
Qualche anno fa Javier Aznar, autore di Revista Líbero, aveva scritto un articolo dove, da tifoso del Real Madrid, si struggeva per l’angoscia di un eventuale ritiro di Luka Modrić. Per allontanare il più possibile quel giorno, scriveva, il Real Madrid avrebbe dovuto dosare ogni goccia di energia residua del croato, "come quei collezionisti che non tolgono mai i fumetti dalla pellicola". È un articolo bello ed evocativo, tra i migliori che possiate trovare in giro su Modrić. Dal mio canto, anch’io prego che non si ritiri mai e che a giugno ci regali un altro Mondiale da leggenda. Il proposito di centellinare Modrić e di preservarne le forze, però, dopo la partita contro il Napoli appare fuori luogo. Il motivo è che le risorse di Modrić sembrano non poter finire mai.
È evidente che il croato non vada considerato alla stregua di un normale calciatore quarantenne, e non solo perché si tratta di uno dei migliori interpreti della storia di questo sport. Il fatto è che di solito crediamo che i grandi fuoriclasse possano continuare a giocare esclusivamente grazie alla dimensione tecnica del loro talento: l’età può intorpidire i muscoli, ma non la sensibilità dei piedi e del cervello. Modrić, invece, non ha bisogno di giustificare la sua presenza per la sola qualità con il pallone. Ancora oggi, con ventidue anni di professionismo alle spalle e le gote scavate dall’età, merita di essere considerato un atleta a tutto tondo, capace di eccellere nella sofferenza e nella fatica. D'altra parte di come facesse ad essere ancora su questi livelli fisici ce lo chiedevamo già tre anni fa.
Modrić è sempre stato un agonista straordinario, un talento sorretto da uno spirito competitivo con pochi eguali.
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