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Jvan Sica
L'ultimo oro Mondiale dell'Italia del Volley
18 set 2018
18 set 2018
Giappone 1998, l'ultima grande vittoria della generazione d'oro del volley italiano.
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Jvan Sica
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Come tutte le grande epopee anche la generazione dei fenomeni del volley italiano ha avuto un innesco preciso, un momento-zero da cui tutto è iniziato. È il 29-09-1987, agli Europei che si disputano in Belgio l’Italia regge il confronto con la grande URSS: termina la partita 3 a 2, vince due set in maniera netta, per 15-9 e 15-7. Il giorno successivo l’Italia si ripete contro la Jugoslavia: gli azzurri perdono 3-2 ma tirano il set finale fino al 15-13.

 


Le partite contro URSS e Jugoslavia di quegli Europei e tutto quello che avverrà da quel momento in poi non sarebbe stato possibile senza la raggiunta consapevolezza che chi era inarrivabile poteva invece essere battuto. Quando corri e vedi finalmente l’avversario, inizi a correre ancora più veloce.

 



Dalla mediocrità più assoluta, due anni dopo il volley italiano arriva a vincere un campionato europeo, battendo la Svezia in casa. Iniziare a guardare gli avversari che corrono più veloci di te è una prima condizione per raggiungerli, la seconda è avere le gambe fresche. Nella squadra che vinse in Svezia tutto era nuovo e giovane e già di grande livello. C’era un nuovo allenatore, Julio Velasco, che era stato portato in Italia da una delle figure più importanti del volley italiano, Giuseppe Cormio, e a Jesi prima e a Modena dopo aveva cambiato tutto. Velasco però non è una meteora che crea un movimento stellare inesistente. Insieme a lui in quegli anni arrivano prima a Parma i soldi della Parmalat (sponsorizzazione Santal) e poi per due volte la Coppa dei Campioni, nel 1984 e nel 1985. A Modena Velasco arriverà per tre volte di fila in finale dal 1987 al 1989, venendo battuto sempre dalla corazzata CSKA Mosca.

 


Soldi, idee nuove, prospettive di crescita, soprattutto a partire da talenti inarrivabili per talento e forza mentale. A Modena, Velasco ha allevato l’ossatura della squadra che giocherà in Svezia: ci sono Lorenzo Bernardi, 21 anni al momento della vittoria in Svezia, Marco Bracci, 23 anni, Luca Cantagalli, 24 anni, Andrea Gardini, 22 anni, Andrea Lucchetta, 26 anni, Paolo Tofoli, 22 anni a infine Andrea Zorzi, 23 anni.

 


È una squadra che unisce alla potenza sovietica la fantasia bulgara e la capacità difensiva classica delle squadre rumene, le tre potenze dell’Est che ci avevano quasi sempre battuto in passato. È però soprattutto la tecnica, la capacità di difendere, palleggiare e colpire la palla in modi mai visti fino a quel momento a rendere l’Italia una squadra speciale.

 



L’anno successivo agli Europei ci sarà l’apoteosi e la scoperta popolare del volley. Ai Mondiali in Brasile l’Italia sconfigge i padroni di casa in semifinale e in finale Cuba, fino a quel momento considerata praticamente inavvicinabile. In quella squadra entra anche Andrea Giani, 20 anni, l’ultimo tassello imprescindibile per avviare l’epopea.

In otto anni l’Italia vince: un altro mondiale ad Atene nel 1994, 1 Coppa del Mondo, 6 World League, 3 Europei, e svariate altre cose, ma non tutte. I quarti di finale olimpici contro l’Olanda a Barcellona sono uno shock, ma il dolore di aver perso in finale ad Atlanta, sempre dagli olandesi, è più maturo ma anche più intenso. A quella squadra mancherà per sempre la vittoria olimpica.

