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Alfredo Giacobbe
Luci e ombre a San Siro
18 apr 2016
18 apr 2016
L'Inter batte un Napoli stanco. Nell'arco di una stagione non si può dare niente per scontato.
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Alfredo Giacobbe
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Se una squadra è come un organismo vivente, il corpo del Napoli è stanco e ogni aspetto del suo gioco, in maniera impercettibile, ha rallentato. La squadra fa gli stessi movimenti di prima, tutte le giocate sono precise più o meno allo stesso modo. Ma il processo decisionale e l’esecuzione nel suo complesso sono oggi più lenti di qualche settimana fa. E sembra persino troppo semplice spiegare la stanchezza con la decisione, presa a inizio stagione da Sarri (quasi in ossequio a una tradizione avviata da Mazzarri) di individuare un gruppo di “titolarissimi”: undici giocatori sicuri delle loro posizioni, mai messi in discussione né per modifiche rispetto alle caratteristiche dell’avversario, né per eventuali cali di forma.

 

Prendiamo ad esempio l’azione del gol segnato da Icardi al quarto minuto: la difesa del Napoli prova a salire sulla circolazione orizzontale del pallone tra un giocatore interista e l’altro. È un movimento automatico, sincrono, come richiesto da Maurizio Sarri ai suoi difensori: la palla, nel momento in cui passa da un avversario all’altro, non è realmente in possesso di nessuno; non c’è quindi minaccia, la difesa può alzarsi.

 

Quella del Napoli ci prova, ma agisce con una frazione di secondo di ritardo: quando la palla arriva sui piedi di Medel il movimento della linea partenopea si sta ancora completando. Non solo: anche il centrocampo azzurro non reagisce in tempo e ritarda l’uscita in pressione su Medel, così il cileno ha tempo di alzare la testa, di vedere e servire lo scatto del proprio centravanti in profondità.

 

Per amore di verità, il Napoli era riuscito a mettere Icardi per pochi centimetri in fuorigioco; ma quello che mi preme sottolineare è che, appena qualche settimana fa, la difesa sarebbe salita più in fretta, i centimetri di offside sarebbero stati di più e su Medel sarebbe piombato un centrocampista a contestargli il pallone.

 

Dal gol di Icardi, che ha cambiato tatticamente la partita, a quello di Brozovic, che virtualmente l’ha chiusa, il Napoli ha presidiato costantemente la metà campo avversaria ma senza creare pericoli di sorta: in 40 minuti di forcing ha tirato 5 volte, sempre da fuori area, e solo in 2 casi il pallone è finito nello specchio. La produzione offensiva del Napoli è stata penalizzata, oltre dalla lentezza a cui facevo riferimento, dalla cattiva prestazione di due uomini in posizioni chiave: Hamsik e Gabbiadini.

 



 

Marek Hamsik è il giocatore più intelligente del nostro campionato, tatticamente uno dei più dotati d’Europa, ed è il fulcro della macchina di Sarri. Anche sabato contro l’Inter, Hamsik ha giocato più palloni (113), ha creato più occasioni (2, al pari di Insigne e Mertens) e ha messo a segno più passaggi e più lanci positivi di tutti (rispettivamente 84 e 6).

 



 

Dal punto di vista tecnico, però, Hamsik non è un giocatore eccezionale, e i tanti errori lo confermano. I controlli di palla sbagliati nelle ripartenze o le rifiniture affrettate nell’ultimo terzo di campo hanno fatto la differenza in negativo: le sue palle perse sono state 18; solo Allan, che ne ha persa una in più, ha fatto peggio del suo capitano.

 

 


 

Manolo Gabbiadini non è una prima punta, e anche nella partita di Milano lo ha dimostrato. Per tutto il match è rimasto schiacciato sulla linea dei difensori e ha sofferto la fisicità della coppia Miranda-Murillo.

 

Tra le cose straordinarie che fa Gonzalo Higuaín c’è un lavoro di cucitura dei reparti costante: Higuaín si muove dal centro della difesa verso l’esterno, scattando all’indietro; in questo modo costringe il suo marcatore a seguirlo o a lasciarlo andare. Nel caso lo segua, il movimento di Higuaín crea uno spazio al centro della difesa avversaria, che può essere occupato da uno degli esterni d’attacco o da un centrocampista; nell’altro caso, il Pipita viene in fascia a creare superiorità numerica.

 

Higuaín è completamente coinvolto nella manovra della squadra, Gabbiadini non ha creato occasioni né per i compagni né per sé: il solo tiro che ha scagliato verso la porta di Handanovic, su punizione, è finito sulla barriera (non per infierire nel confronto, ma vale la pena ricordare che Higuaín tira 5.7 volte ogni 90 minuti, una cifra mostruosa), e in tutta la partita ha toccato solo 17 palloni, persino Reina ne è toccati di più.

 


Per una volta i centrocampisti dell’Inter sbagliano i tempi d’uscita e vengono aggirati dal giro palla del Napoli. Mertens avrebbe bisogno dell’appoggio di Gabbiadini, per chiudere il triangolo e per poi lanciarsi in velocità alle spalle dei difensori. L’attaccante azzurro fa ancora una volta il movimento opposto; il belga giocherà il pallone corto nello spazio lasciato sguarnito, regalandolo agli avversari.


 

I movimenti di Gabbiadini sono stati quasi sempre in profondità: in questo modo, però, non ha allungato solo la squadra avversaria, ma anche la propria, e in questa fase della stagione la squadra sta faticando nell’accompagnare l’azione con molti uomini. La lunghezza media della squadra azzurra è stata di 31.6 metri, cioè molto corta, solo perché nelle situazioni di possesso palla (cioè per lunghi tratti della partita) ha costretto gli avversari in una sola metà campo, ma nelle transizioni, sia positive che negative, è apparsa una squadra lunga. Ma nel match di Coppa Italia del 19 gennaio, sempre contro i nerazzurri, il Napoli era rimasto addirittura più corto, con una lunghezza media di 29.2 metri, sintomo di una squadra più in salute.

 



Mancini ha individuato due debolezze nello schieramento avversario: da un lato, la possibilità di battere la tattica del fuorigioco costituiva un pericolo potenziale per la linea alta del Napoli; dall’altra la compattezza degli azzurri sul lato della palla avrebbe permesso l’isolamento del terzino avversario sul lato debole, costringendolo all’uno contro uno con l’ala in caso di repentini cambi di gioco. Di conseguenza Mancini ha scelto di partire col 4-2-3-1, con Icardi che andava ad attaccare la linea difensiva in profondità; Jovetic che andava a giocare corto, subito alle spalle del centrocampo avversario; Perisic che restava alto e largo, con compiti difensivi meno stringenti di quelli di Brozovic.

 

La posizione di Jovetic, in fase di non possesso, collideva naturalmente con quella di Jorginho, che almeno nelle prime battute è stato schermato dal montenegrino e tenuto fuori dal gioco, come era già riuscito a fare Thereau nell’ultimo Udinese-Napoli. Per le caratteristiche dei terzini, il Napoli tendeva a far uscire palla più spesso sul lato sinistro, dove Strinic saliva più in fretta del suo omologo, ma la costruzione bassa degli azzurri era minata da una buona organizzazione del pressing da parte dell’Inter.

 


Il meccanismo di pressing interista sulla costruzione dell’azione del Napoli: Koulibaly è in possesso di palla, Brozovic lo attacca restando sulla linea di passaggio verso Strinic; Icardi si pone a metà strada per evitare i retropassaggi su Albiol o Reina; Jovetic controlla Jorginho; D’Ambrosio sale altissimo a impedire la ricezione della palla ad Hamsik, con Medel che copre su Insigne alle sue spalle (gli ultimi quattro tutti fuori quadro).


 

Quando il Napoli riusciva a far salire il pallone, l’Inter si sistemava con un 4-4-1-1 basso, nel quale Medel e Kondogbia marcavano praticamente a uomo Hamsik e Allan. Chiuso al centro, lo slovacco del Napoli ha provato ad allargarsi per aiutare la salita del pallone in fascia; ma, pur in inferiorità numerica contro la catena formata da terzino, interno e ala, D’Ambrosio e Brozovic hanno lavorato alla perfezione. In particolare il croato, probabilmente il migliore in campo, ha concesso poco ai due avversari nella sua zona e ha avuto anche l’energia necessaria per supportare le ripartenze della propria squadra.

 

Quando Jorginho si è spostato più avanti sul campo e Jovetic non ha avuto la forza per continuare a seguirlo, il Napoli ha preso possesso del gioco a centrocampo e l’Inter è stata costretta ad abbassarsi ulteriormente. In particolare Hamsik e Jorginho hanno avuto la meglio in palleggio nel due contro due che si veniva a creare contro Medel e Kondogbia.

 

Ma anche in questo caso la circolazione del pallone è sembrata più lenta del solito; e gli azzurri hanno faticato a tenere le distanze reciproche costantemente strette. Un’impercettibile inerzia per la quale non si sono viste le proverbiali combinazioni veloci tra i quattro uomini che il Napoli era solito portare in zona palla. L’incapacità di lanciare un uomo in area mediante i triangoli palla a terra hanno costretto il Napoli a calciare da fuori; o a tentare improbabili passaggi filtranti, nessuno dei quali è andato a segno, perché controllati bene da una difesa già molto bassa a negare la profondità.

 

Poi è arrivato il secondo gol interista, che ha sfruttato la stessa falla del primo: Albiol è salito alto a prendere Jovetic, ma non è riuscito ad impedire che l’attaccante montenegrino si girasse; nel contempo i terzini, preoccupati dalla presenza delle due ali avversarie, non hanno stretto in mezzo a coprire l’uscita del compagno e sul lancio di Jovetic non c’era fuorigioco di Icardi; Koulibaly è rimasto piuttosto passivo e non è scappato all’indietro per frapporsi tra l’attaccante interista e la sua porta; Icardi ha servito Brozovic completamente solo, freddo nel beffare l’uscita di Reina con un tocco morbido.

 



Sarri ha cambiato due uomini dopo appena 5 minuti nel secondo tempo: Strinic ha lasciato il posto a Ghoulam, mentre Insigne ha fatto spazio a Mertens. La partita dell’attaccante napoletano non è stata positiva: pochi i palloni toccati (44, solo Gabbiadini fa peggio tra gli uomini di movimento) e nessun dribbling riuscito dei 4 tentati. Supportato in ampiezza da Ghoulam, ancora più aggressivo di Strinic, Mertens ha provato a rendersi pericoloso puntando il diretto avversario, che è riuscito a saltare però solo in un’occasione. Ma il Napoli ha confermato la tendenza del primo tempo anche nella seconda frazione: escluso il tentativo al volo di Callejón, nessun’altra conclusione è stata presa dall’interno dell’area di rigore.

 

Mancini ha reagito lentamente, ma ha indovinato il cambio: 18 minuti dopo l’ingresso di Ghoulam, ha inserito Biabiany, che ha seguito l’algerino a tutto campo riducendone la pericolosità.

 

Il cambio più interessante, però, è arrivato al ventottesimo della ripresa, quando Sarri, contestualmente all’ingresso di El Kaddouri, ha cambiato finalmente modulo passando al 4-2-3-1. La reazione di Mancini stavolta è stata immediata: con l’ingresso di Felipe Melo, l’Inter si è sistemata col 4-3-3, coprendo uomo contro uomo il triangolo centrale degli azzurri e controllando di fatto la partita nell’ultimo quarto d’ora.

 



Da sei giornate in campo col 4-2-3-1, l’Inter ha raccolto 13 punti su 18, e Mancini è forse arrivato all’Inter che aveva in mente. Una squadra innanzitutto molto forte fisicamente (16 duelli aerei vinti a 8, oltre a 17 contrasti vinti a 9), cattiva il giusto (il rapporto tra recuperi palla e falli fatti dei nerazzurri è stato di 3.25 contro il 5.27 dei partenopei), che lavora sui difetti degli avversari in entrambe le fasi e riesce a sfruttare il gioco offensivo sulle fasce efficacemente grazie alle continue sovrapposizioni dei terzini. Lo stato di grazia di Icardi, 7 gol dagli ultimi 9 tiri nello specchio, premia il lavoro di tutta la squadra.

 

Su queste

, già al giro di boa, avevamo individuato i due punti deboli del Napoli in un cammino fino a quel momento quasi perfetto: da un lato preoccupavano i pochi punti conquistati lontano dal San Paolo; dall’altro le rotazioni nella rosa a disposizione di Sarri sembravano già scarse. Nelle ultime sei trasferte il Napoli è stato sconfitto tre volte: oggi ha una media punti a partita di 1.65 nelle gare lontano dal San Paolo, cioè poco sotto la media di 1.67 tenuta dal brutto Napoli del secondo anno di Benítez.

 

La predilezione di Sarri verso un turnover scialbo si è accentuata ancor di più con l’uscita prematura dall’Europa League. Oggi la differenza nel minutaggio tra Dries Mertens, il dodicesimo uomo di Sarri, e il resto della squadra è abnorme: Insigne, il più sostituito tra i suoi in campionato, ha comunque giocato 1.513 minuti più di Mertens. Non c’è una differenza così marcata in nessuna delle altre squadre di vertice.

 

Il Napoli ha mostrato il più bel gioco del campionato per larga parte della stagione, ma ora dovrà attingere alle proprie riserve mentali e fisiche per chiudere al secondo posto. Ci sarà tempo poi, a bocce fredde, per analizzare le cause della flessione che è costata il titolo. Un premio che, almeno dal punto di vista tecnico e tattico, al netto dei problemi e dei limiti, e senza nulla togliere ai meriti e alla straordinaria impresa della Juventus di Allegri, la squadra di Sarri avrebbe potuto meritare.

 

 

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