. L’entrata del francese non ha modificato la transizione offensiva della Roma, che già prima prescindeva da Pjanic, ma non ha aiutato neanche a proteggere il centro, nonostante l’attitudine e il fisico del giocatore. Il Real Madrid, pur giocando in verticale, ha sfruttato senza problemi tutta l’ampiezza del campo per i suoi attacchi: è riuscito sempre a portare due giocatori vicini al pallone, per poi affidarsi al loro talento associativo e attaccare il lato debole.

La prima metà del secondo tempo ha seguito il canovaccio del primo, con occasioni da entrambe le parti. Una grande parata di Szczesny ha tolto a un Bernabéu freddino l’occasione per esultare su una bella mezza rovesciata di James; dall’altra parte la Roma ha sciupato l’ennesima occasione limpida, forse la più limpida, con Salah che si è aggiustato la palla sul destro (non il suo piede) per tirare fuori di un metro di fronte alla sempre ottima uscita di Keylor Navas.

La partita sulla carta è rimasta aperta fino all’ora di gioco, quando Bale, che non ha più di un’ora sulle gambe, è stato sostituito da Lucas Vázquez. Lo spagnolo si è ritagliato il ruolo di “revulsivo”, bravo a entrare in corsa e a mettere ulteriore pressione alle avversarie con dribbling e cross, sfruttando l’esaurimento fisico e mentale di squadre costrette a difendere contro i titolari del Real Madrid. Oltre a Casemiro, quindi, un altro di quei giocatori simbolo di tutti i peccati capitali di Benitez, è diventato una soluzione utilissima per Zizou.

Appena entrato, Vázquez ha ricevuto il pallone largo di Modric e puntato nell’uno contro uno Digne. Il terzino francese, immemore del gol di Jesé dell’andata, lo ha accompagnato fin dentro l’area invece di attaccarlo, Vázquez si è ricavato lo spazio per un cross pericoloso sui piedi di Ronaldo, che difficilmente sbaglia occasioni del genere.

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Il gol di Cristiano Ronaldo affossa in panchina Spalletti, consapevole di come ormai la partita sia finita e che non ci sia mossa tattica adeguata a compensare il colpo psicologico. La Roma si spezza ancora di più nel tentativo di segnare un gol subito e consegna al Real Madrid su di un piatto d’argento il 2-0. Ancora Digne protagonista, con un cross velleitario dalla trequarti che, con tutti centrocampisti giallorossi oltre la linea della palla, ha aperto un’autostrada al Real Madrid per il contropiede lanciato da Modric.

A segnare il gol sarà James che parte tutto solo accanto a Kroos alle spalle del centrocampo della Roma.

Il 2-0 ha trasformato la gara in un’amichevole di lusso, dove c’è stato anche spazio per l’omaggio del Bernabéu a Francesco Totti, in quello che sembra sempre di più un farewell tour degno di Kobe Bryant con i Lakers. Gli ultimi 15 minuti di gara sono serviti solo ad aumentare i rimpianti della Roma, quando Perotti ha preso il palo su un bel cross di Salah, a Navas finalmente battuto.

Il Real Madrid ha passato il turno senza dimostrare di aver superato i propri enormi problemi strutturali. I “Blancos” dovranno preoccuparsi quando affronteranno squadre più forti della Roma, che hanno la qualità tecnica e la personalità per sfruttare le loro debolezze strutturali, ma questo Real Madrid è una squadra spezzata, senza distanze giuste e che soffre quando viene attaccata o quando perde palla. Ha troppi giocatori oltre la linea della palla e di fatto non ha un antidoto alle transizioni organizzate dagli avversari.

La Roma avrebbe potuto e dovuto fare di più davanti alla porta e non può che esserci amarezza per come la squadra sia risultata incapace di concludere quanto creato. Questo ha mosso Spalletti a una conferenza stampa post partita decisa a togliersi dalla testa l’idea di accontentarsi di una sconfitta chiara da parte di una squadra comunque più forte ma non impossibile.

L’allenatore toscano è sempre più padrone di un tentativo di cambiamento che oltre agli aspetti tattici vuole andare a cambiare prima di tutto la mentalità della squadra: “Non si può che prendere atto della realtà, invece di rotolarsi in altri discorsi: noi si è perso 2-0, gli altri sono discorsi. E io non partecipo ai rotolamenti. Quando si è giocato la partita di andata ero convinto che potevamo giocarcelo il passaggio del turno. Possiamo anche farli i complimenti, se vogliamo: però dobbiamo crescere come cattiveria, convinzione. Siamo deboli: alla prima difficoltà non riusciamo a essere la squadra che dobbiamo essere".

E ancora: "Il Real non sta attraversando un momento bellissimo, in questo momento non è una cosa irresistibile”.

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