 



 


Nel 1998, anno del Mondiale giapponese, arriva il terremoto. Se vogliamo dargli un nome, come accade per i fenomeni meteorologici, è Rubén Acosta Hernández: un messicano dai modi affettati che nel 1984, dopo 37 anni di presidenza FIVB da parte del francese Paul Libaud, viene eletto presidente dell’organo internazionale del volley mondiale e vive l’ascesa inarrestabile dell’Italia.


 

Dopo i primi anni ’90 di crescita di interesse e spettatori, il volley vede un netto calo. Poche le squadre nazionali che possono davvero competere per i grandi tornei, le partite sembrano già indirizzate prima di iniziare, con il cambio palla i sestetti devono essere completi. Una squadra tecnicamente eccelsa come l’Italia non potrà perdere, neanche se gli avversari possono schierare due fonti di attacco forti e in palla durante la partita. Per rendere più semplice la comprensione dell’assegnazione dei punti, proprio in un consesso FIVB pre-mondiale nel 1998, viene adottato il rally point system, ovvero quello che assegna un punto ad ogni attacco vincente, portando il set a 25. Si sarebbe iniziato con le sperimentazioni nel 1999, per poi rendere effettivo il cambiamento nel 2000. I giornali italiani uccidono Acosta. Mura scrive un pezzo dal grande risalto, intitolato: “Vecchio volley, non ti amo più”, e tutto il volley del nostro paese lo segue. L’idea è che quei cambiamenti regolamentari siano un attacco diretto al nostro dominio.

 



Alla vigilia del campionato 1998, al di là del rally point system, l’Italia arriva in Giappone con altri grossi problemi. Il più grande è un allenatore già dimissionario a inizio evento. Velasco, in sella fino al 1996, è stato abbattuto dalla seconda sconfitta olimpica contro l’Olanda. A prendere il suo posto è stato Bebeto, con cui l’Italia arriva terza agli Europei del 1997 e quarta nella World League del 1998, per la prima volta fuori dal podio. Due risultati fatali per il tecnico brasiliano, entrato in forte contrasto con il presidente della FIPAV, Carlo Magri.

 

Dopo i Mondiali sarà costretto a lasciare e per la panchina si pensa ad Angiolino Frigoni, secondo di Velasco che si era spostato in nazionale femminile, a Fausto Polidori, tecnico della juniores, anche se il nome più accreditato è quello che poi verrà scelto solo nel 2002, Gian Paolo Montali. Il successore di Bebeto sarà uno dei vincitori di quell’Europeo 1989, Andrea Anastasi.

 


Acosta e Bebeto non sono solo i due grattacapi che ci accompagnano nel viaggio verso il Giappone. Gravina, che stava per dare forfait per un problema alla schiena, Bracci che ha diversi problemi fisici e in generale una squadra vecchia, malconcia nei suoi uomini più importanti, con un allenatore dimesso, un presidente della federazione in guerra con il presidente internazionale e nell’aria l’odore acre della fine di un’epoca. In Italia la tv fa una semplice somma di tutte queste tremende premesse e decide di non comprare i diritti. Per la prima volta, dopo anni di contese fra Rai e Fininvest, i Mondiali saranno trasmessi criptati su Stream.

 


Eppure, nonostante tutto stesse cambiando, la differenza fra le prime 5-6 nazionali al mondo e le altre era ancora netta. Alla prima un’Italia anche in parte sottotono non ha problemi a battere il Canada, che aveva un solo giocatore di spessore, Paul Duerden. Chiude 3-0 e Bebeto si arrabbia perché nel secondo set la squadra era avanti 9-1 e poi si è spenta, arrivando al 14-13. La squadra titolare è quella immaginata all’inizio, con Meoni palleggiatore, Giani in buone condizioni (10+15 per lui), che in campionato con Modena aveva giocato spesso da schiacciatore di banda ma ha ripreso subito i meccanismi dell’opposto, Bracci sempre in palla (6+6), Papi e i due centrali Gardini e Gravina, Corsano libero. La notizia ha pochissima eco sui giornali, il fuso orario e le polemiche iniziali continuano a creare un clima di indifferenza nei confronti della squadra.

 


Se contro il Canada è stata una sgambata, contro la Thailandia è una mezza passeggiata. Il momento più intenso del match è stato quando gli atleti thailandesi cercano di braccare i miti italiani per farsi fotografare con loro. 3-0 in 58’ con un gran bel Papi (7+10). Il primo set si è concluso 15-0. Era ancora il volley dei nostri padri.

La terza partita è contro gli USA, in una fase di ricambio generazionale dopo la grande stagione di Karch Kiraly. L’Italia vince 3-1 soprattutto grazie a un muro bestiale, ben 26 (8+18). Gli azzurri perdono il primo set della competizione, sbagliando troppo in battuta, ma vincono di forza il quarto set, arrivando sull’11-0, sbagliando sette match point e poi chiudendo 15-7. Contro gli USA Bebeto inizia nella sua contromossa che sarà importante nel prosieguo. In momenti critici, l’asse palleggiatore-opposto formata da Meoni e Giani viene sostituita da De Giorgi e Sartoretti. Mai giocatori possono essere più diversi e spesso saranno i secondi a raddrizzare una partita, mandando in completa confusione il muro e le difese avversarie. 

 


L’Italia passa al secondo turno, quei secondi turni infiniti che hanno costellato le competizioni di basket e volley fino a pochi anni fa. La nostra pool è quella più difficile, con Olanda, Jugoslavia e Russia. Dall’altra parte strade libere per Brasile e Cuba. Prima avversaria l’Ucraina, battuta 3-0 in meno di un’ora. In questa prima giornata l’unico sussulto è degli USA che perdono solo al tie-break contro la Russia. Il giorno dopo gli azzurri battono di nuovo gli Stati Uniti 3-0, e il 21 novembre la Cina per 3 a 0. L’Italia gli concede 14 punti in 3 set. Contro la Grecia arriva un altro 3 a 0 e il punto più bello è il 9-3 del primo set, quando Gardini difende ad un braccio la schiacciata di Angelidis, Gravina alza all’indietro e Papi chiude. Gioca molto e bene Rosalba e tutti sono preparati per le prossime partite.

 



 


In questa prima parte morbida l’Italia ha oliato meccanismi, curato malanni (soprattutto la schiena di Gravina) e fatto entrare in forma i giocatori migliori. La prima avversaria della seconda parte è la Russia. Nelle finali di World League a Milano l’Italia ha perso al tie-break ed è stata una delle partite che indicavano un tramonto ormai imminente. La Russia ha battitori pazzeschi, come Roman Yakovlev, e quando al muro vanno Stanislav Dinekin, 2,16m o Stanislaj Kazakov, 2,17m la paura viene un po’ a tutti. Però a livello tattico è una squadra elementare, che punta tutto sulla potenza di fuoco che nella pallavolo ricostruita da Velasco e l’Italia è ancora un elemento secondario.

 


L’Italia vince 15-3 un primo set senza respiro. Meoni però si infortuna alla caviglia al terzo scambio ed esce. Il differenziale d’altezza e potenza cresce ancora di più, dovendo inserire Fefè De Giorgi, che ha anche 37 anni, ma De Giorgi piazza una delle partite più fantasiose della sua carriera che porta l’Italia a vincere il secondo set per 15-8. Nel terzo i russi mettono la battuta, si avvantaggiano e gli azzurri cedono il set, 15-11, per tenere energie e chiudere nel quarto. Così sarà, l’Italia vince 15-9. Papi ha giocato una partita sontuosa (11+22), con una ricezione soprattutto sulle battute russe davvero eccezionale. 

 


Il giorno dopo l’Italia deve affrontare la Jugoslavia, che ha schiantato l’Olanda 3-0. I due Grbic, fratelli, palleggiatore Nikola a Cuneo, schiacciatore Vladimir, che quella stagione avrebbe giocato a Roma, sono l’anima della squadra. Gli slavi sono l’altra grande tradizione con cui abbiamo sempre lottato negli anni in Europa. Insieme a loro altri grandi campioni, che in Italia sono arrivati giovani e sono cresciuti tanto: Goran Vujević, che giocherà nella penisola fino al 2015, Andrija Gerić, fantastico centrale che invece gioca ancora nel Vojvodina (è del 1975), Vladimir Batez, opposto che quell’estate era passato dal Napoli a Forlì. 

 


È una squadra fortissima che ci batterà a Sydney nel 2000 alle semifinali, negandoci ancora una volta l’oro olimpico. Anche quel giorno ad Hamamatsu ci batte, con un chiaro 3-0 dopo 114 minuti di intensi scambi, come avrebbe detto un Jacopo Volpi in forma. Serbi e montenegrini insieme giocano un volley che non è più il nostro, tecnico e fisico, indicando, insieme al Brasile, la strada che bisognerà seguire in futuro. Vlade Grbic a fine partita, dirà: «Che strano: noi, i più giovani ci credevamo più della grande Italia in quello che facevamo». Anche la convinzione di essere i migliori forse sta svanendo?

L’Olanda a quel punto rappresentava una prova del nove, in una partita fra due squadre in apparente decadenza. L’Italia batte gli “oranje” senza pietà, vendicandosi con la violenza e la disperazione delle occasioni passate che non potranno comunque più tornare. Vince 15-2, 15-7 e 15-1, un dominio in tutti i fondamentali. Gli olandesi sembra vecchi e stanchi: Bas van de Goor lascia il campo piangendo, Schuil era infortunato e vive i festeggiamenti italiani con la testa bassa. È stata la partita più breve del torneo, 47’, anche più breve di Brasile-Algeria. 


 



La Jugoslavia vince il set che serve per prendere Cuba e l’Italia in semifinale va contro il Brasile, la squadra più giovane del torneo (23 anni di media) e quella che ha giocato il volley più nuovo. Prima del match Bebeto, dice: «Il cuore in questa partita non c' entra. Io sono orgoglioso di essere brasiliano, carioca, botafoghista. Ma cercherò di fare di tutto perché l’Italia vinca. E saranno i giocatori azzurri poi a farlo, non io». Giani, invece: «Non ci faremo prendere mai più in giro come hanno fatto gli jugoslavi». Si va allo Yoyogi Stadium di Tokyo per la resa dei conti.

 


Chi vincerà fra una squadra che ha vinto tutte le partite del torneo, ha mostrato un volley fantastico ed ha a disposizione un gruppo di giovani al massimo della forma e un’altra che ha già perso una partita, ha tanti vecchi giocatori acciaccati, un tecnico dimissionario, un presidente federale che fa la guerra a tutti? 

 


Il Brasile ha già tutti quelli che, emulando l’Italia, vinceranno 3 Mondiali di fila. In regia Ricardo, che forma la diagonale con Nalbert. Gli schiacciatori sono Giba e Giovane, i centrali Gustavo e Rodrigao, il libero è Sergio. Sono tutti giovani, fortissimi e sono già proiettati verso quello che sarà il nuovo volley: l’attacco diventa centrale, ma soprattutto il ritmo e la velocità della giocata sono importanti perché è lì che si possono mettere in difficoltà muri che crescono sempre di più in altezza e potenza. Serve meno la tecnica di tocco rispetto a prima quando ti trovi davanti due 2.10 che ti murano, serve un movimento di squadra tale che in grande velocità la palla arriva allo schiacciatore, che per essere efficace deve trovarsi davanti un muro avversario disordinato. Le pipe Ricardo-Giba, così veloci da essere quasi primi tempi, sono l’esempio classico di questo nuovo volley.

