
«There’s a sporting director in Italy that says: you can make mistakes about your wife… but not about your striker and your goalkeeper». Molti di voi avranno già letto queste parole e ci avranno riso su, come i giornalisti ai quali erano rivolte. Come probabilmente saprete, le ha pronunciate Antonio Conte ai tempi del Tottenham, col suo inconfondibile inglese, colorato dalla raucedine e dalla cadenza salentina.
Che gli attaccanti siano il centro di gravità del calcio di Conte, non lo scopriamo certo oggi. La punta di Conte, in qualche modo, è l’ossatura stessa del gioco di Conte, un uomo chiamato a sobbarcarsi la fatica di passare gran parte della sua vita spalle alla porta o ad abbassare i difensori.
Era naturale, quindi, che anche quest’estate, dopo lo scudetto vinto, si parlasse di un nuovo centravanti per il Napoli. Romelu Lukaku, nella sua versione ormai trentunenne, l’anno scorso aveva rappresentato in essenza l’attaccante di Antonio Conte, quasi privo di qualsiasi sovrastruttura che potesse renderlo spendibile in altri sistemi di gioco: incaricato di potenziare i compagni prima ancora che di segnare, Lukaku chiamava lo scarico, giocava di sponda, apriva spazi, soprattutto per McTominay. D’altra parte, le possibilità fisiche del belga ormai erano ridotte, ma Conte sapeva ancora come usare a dovere un attaccante che aveva contribuito a migliorare così tanto nei fondamentali richiesti dal suo gioco.
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