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Luis Diaz, l'oro del Porto
16 feb 2021
16 feb 2021
Il talento dell'esterno colombiano sembra perfetto per dare fastidio alla Juventus.
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Arriva sempre un momento dell’anno in cui come per magia nel Porto compare un giocatore che possono permettersi solo le più grandi squadre europee. Un momento che quasi sempre cade durante la Champions League, quando i nostri occhi cadono sull’ultimo talento portato in Europa dagli scout portoghesi, che come

ogni anno tornano dal Sud America nel Vecchio Continente carichi delle migliori primizie. Da loro i top club europei, proprio come i sovrani del ‘500, si aspettano sempre l’oro anche quando le loro navi sono cariche di pomodori, zucche o spezie di cui non abbiamo mai sentito il profumo. La scorsa stagione la specialità esotica era Eder Militão, acquistato dal Real Madrid per 50 milioni di euro - ultimo di una lunga stirpe di talenti sudamericani saliti alla ribalta al Porto che affonda le sue radici nelle storie di Jackson Martinez, James Rodriguez, Hulk e Radamel Falcao. Quest’anno l’ultima novità si chiama Luis Diaz.

 

Con Luis Diaz la metafora delle prime spedizioni nelle Americhe è piuttosto calzante. Nato a Barrancas, nella penisola de La Guajira che dal continente sudamericano si incunea nel Mar dei Caraibi, Luis Diaz è infatti di etnia Wayuu, conosciuta in Colombia per aver avuto una storia particolarmente bellicosa con l’occupazione spagnola. Le diverse insurrezioni avute nell’arco del ‘700 portarono l’allora governatore spagnolo della regione a descrivere i Wayuu come “barbari, ladri di cavalli, meritevoli di morire, senza Dio, senza legge e senza re”. Una popolazione indomabile il cui carattere è rimasto come un’ombra sulla reputazione di Luis Diaz, che tra i tanti soprannomi che si è portato dietro dalla Colombia ha anche quello di “

cacicco in italiano - termine mutuato dalla lingua arawak con cui veniva definito il capo di una comunità indigena in America Latina.

 

Luis Diaz in realtà non sembra avere il carisma imperturbabile del capo tribù e con la faccia da bambino, i capelli dritti e la disperazione adrenalinica della corsa è più vicino alla figura mitologica del

piccolo demone che abita gli incubi delle leggende latinoamericane e che nella nostra lingua,

il vocabolario della Treccani, ha lasciato l’impronta su una parola che definisce il "fascino ammaliatore, talvolta venato di tristezza e inquietudine” oppure “l’estro ispiratore, creativo”. «Il duende non sta nella gola; il duende monta dentro, dalla pianta dei piedi»,

Garcia Lorca «Vale a dire, non è questione di capacità ma di autentico stile vivo; vale a dire, di sangue; di antichissima cultura, e, al contempo, di creazione in atto». Parole che mi sembra si addicano bene ai dribbling istintivi ed entropici di Luis Diaz, che con la palla sembra mettere in scena ogni volta una danza ancestrale ma viva.

 

L’origine Wayuu, comunque, non è valsa a Luis Diaz solo l’aura da realismo magico ma anche una via peculiare per arrivare in Nazionale, e quindi anche alla ribalta internazionale. Nel 2015, quando era ancora uno sconosciuto diciottenne nemmeno professionista, Luis Diaz si presentò ad un provino per entrare nella Nazionale indigena colombiana che quell’estate avrebbe partecipato a una specie di Coppa America di categoria. Il selezionatore di quella Nazionale, per qualche ragione, era Carlos Valderrama. «[Luis Diaz] Mi ha subito sorpreso quando l’ho visto nel processo di selezione della Nazionale Indigena», ha dichiarato Valderrama nel settembre del 2017 «Ho detto: “questo farà strada”, e lo abbiamo messo al volo senza pensarci». La Colombia arriverà fino alla finale di quella Coppa, persa contro il Paraguay, per quello che vale - la benedizione del “Pibe” in realtà gli valse soprattutto l’ascesa della sua carriera in Colombia, dove in quello stesso anno venne tesserato dal Barranquilla, squadra satellite dell’Atletico Junior.

 

Valderrama non è l’unico ad aver visto l’oro nel futuro di Luis Diaz, che sembra non poter lasciare indifferente chi lo guarda. Già in un vecchio pezzo del 2017

di come fosse conosciuto già nel suo quartiere, dove si mormorava che “questo ragazzo arriverà lontano”. In

in cui viene ricostruita la sua infanzia è raccontato invece il momento in cui, a 12 anni, lasciò tutti a bocca aperta in un torneo giovanile con un gol segnato dopo aver dribblato diversi avversari e aver messo la palla all’angolino. Anche al provino con il Barranquilla, nel gennaio del 2015, ci mise poco a convincere chi doveva giudicarlo. «Quando l’abbiamo visto la prima volta non impressionava per il suo fisico», ricorda Fernel Diaz, coordinatore delle giovanili dell’Atletico Junior «Appena è entrato in campo, però, ha stupito tutti. Quelli che lo hanno visto hanno detto: “Questo magrolino ci sa fare”». Ogni volta il suo arrivo in una squadra assomiglia a una specie di epifania. Quando fu convocato in Nazionale maggiore per la prima volta, James Rodriguez lo abbracciò e

che era destinato a grandi cose. Luis Diaz, inevitabilmente, non ci ha messo molto a fare lo stesso effetto anche gli scout delle squadre europee e sudamericane. Dopo tre stagioni, 19 gol e una diffusa impressione che fosse

per il campionato colombiano, l’Atletico Junior lo ha ceduto al Porto, che per portarlo in Europa ha dovuto battere la concorrenza di Zenith e River Plate.

 

Arrivato in Portogallo nell'estate del 2019, per lui non c’è stato bisogno di nessun periodo di ambientamento. Sergio Coinceçao lo ha schierato fin da subito da titolare, forse apprezzandone l’applicazione difensiva e la capacità di risalire grandi porzioni di campo in conduzione, partendo dalla propria mediana. Caratteristiche che per una squadra che ama difendersi bassa e giocare sugli errori degli avversari come il Porto sono presto diventate vitali. Nel gioco di Luis Diaz, però, non c’è nulla di etereo o sensuale, e la sua ammirazione verso i grandi giocatori-artisti del calcio brasiliano contemporaneo (Ronaldinho e Neymar) sembra puramente ideale. L’unico ballo a cui si può avvicinare il suo rapporto con il pallone è quello demoniaco che si vede in

delle zone andine del Sudamerica. L’ala colombiana parte da sinistra a grandi falcate ma non ha una corsa levigata da videogioco, con la palla magicamente incollata al piede. Luis Diaz, al contrario, è uno di quei giocatori che con l’istinto riesce a trasformare i propri limiti in un’arma, come se fosse in uno stato di perenne improvvisazione. Quando corre sembra sempre sul punto di perdere il contatto con il pallone fino al momento in cui però riesce a toccarlo evitando l’intervento avversario.

 

https://www.youtube.com/watch?v=vbQZqwpAWfs

 

Qualche giorno fa, nella semifinale d’andata della Coppa di Portogallo contro il Braga, Luis Diaz ha messo in mostra tutte le sfumature del suo talento. Al 65esimo del secondo tempo ha tenuto una palla che sembrava destinata al fallo laterale facendosela passare dietro al tacco sinistro e lanciandosi immediatamente in profondità, ha anticipato un primo difensore con la punta allungando la gamba a una distanza inverosimile, e infine ha corso disperatamente verso l’area avversaria. Arrivato al limite dell’area piccola, forse stanco e senza più soluzioni di passaggio, ha deciso all’ultimo secondo di tirare nonostante l’angolo di tiro inesistente, anticipando un altro difensore, David Carmo. Il giocatore del Braga, forse sicuro di essere arrivato in tempo, è intervenuto lo stesso mettendo la gamba sotto il suo piede e vedendo il proprio perone spezzarsi a metà. Dopo una lunga revisione VAR, alla fine Luis Diaz è stato espulso con una decisione che ha fatto discutere il pubblico portoghese per giorni. È giusto espellere un giocatore che procura un infortunio grave involontariamente?

 

L’avvenimento ha svelato in maniera brutale il suo gioco intrinsecamente scomposto, sempre al limite, che poi è ciò che lo rende così spettacolare le volte in cui invece delle gambe degli avversari riesce a colpire il pallone. Provate per esempio a non mettervi le mani nei capelli vedendo questo dribbling.

 



 

Luis Diaz controlla il pallone con la coscia sulla mediana in equilibrio precario e sembra cadere una prima volta verso sinistra, portandolo a condurre palla all’indietro con l’esterno destro. A quel punto, dopo aver fintato una prima volta di volersi girare a destra, sembra voler tornare al centro dal suo compagno ma è ancora una volta una finta: si gira su se stesso come se fosse un invasore di campo che sta cercando di dribblare un poliziotto e torna verso il fallo laterale, dove è chiuso da un altro avversario. L’ala colombiana gli sposta il pallone con l’interno all’ultimo momento e quando sta per portarsela a sé con la suola la liscia clamorosamente, portandolo a cambiare idea nuovamente e a passare la palla con la punta verso il centro. Non c’è alcuna ricerca estetica nei suoi movimenti, nessuna omogeneità, solo tentativi di essere più veloce, più furbo del suo avversario. Per dire: avete mai visto una

riuscita con così poca grazia?

 



 

Guardare Luis Diaz giocare è straniante. Anche in partite in cui non brilla e sembra incespicare nel pallone è raro che non abbia almeno un momento come questo in cui sembra il giocatore più forte del mondo, qualcuno destinato a grandi cose, come gli ripetono fin da bambino. Contro il Manchester City, nella partita d’andata della fase a gironi della Champions League, in una gara dominata dalla squadra di Guardiola e passata la quasi totalità del tempo sotto la linea del pallone, è partito dalla propria trequarti in contropiede mangiandosi il campo, si è accentrato conducendo con l’esterno, ha fatto sparire prima Rodri e poi Joao Cancelo con un paio di finte, e infine ha tirato incrociare con un angolo talmente impossibile che nello slancio è caduto all’indietro.

 


I momenti in cui può attaccare palla al piede un campo molto lungo sono quelli in cui il talento di Luis Diaz sembra manifestarsi con più luce. Un altro gol che vedrete spesso nelle sue compilation YouTube è quello segnato la scorsa stagione

, quando al 92esimo ha preso palla dalla sua mediana, si è fatto tutto il campo, si è accentrato sul destro e, arrivato al limite dell’area, ha tirato con una potenza disumana che in qualche modo ha fatto impigliare il pallone alla rete.

 

In questi gol risiede anche il paradosso della sua vena realizzativa non ancora eccezionale come la lucentezza dei suoi gol sembrerebbe suggerire. L’anno scorso l’ala colombiana ha segnato 12 gol tra campionato, Coppa di Portogallo e coppe europee, quest’anno siamo a quota 8. Numeri promettenti ma ancora acerbi, dato che in Liga NOS ha segnato leggermente di meno di quanto ci si aspettasse rispetto alle occasioni avute (0.38

da 0.42

avuti a disposizione). Luis Diaz, infatti, è un giocatore la cui eccezionalità aumenta tanto più viene allontanato dalla porta e la difficoltà nell’avere occasioni da gol cresce, mentre va in difficoltà quando il baricentro della squadra si alza, gli spazi inevitabilmente si rimpiccioliscono e i suoi limiti tecnici nello stretto diventano più evidenti. Qualcosa a cui dovrà stare attenta anche la Juventus nel caso dovesse entrare in campo in una situazione di equilibrio con le squadre stanche o se, com’è probabile, la squadra di Pirlo sarà costretta a ad affrontare un blocco bassissimo, pronto a scattare in avanti non appena recuperata palla.

 

Il Porto ha sicuramente giocatori più tecnici, più ordinati, con una più raffinata visione di gioco, più solidi fisicamente, ma nessuno di questi sa come trasformare il piombo in oro in un momento come Luis Diaz. Un giocatore a cui basta un singolo istante in una partita di 90 minuti per lasciarti a bocca aperta e fissarsi nella tua mente per sempre. In questa stagione, in cui ha alternato alti e bassi, Luis Diaz ha comunque segnato tirando

sul palo più lontano dal limite dell’area,

dopo aver controllato un campanile in area, e in quella che è persino difficile definire rovesciata, scomponendo il suo corpo in aria come una statua di Boccioni.

 

https://www.youtube.com/watch?v=tMEEG0bKaDU

 

In una sfida ad eliminazione diretta in cui i gol pesano il doppio rispetto a una normale partita, se c’è un giocatore da tenere d’occhio quello è lui.

 

 

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