 


In questa semifinale, però, il Brasile non ha raggiunto ancora il livello eccelso che verrà e nel primo set l’Italia di cattiveria, quasi schiacciando gli avversari con l’esperienza. Nel secondo Nalbert con i suoi servizi riesce a colmare il gap dal 3-8 e si va sull’1-1. Poi arriva il terzo set e l’abbrivio che Nalbert ha dato alla sua squadra continua fino al 9-4. Bebeto si gioca la sua ultima carta possibile, l’asse De Giorgi-Sartoretti, che aveva tirato fuori nelle partite precedenti quando c’era da stravolgere i piani avversari. Accade di nuovo e quando Fefè, che per età e fisico sembra lo zio simpatico di Giba, lo mura, e offre a Papi la possibilità del contrattacco vincente, e che dà il set all’Italia, sembra un segno del destino.


 

Nel quarto set l’Italia va avanti 9-6, poi il Brasile risale, gli azzurri commettono tre errori madornali in attacco e si va al tie-break. Bebeto sceglie ancora De Giorgi, la sua squadra va avanti 5-3 con un grande punto di Giani, poi 10-7, ancora di Giani dopo una difesa circense di Corsano. Bracci fa cose che si vedevano 10 anni prima, alla fine chiude Sartoretti con una delle sue traiettorie sghimbesce. Sono tutti frastornati. Noi per una vittoria francamente inaspettata, i brasiliani perché non possono credere di essersi fatti fregare ancora una volta. Bebeto non sa se piangere o ridere e continua a dire: «Hanno fatto tutto gli atleti italiani». Tra pochi giorni deve tornare in Brasile.

 



 


In finale ancora la Jugoslavia dei Grbic. Velasco dall’Italia dice: «Quando si perde 3-0 con una squadra nelle qualificazioni e la si ritrova in finale, si vince sempre. È successo alla mia squadra nel ‘90 contro Cuba, e purtroppo anche all' Olanda contro di noi ad Atlanta».

 


I numeri nella pallavolo certificano meglio di tanti altri sport l’efficienza di una squadra e il motivo delle vittorie. Papi in quella finale difende con l’84% di ricezione perfetta, Bracci ha il 73%, Corsano il 78%. In attacco Gardini attacca con il 51%, Papi con il 62%, Giani con il 45%. Gianni poi fa 5 muri, di cui 3 punto, Gravina termina la partita con un 1+2 a muro.


 

Sul 14-8 del terzo set, un italiano entra in campo con la bandiera tricolore. Ma si sbaglia, il punto non è quello della vittoria. Serve l’errore di Geric per dare all’Italia il terzo mondiale consecutivo. No, ancora no. Gravina ha invaso. La Jugoslavia si avvicina di altri due punti e tocca a Samuele Papi, il migliore in campo per distacco, a chiudere con un pallonetto, sfruttando un servizio di Marco Bracci. Gli azzurri tengono Vlade Gribic a 4+ 14, poca cosa.

 


Vinto quel Mondiale, davvero sembra che si chiuda un sipario e i nostri vanno a struccarsi, stravolti dalle fatiche di un decennio meraviglioso. Bebeto in Italia non ci torna nemmeno e spara: «Dedico questa vittoria a chi non ha capito». Gravina in poche frasi spiega il motivo e il senso di quell’ennesimo trionfo: «L’importante adesso è crescere sulle vittorie per liberarci da questo dipendere sempre dal risultato, non potremo vincere sempre. Negli anni scorsi, dopo i successi, a volte siamo addirittura regrediti. Eravamo coscienti della posta in palio che c' era questa volta. E abbiamo vinto».

 

Ma questa coltre di ineluttabilità vincente sta finendo. Una frase di Papi, spegne anche le luci: «Meglio di così è difficile giocare». L’Italia non lo farà più per anni e si lascerà superare da altre nazionali. Forse per questo la gioia di quella mattina italiana non la si può dimenticare.

 

 

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