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Foto di Pedro Pardo / Getty Images
Calcio Daniele V. Morrone 8 aprile 2017 4'

LPDC: Perché Paco Jémez ha fallito al Granada?

Lorenzo ci ha chiesto del tecnico ex Rayo Vallecano. Risponde Daniele V. Morrone.

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Quali sono stati secondo voi i motivi del fallimento di Paco Jémez al Granada?

Lorenzo

 


Risponde Daniele V. Morrone, il più grande esperto di Paco Jémez in Italia a sud di Orvieto.

 

Caro Lorenzo,
Nella struttura tattica di Jémez, quella elaborata soprattutto al Rayo Vallecano, la difesa deve essere veloce e per poter restare alta, a non più di 15 metri dai centrocampisti. Tutti devono poter giocare la palla per costruire un’uscita pulita (compreso il portiere) e il centrocampo in particolare deve poter tenere il possesso sotto qualsiasi tipo di pressione e ritmo.

 

I centrocampisti devono occuparsi principalmente di aprire con precisione sugli esterni, dove ci sono i giocatori di maggior talento e fantasia. Questi devono saltare l’avversario diretto con continuità e servire palloni in area. Una ricetta semplice, che con alcuni accorgimenti ha permesso al Rayo di poter essere una squadra dall’identità molto definita, brava ad esaltare il talento (dove persino il talento di Kakuta ha trovato un senso) all’interno di una struttura tattica forte.

 

Il suo Rayo era una squadra sempre votata all’attacco e al controllo del pallone (capace di battere il Barcellona nel possesso palla, per dire): se si deve lottare per non retrocedere è meglio farlo provando a vincere che a non perdere. Questa almeno l’idea di Jémez, nonostante alcuni studi statistici dimostrino il contrario.
Per dirla con le sue parole: «La mia missione come allenatore è che la mia squadra generi occasioni, poi a seconda del talento che abbiamo segneremo di più o di meno».

 

Grazie a questa struttura il Rayo andava oltre i limiti oggettivi di talento che la dirigenza metteva di fronte, ogni anno più forti. Un lavoro che ha funzionato per tre stagioni consecutive, segnati da piazzamenti a metà classifica. Poi nella quarta stagione la rosa era già di fatto da seconda divisione e non è riuscita ad andare oltre il 18esimo posto.

 

La sua idea di calcio fa innamorare ed è diventato un allenatore di culto nel calcio spagnolo (era anche uno dei candidati alla nazionale spagnola quest’estate) e il passaggio al Granada – appena acquistato da un gruppo cinese con disponibilità economiche – sembrava il naturale passaggio intermedio prima di una grande squadra. Jémez però è durato solo sei giornate a Granada: 2 pareggi e 4 sconfitte.

 

È evidente che qualcosa tra Jémez e la dirigenza deve essere andato storto in estate perché già a inizio campionato il tecnico era rimasto deluso dall’inversione di capitale promessa sul mercato che alla fine si era rivelato di soli 9 milioni per tre giocatori e tanti prestiti di giovani promettenti e giocatori in cerca di riscatto. La nuova dirigenza, evidentemente, era tanto ambiziosa quanto poco capace nel creare i presupposti di tale ambizione.

 

Jémez aveva a disposizione una rosa buona in teoria, ma non gli è stato dato il tempo per lavorarci davvero. 12 giocatori sono arrivati da altri campionati (di cui 9 senza conoscere lo spagnolo) e addirittura 6 sono arrivati nelle ultime 24 ore di mercato (dopo che Jémez si deve essere sfogato per i mancati acquisti). Una squadra costruita con talenti presi da mezzo mondo (chi in prestito dalla Premier come Boga o Pereira, chi dalla Serie A come Ponce o Gabriel Silva, chi addirittura arrivato da Israele e Ucraina) con tanti giovani senza quasi esperienza nel grande calcio e con le pressioni che ne conseguono.

 

Parliamo quindi di una squadra senza alcuna identità, dove Jémez non ha avuto terreno fertile per far attecchire le sue idee (l’unico che era già stato allenato da Jémez era Bueno, arrivato però nell’ultima ora di mercato). Era chiaro che con una rosa del genere servisse molto tempo, anche solo per capire i dettami di Paco Jémez, figuriamoci metterli in pratica in campo. E invece la dirigenza ha prima creato una rosa senza tenere conto della preparazione estiva e del tempo materiale di ripetizioni necessarie per imparare e poi ha messo pressioni all’allenatore per raggiungere risultati.

 

Ci si è messo anche il calendario, che ha messo davanti al Granada squadre già ampiamente rodate come il Las Palmas, l’Athletic Club, l’Eibar o l’Alavés. Dall’inizio il gruppo ha mostrato incomprensioni difensive, mancanza di ritmo nel possesso, poca efficacia in attacco e nessuna sensazione di riuscire ad andare oltre i propri limiti. Tutto il contrario di una squadra di Paco Jémez praticamente. Tanto è bastato per l’esonero visti gli attriti tra le due parti ormai fuori controllo. Dal suo nuovo lavoro in Messico, al Cruz Azul, Jémez ha così spiegato dei suoi rapporti con la dirigenza: «Con il presidente quasi non avevo relazioni, non veniva, stava in Cina. Ho avuto relazioni solo con le persone che stavano lì nel club, non era questo che mi era stato promesso».

La storia di Paco Jémez al Granada insegna come il calcio non sia una partita di Football Manager in cui basta mettere insieme i talenti giovani e un allenatore con le statistiche adeguate per vedere la squadra volare in classifica. L’allenatore ne è rimasto scottato perché si è sentito preso in giro ed è volato fino in Messico per rifiatare un po’ e la dirigenza cinese ora si ritrova una squadra che retrocederà in seconda divisione.

 

 

Tags : la posta del cuoreligapaco jemez

Daniele V. Morrone, nato a Roma nel 1987. Laureando in economia, amante del "calcio di posizione" di Cruijff e Guardiola, segue con attenzione l'evoluzione del calcio asiatico.

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