Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Maurizio Gaddi
Cosa sappiamo di Lucas Paquetá
16 ott 2018
16 ott 2018
Pregi e difetti del centrocampista appena acquistato dal Milan.
(di)
Maurizio Gaddi
(foto)
Dark mode
(ON)

In maniera del tutto inaspettata, il Milan ha completato l’acquisto di Lucas Paquetá per 35 milioni di euro. Paquetá ha 21 anni e da almeno due stagioni si parla di lui come di uno dei migliori prospetti del calcio mondiale. Su di lui c’erano squadre del livello del Barcellona, del Manchester UTD o del PSG ma il lavoro di Leonardo, che aveva portato al Milan già Kakà, Pato e Thiago Silva, ha fatto la differenza.


 

Fino a pochi giorni fa, però, in Italia in pochi avevano mai sentito nominare Paquetá e per provare a conoscerlo tutti si sono fiondati sui video skills/goals di YouTube, farciti di dribbling e numeri che rimandano all’idea classica del talento brasiliano bello ed evanescente. Per capire che giocatore sia Lucas Paquetá è necessario togliersi dalla testa tutti questi video per provare a trovare la parte più originale e meno barocca del suo calcio.


 

Di certo neanche il paragone con Kakà - fatto anche da Marcio Amoroso - aiuta a capirlo. L’etichetta gli è rimasta appiccicata dopo una dichiarazione fatta dopo uno dei primi gol con la maglia del Flamengo: «ll mio idolo è Kakà». Kakà aveva però un altro passo, era più verticale e, insomma, era un altro giocatore. Eppure, almeno nei primi tempi, per Paquetá sarà difficile smarcarsi da quell’etichetta.


 

I problemi dell’adolescenza e l’esordio tra i professionisti


Lucas Tolentino Coelho de Lima deve il suo soprannome all’isola di Paquetá, dove è nato nell’agosto del 1997. È un nome che porta in modo fiero, per ricordare i momenti difficili della sua infanzia e i sacrifici che ha dovuto fare per diventare un calciatore. «Mio fratello era già al Flamengo e l'unica persona che poteva accompagnarci agli allenamenti era mio nonno. Lui si allenava alle 14, mentre io alle 19. Quindi dovevo andare al campo alle 10, aspettare lì con mio nonno, poi allenarmi, prendere l’ultima barca a mezzanotte, stanco, per arrivare a casa ormai distrutto. E il giorno dopo si ricominciava da capo, era duro, ma ne è valsa la pena».


 

Oltre ai problemi logistici, Lucas ha dovuto affrontare anche un ritardo nella crescita, qualcosa di simile a quello che è successo a Messi; a 15 anni era alto solo 152 cm e ha dovuto sottoporsi a una costosissima cura che gli ha permesso di crescere quasi 30 cm in 3 anni, consentendogli così di rimanere nel vivaio del Flamengo: «Siamo stati chiamati dai dirigenti della squadra e ci è stato detto che tecnicamente il ragazzo era al di sopra della media» ha raccontato la madre di Paquetá «ma non è maturato fisicamente, non ha forza». Quello è stato il momento in cui Lucas ha sofferto di più.


 

Ha esordito in prima squadra nel 2016 e il suo primo gol da professionista è arrivato a febbraio del 2017, nel campionato estivo Carioca, un vero capolavoro: il portiere del modesto Madureira esce con i piedi fuori dall’area, la palla arriva a Paquetá che lo supera con un pallonetto da 40 metri. Un tiro di prima, di interno, che somiglia a un’apertura di prima oltre la difesa che si infila sotto l’incrocio dei pali in quel modo beffardo che rende speciali questo tipo di gol. Reinaldo Rueda è stato il primo allenatore a farlo giocare con regolarità in prima squadra quando, a maggio del 2017 una serie di infortuni e convocazioni in nazionali, l’ha lasciato senza attaccanti di ruolo. A quel punto l’allenatore del Flamengo ha deciso di schierare Paquetá da falso nueve, nonostante il suo ruolo naturale, e che ricopriva regolarmente nelle giovanili, fosse più arretrato.


 

Già nelle prime partite è venuta fuori la sua classe, un lato intangibile del talento di un giocatore ma in qualche modo evidente. Un aspetto che ha a che fare più con l’esperienza estetica che col valore assoluto. Paquetá tocca il pallone in un modo elegante e leggero, come se fosse un naturale prolungamento dei suoi piedi, sa sempre dove si trova e qual è il modo migliore per nasconderlo agli avversari. In campo sfrutta questa abilità per saltare l’uomo con costanza nonostante non abbia certo una velocità esplosiva, a differenza ad esempio di Vinicius Junior, il suo ex compagno passato in estate al Real Madrid. Vinicius salta l’uomo con l’esplosività sui primi passi mentre per Paquetá il dribbling è un arte dell’elusione.


 



Uno dei tanti modi in cui Paquetá usa la sua tecnica per nascondere il pallone agli avversari.


 

Nel Brasilerao è tra i primi 20 per dribbling riusciti (1.8 per 90') e tra i primi 10 per falli subiti (2.7), ma non è il tipo di giocatore che si fa condizionare dopo aver subito un fallo o un colpo duro. Rueda ha continuato a dargli fiducia e lui riesce a trovare la rete sia nella finale della Copa do Brasil che in quella della Copa Sudamericana, anche se il Mengão perde entrambe le partite.


 

La transizione verso il centrocampo


La svolta nella carriera di Paquetá è arrivata all’inizio di quest’anno, quando Mauricio Barbieri - ex vice allenatore del club che ha guidato la squadra da marzo fino al 28 settembre – ha abbassato il suo raggio d’azione per sfruttare la sua tendenza associativa. Nel 4-1-4-1 usato dal Flamengo durante questa stagione Paquetá divide la zona centrale del campo con l’ex juventino Diego, e Gustavo Cuellar, mediano con compiti difensivi che garantisce copertura ai due giocatori più estrosi. La mossa ha prodotto uno shock positivo sullo sviluppo calcistico di Paquetá, che da mezzala ha avuto più spazio da prendersi davanti a sé, con e senza palla.


 

Barbieri - che ha portato la squadra al terzo posto a dodici partite dal termine del campionato ma è stato stranamente rimosso dal ruolo per far spazio a Dorival Júnior a fine settembre -, aveva in mente un progetto ambizioso, ovvero cercare di replicare in qualche modo il centrocampo del City nel Flamengo arretrando Diego e Paquetá come Guardiola ha fatto con David Silva e De Bruyne.


 

Il risultato è stato interessante: i due hanno creato un’ottima sintonia e sono riusciti ad armonizzare i loro movimenti per creare difficoltà alle difese avversarie; dato che Gustavo Cuellar non ha particolari abilità nell’impostazione, a turno uno tra Diego e Paquetá si abbassava per aiutare la costruzione della manovra, con l’altra mezzala che in automatico andava ad occupare, a seconda delle situazioni, lo spazio tra difesa e centrocampo avversari o il corridoio interno più libero.


 

È in questo contesto che è venuta fuori l’abilità di Paquetá nei movimenti senza palla e nella lettura delle debolezze delle linee avversarie; il suo movimento costante gli permette di creare sempre traiettorie di passaggio pulite per i compagni nella costruzione della manovra sulla trequarti. A questa abilità col pallone associa un grande tempismo negli inserimenti in area, con i quali è arrivata la gran parte dei suoi gol (12 in 57 partite ufficiali con il Flamengo).



Questi sono i movimenti tipici di Paquetá nella metà campo offensiva: dopo aver ricevuto palla è molto veloce a scambiare con il compagno, al quale propone una traccia interessante verso l’area di rigore prima di concludere con uno scavetto molto bello. 


 

I limiti più evidenti e i pregi più nascosti


Paquetà è un ottimo colpitore di testa e questo è uno degli aspetti del suo gioco che viene sottovalutato di più. Nonostante non sia particolarmente alto (182 cm) in questo Brasilerao è primo tra i centrocampisti per contrasti aerei vinti per 90' (2.7) soprattutto grazie all’ottimo tempismo. Sfruttando questo talento è riuscito anche a nascondere il suo principale difetto dal punto di vista offensivo, ovvero un tiro non proprio irresistibile (ma che per qualche ragione migliora da fermo). La maggior parte dei suoi gol è arrivata dopo degli ottimi inserimenti che gli hanno permesso di trovarsi davanti al portiere o grazie ai colpi di testa, soltanto in un’occasione ha segnato con un tiro da fuori area su azione.


 


Anche in questo caso Paquetà aiuta la squadra nella costruzione della manovra offensiva, poi quando si accorge che il terzino ha lo spazio per provare il cross si inserisce alle spalle dei difensori impegnati a marcare la punta centrale e segna di testa.



Nonostante l’enorme abilità nel saltare l’avversario con la sua tecnica, quando arriva nella posizione ideale per concludere da fuori non riesce a farlo con grande efficacia. Spesso però finisce per intestardirsi nel cercare il tiro da fuori - anche con il piede destro che non è proprio educatissimo – piuttosto che sfruttare la sua visione di gioco e l’abilità nel passaggio. Guardando come riesce a smistare il pallone in altre fasi, come ad esempio quando si abbassa nella costruzione del gioco, i 5 assist in 57 presenze sembrano pochi e su questo aspetto dovrà sicuramente lavorare tanto, anche perché è fuori dai primi 40 nella statistica dei passaggi chiave per 90' (solo 1.4). Sembra più un problema di scelte e di visione che di talento nell’esecuzione, vista la sensibilità tecnica.


 


Si abbassa per ricevere palla, con lo stop a seguire salta il primo difensore, con un bellissimo sombrero fa fuori il secondo, poi arrivato libero sulla trequarti prova un inutile tiro con il suo piede debole invece di dare tempo ai compagni di offrirgli una traccia.



Paquetá insomma è estremamente creativo quando deve dribblare ma non quando deve rifinire. Un aspetto che potrebbe penalizzarlo nel suo ambientamento in Europa, dove dovrà per forza diventare più essenziale.


 

Ad aiutarlo, invece, i miglioramenti difensivi che ha avuto nell’ultimo anno, e che ridimensionano l’idea di un talento tecnico e svampito. Paquetá è migliorato in tutte le statistiche difensive per partita rispetto al Brasilerao dello scorso anno: contrasti tentati (4.3 rispetto a 1.8), contrasti efficaci (2.7 rispetto a 1.4), passaggi intercettati (1 rispetto a 0.2) e palloni spazzati (1.8 rispetto a 0.3). Oltre ai numeri ciò che impressiona è la predisposizione al sacrificio e a utilizzare energie anche in fase difensiva.


 

Un attitudine che può far sperare bene Gattuso quando a gennaio Paquetá arriverà probabilmente al Milan e ci sarà da affrontare la prima grande questione: può giocare anche in Europa come mezzala o deve essere schierato in posizione più avanzata?


 

Al momento non esiste una vera risposta e difficilmente questi ultimi mesi in Brasile potranno fornire indizi validi sulla sua transizione verso un ruolo più arretrato. Il nuovo allenatore del Flamengo, Dorival Júnior, sembra intenzionato a proporre al posto del 4-1-4-1 di Barbieri il 4-2-3-1 e con questo modulo la collocazione naturale di Paquetá sarebbe dietro la prima punta, ma anche partendo da quella posizione emerge la tendenza naturale del brasiliano ad abbassarsi o muoversi verso l’esterno per giocare più palloni possibile.


 

Dopo la vittoria per 3-0 contro la Fluminense nell’ultima giornata del Brasilerao un giornalista ha chiesto a Dorival se continuerà a schierare Paquetá in una posizione più avanzata rispetto a quella ricoperta dal giovane brasiliano con Barbieri o lo riporterà verso il centrocampo; senza rispondere direttamente alla questione tattica il nuovo allenatore del Flamengo ha fatto intendere che è difficile racchiudere il suo stile di gioco in un ruolo definito: «Paquetá è un giocatore che ha caratteristiche importanti ed equilibrate. È bravo a segnare, combatte molto in campo e rifinisce come pochi nel calcio brasiliano. È molto simile a giocatori come De Bruyne o Modric per la sua mobilità e per il modo in cui partecipa all’azione sia in fase difensiva che in fase offensiva. È un giocatore equilibrato».


 

Paragoni che, invece che chiarire, confondono ulteriormente, ma che forse si avvicinano all'idea di un giocatore che si esprime al meglio nella consistenza e nelle cose piccole. I trick di Paquetá, insomma, sono uno specchietto per le allodole.


 


La mappa mostra i palloni toccati da Paquetá nella vittoria del Flamengo sulla Fluminense. La sua zona preferita è quella tra il centrocampo e la trequarti sulla sinistra, quella che nel Milan ricopre solitamente Bonaventura. (Fonte Espn Brasil).


 

Paquetá, insomma, è un enganche: un tipo di giocatore diffuso in Sudamerica ma di difficile collocazione in Europa, anche se negli ultimi mesi è diventato più completo di quanto fosse all'inizio. Sotto questo punto di vista è stato fondamentale il lavoro che ha fatto Barbieri su di lui, che ha aumentato notevolmente le possibilità di adattamento del brasiliano al calcio europeo. La sua spiccata attitudine offensiva limita al minimo le possibilità che possa diventare il tipo di centrocampista in grado di giocare in coppia davanti alla difesa o che possa convivere con un trequartista davanti a lui, ma proseguendo la sua crescita a livello tattico potrebbe diventare un’ottima mezzala di possesso capace di essere pericolosa anche in fase di realizzazione con i suoi inserimenti.


 

Negli ultimi decenni ci siamo abituati a vedere tantissimi giocatori offensivi sudamericani arrivare in pompa magna per poi sparire velocemente (ad esempio Ricky Alvarez, che condivide alcune caratteristiche con Paquetá), ma a differenza loro Lucas ha già iniziato un processo di europeizzazione di una base di gioco strettamente brasiliana. Ora spetta a Gattuso il difficile compito di riuscire a trovare la collocazione adatta a un acquisto che ha grandi potenzialità ma allo stesso tempo una forte possibilità di crollare sotto il peso delle aspettative e dei paragoni che lo accompagneranno a Milano.


 

 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura