Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
L'ultimo ballo di LeBron e Steph
20 mag 2021
20 mag 2021
La sfida al play-in tra Lakers e Warriors ci ha ricordato quanto siano i giocatori a creare l'evento, e non solo il formato.
(articolo)
8 min
Dark mode
(ON)

Doveva essere la partita più intensa e affascinante di questo torneo play-in e alla fine la sfida tra i Los Angeles Lakers e i Golden State Warriors non ha tradito le attese. Anzi, per un paio d’ore ci ha teletrasportati direttamente in una di quelle Finals di metà decennio nelle quali il folleggiare di Steph Curry si scontrava con la granitica completezza di LeBron James. E anche senza i riflettori delle partite che valgono l’anello, i due più grandi giocatori di questa generazione hanno garantito il consueto spettacolo, regalandoci forse l’ultimo scontro diretto di una bellissima rivalità. E al termine di una gara tiratissima l’hanno spuntata in rimonta i Lakers grazie a una tripla al buio di LeBron, che ha rotto la parità fissata a quota 100.

I campioni in carica affronteranno quindi al primo turno i Phoenix Suns di Chris Paul e Devin Booker, mentre Golden State si giocherà con i Memphis Grizzlies - vincenti ieri notte contro i San Antonio Spurs - l’ultimo posto disponibile per i playoff, dove gli Utah Jazz attendono di scoprire la loro avversaria.

Il grande primo tempo di Golden State

Le due squadre arrivavano a questa partita in un ottimo momento di forma, con Golden State che aveva vinto le sei ultime gare della stagione regolare e otto delle ultime dieci e con i Lakers in striscia aperta da cinque partite consecutive, avendo ritrovato prima Anthony Davis e poi LeBron James. E se le due superstar gialloviola erano ancora alla ricerca della migliore condizione, con James fortemente condizionato da un problema alla caviglia, Curry stava attraversando uno dei migliori periodi della sua carriera, viaggiando a 35 punti di media nella seconda parte di stagione e trascinando i suoi a questa partita.

Caricata quindi dall’entusiasmo, Golden State ha approcciato la gara con più concentrazione e fisicità, andando in vantaggio dalla palla a due e salendo in doppia cifra già a metà primo quarto nonostante un Curry da 2/6 al tiro e 0/2 dall’arco. Con i Lakers che cercavano in tutti i modi di togliere al numero 30 sia il mortifero tiro dal palleggio che le linee dirette di penetrazione, raddoppiando spesso sia con l’utilizzo dei blitz che portando il lungo al livello del blocco, sono stati “gli altri” in maglia Warriors ad approfittare delle attenzioni riposte nei confronti di Steph. In particolare Andrew Wiggins e Kent Bazemore hanno avuto un brillante primo quarto con 7 punti a testa, mentre Draymond Green duellava con Anthony Davis.

Ma se l’attacco ha fatto il suo, è stata soprattutto la difesa di Golden State a fare la differenza nel primo tempo, concedendo solamente 42 punti ai Lakers con un brutale 38% di percentuale effettiva. Nelle ultime due settimane di regular season gli Warriors hanno registrato il secondo miglior rating difensivo della lega con 106.3 punti concessi su 100 possessi, un miglioramento arrivato dopo l’infortunio di James Wiseman e guidato dalla sapienza di Draymond Green. Il numero 23 rimane il difensore più completo dell’NBA odierna e la sua abilità nel coordinare i movimenti dei suoi compagni mentre affronta direttamente il miglior giocatore avversario permette agli Warriors di resistere anche contro squadre che dovrebbero sovrastarli fisicamente.

Con LeBron, Davis e Dennis Schroeder limitati a un complessivo 4/26 al tiro, i losangelini non hanno mai trovato ritmo in attacco lasciando che fossero gli Warriors a stabilire le regole d’ingaggio. Imbottigliati dai due lunghi in campo e con LeBron evidentemente in modalità risparmio energetico - e ben marcato da Wiggins, che lo prendeva a tutto campo costringendolo a lavorare su ogni possesso - i Lakers sembravano non avere né le risposte né le risorse per affrontare questa versione corsara di Golden State.

Un’autentica magia di Curry sulla sirena del primo tempo ha così permesso agli ospiti di andare negli spogliatoi con 13 punti di vantaggio e un ko tecnico-tattico difficile da prevedere in casa dei campioni in carica.

https://twitter.com/warriors/status/1395216842101121027

Il ritorno dei Lakers della bolla

Dopo l’intervallo i Lakers però sono tornati in campo con tutt’altra intensità e con le idee più chiare su come attaccare il muro formato dagli Warriors. Dopo un primo tempo piuttosto passivo, James ha cominciato ad attaccare il ferro con più decisione, soprattutto coinvolgendo Curry sul pick and roll e costringendolo a difendere sui blocchi. E spesso invece di usarlo come portatore di palla in un classico gioco a due, i Lakers hanno invertito il pick and roll con LeBron che andava a bloccare per l’uomo marcato da Curry per poi sfruttare la sua abilità nel trovare i punti deboli di una difesa già mossa.

Con spaziature migliori LeBron può trovare angoli impensabili ai comuni mortali.

Ma soprattutto nel secondo tempo coach Frank Vogel ha rotto gli indugi e schierato stabilmente Anthony Davis da centro, panchinando Andre Drummond a metà terzo quarto e tagliando i minuti nella ripresa di Montrezl Harrell. Se nel primo tempo Davis accoppiato con un altro lungo aveva faticato a trovare il proprio ritmo offensivo, addirittura finendo sul perimetro per fare spazio per i possessi in post di Drummond e segnando solo un canestro su 11 tentativi, da unico terminale AD ha trovato finalmente le chiavi per scardinare la difesa degli Warriors. Giocando tutti i 24 minuti della seconda frazione, Davis ha segnato 20 punti con 12 tiri e 9 rimbalzi, spendendo più minuti da centro in questa partita che in tutte le altre 13 dal suo ritorno dall’infortunio messe insieme.

Con il passare della partita i Lakers sono tornati ad assomigliare sempre più alla versione vista lo scorso anno nella bolla di Orlando, con LeBron e Davis circondati da esterni capaci di difendere su più posizioni e tirare da fuori con percentuali accettabili. Dopo un lungo lavoro di casting e delle sonore bocciature (Marc Gasol ad esempio si è visto meno di Drake a bordo campo), coach Vogel si è affidato ai suoi pretoriani, ovvero Kentavious Caldwell-Pope e Alex Caruso.

Dennis Schroeder, che veniva da una prolungata assenza causa Covid-19, è stato relegato alla panchina con un tremendo -20 di plus-minus dopo aver srotolato tappeti rossi all’incedere di Steph Curry e al quale è stato preferito un Wesley Matthews tirato fuori dalla naftalina e sorprendentemente utile alla causa gialloviola.

Ma è stato specialmente Caruso a definire il tono aggressivo e determinato con il quale i Lakers hanno girato la partita nel secondo tempo, forzando gli Warriors a 15 palle perse con rotazioni puntuali dopo i raddoppi su Curry e accendendo il contropiede gialloviola, che aveva bisogno di punti facili come acqua nel deserto.

Quattro di queste 15 sono state causate da Curry (6 da Green), che con i minuti ha accusato il peso di un intero attacco sulle proprie spalle contro la miglior difesa della lega. Nonostante sia in una condizione fisica smagliante che gli consente di non fermarsi mai un secondo in attacco e trovare sempre la frazione di secondo giusta per scoccare i suoi tiri, Curry ha patito le continue attenzioni della difesa di L.A. e la mancanza di un secondo realizzatore al suo fianco. Nonostante abbia chiuso a quota 37 punti con 23 tiri, l’attacco di Golden State ha perso via via fiducia e fluidità finendo per dipendere interamente dal proprio numero 30. Nel secondo tempo solo cinque giocatori in maglia Warriors hanno trovato un canestro dal campo, e solamente tre nell’ultimo quarto.

Steph vs LeBron forever

Come in tutte le altre puntate della sfida infinita tra LeBron e Curry - stiamo parlando di 22 partite di playoff, un dato abbastanza incredibile se pensiamo che hanno trascorso gran parte delle loro carriere in conference diverse - è dovuta arrivare una prodezza individuale per spezzare la parità. Questa volta è stato LeBron a imitare Steph, realizzando una tripla da oltre dieci metri mentre la sirena stava indicando la fine del possesso e proprio mentre il suo miglior nemico provava affannosamente a contestargli il tiro.

Qualche minuto prima James era rimasto a lungo a terra a causa di un contatto sotto canestro con Draymond Green, che aveva abbassato pericolosamente le braccia in aria verso il volto del Re e che - secondo James - ha finito per mettergli un dito nell’occhio. “Vedevo tre canestri e ho mirato a quello al centro” ha detto James a fine partita a Rachel Nichols, un po’ per alimentare la propria personale leggenda e un po’ per continuare ad accusare di gioco sporco Green, questo sì con un ricordo sbloccato direttamente dalle Finals del 2016.

Ora Los Angeles può prepararsi per la serie contro i lanciatissimi Phoenix Suns e a una difesa del titolo che sarebbe storica: nessuno infatti ha mai alzato il Larry O’Brien Trophy partendo con una testa di serie così bassa. Golden State avrà invece un altro gettone per il ruolo di sfidante degli Utah Jazz da giocarsi contro i Memphis Grizzlies già battuti nell’ultima partita di regular season con una prestazione da 46 punti di Curry.

https://twitter.com/loganmmurdock/status/1394049282278256647

L'ultima volta che i Warriors sono entrati ai playoff da ottava testa di serie era l'anno del Barone e del We Believe.

Paradossalmente questa potrebbe essere una partita inutile se non per decidere l’ordine con il quale le malcapitate Phoenix e Utah, dopo una stagione regolare eccellente, dovranno incrociare i giocatori più forti e vincenti di questa generazione. Ma è una partita che soprattutto dà un senso a questa prima edizione dei play-in, visto il livello espresso nelle altre prime tre gare, e dimostra per l’ennesima volta come siano i giocatori e non il formato a decidere il livello della competizione. E un colpo di fortuna ha voluto che si sfidassero LeBron e Curry, salvando i rating televisivi in una sola gara (che comunque si sono già alzati con le prime due partite di ieri notte) e concedendo ai tifosi di poter vederli uno contro l’altro forse per l’ultima volta con qualcosa in ballo.

Perché alla fine per quanto possiamo entusiasmarci per i nuovi volti che sono pronti a conquistare la lega, teenager in ascesa e MVP stranieri, non siamo ancora pronti ad un NBA senza Curry e LeBron. E forse non lo saremo mai.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura