Questa intervista è una versione estesa di quella apparsa su “La Repubblica” domenica 8 ottobre. Ringraziamo il giornale e l’autore.
Il racconto calcistico abituale difficilmente approfondisce le radici culturali del gioco, e anche i tentativi di partire dal calcio per raccontare altre storie spesso risultano semplicemente giustapposti. David Winner, giornalista e scrittore inglese, è riuscito però a superare questo limite con Brilliant Orange, libro sul calcio olandese che si svolge lungo una serie di idee-cardine che integrano, non giustappongono, dettagli tecnici del gioco ed excursus sull’arte e la società olandese.
Su tutte l’idea di “totalità”, la tendenza a pensare in chiave sistemica non disgiunta, ma anzi incoraggiata dalla creatività individuale. Quando si racconta della scuola architettonica di Amsterdam, in cui ogni elemento separato viene armonizzato come parte di un concetto unico, in realtà si parla anche del Calcio Totale dell’Ajax come unità organica che nasce da decisioni individuali che si compensano grazie all’intelligenza dei giocatori, squisitamente sistemica, nell’interpretare le relazioni spaziali reciproche.
La predilezione estetica per il passaggio filtrante come retta o curva che non solo delimita lo spazio, ma lo crea, favorendo l’attaccante, va invece in parallelo con la razionalizzazione del paesaggio strappato al mare dei Paesi Bassi, in cui naturale e artificiale si confondono in un “insieme di punti, linee e superfici, come in un dipinto di Mondrian”, secondo l’architetto paesaggista Dirk Sijmons.
In questo libro aneddoti, istantanee e divagazioni sono sparse, ma solo apparentemente, come il terzino che nell’Ajax si trovava di colpo a fare l’attaccante: tutte contribuiscono alla “totalità” del racconto, ma senza la rigidità di tesi chiuse, anzi mantenendo sempre viva la tensione dialettica fra libertà e ordine.
Come detto nell’introduzione, il suo è un libro sull’idea di calcio olandese. Tutte le caratteristiche salienti del calcio olandese sembrano infatti scaturire da un qualche pensiero astratto. Cosa rende differente l’idea di calcio olandese?
Il direttore dell’influente rivista Voetbal International mi disse che le mie opinioni non avevano valore perché non ero mai stato un giocatore professionista. Ho visto una recensione scritta da un lettore per una delle grandi case editrici olandesi, e lo puoi notare sempre più adirato. Appena arriva al capitolo “Death Wish”, sul perché gli olandesi perdono quando invece dovrebbero vincere (disastri ai rigori, liti interne, sottovalutazione degli avversari e così via) diventa furioso.
Ma nel corso degli anni, gli olandesi sembrano aver fatto loro ciò che ho scritto. Una delle cose più belle mai dette sul mio libro l’ha detta Ruud van Nistelrooy. Ha detto che da olandese leggere il libro è stato come guardarsi allo specchio perché “mostra cose su te stesso che non avevi mai notato prima”. Una volta poi mi sono imbattuto per caso in Wim Suurbier in un caffè di Amsterdam. Giocò nel grande Ajax e nella grande Olanda, ma non ci eravamo mai incontrati, né lo avevo mai intervistato, ma mi salutò come un fratello che non vedeva da tempo. Il libro è diventato parte del modo in cui gli olandesi vedono loro stessi. Quando l’Olanda sconfisse la Spagna 5-1 all’ultimo Mondiale De Telegraaf titolò in inglese “BRILLIANT ORANGE”.
Mi sono sempre chiesto perché un libro di questo tipo non l’abbia mai scritto un olandese. Credo sia un fatto culturale. Se l’Ajax dei ’70 fosse stato inglese ci sarebbero state dozzine di film e libri a riguardo. Ma questo perché gli inglesi tendono a vivere più di altri in un mondo di parole. L’olandese è una lingua più secca, più pratica, e gli olandesi non sono particolarmente inclini al filosofare, almeno nel senso che intendi tu. Se il Calcio Totale davvero fosse nato da qualche filosofia astratta, forse sarebbe stato un prodotto francese o tedesco.
Comunque, non si tratta di una distinzione fra astratto e non-astratto. Sono stato abbastanza fortunato da passare un po’ di tempo con Claude Lanzmann qualche anno fa. È stato istruttivo. Quando lo intervistai a proposito di “Shoah”commisi l’errore di iniziare con una domanda filosofica. Mi guardò come se fossi matto. Nutriva un assoluto disprezzo per ogni astrazione riguardo all’Olocausto. Il suo approccio era completamente differente. Era ossessionato da dettagli banali, ma questi ti portavano nel cuore della vicenda. Le sue domande erano del tipo: i treni della morte venivano spinti o tirati sopra la rampa a Birkenau? A quale velocità i furgoni del gas andavano nella foresta di Chelmno? Era ossessionato da questo tipo di cose. E diceva: “Anche questa è filosofia”. E aveva ragione, naturalmente.
Cosa predispone il carattere, la storia e la cultura olandese alla rivoluzione del Calcio Totale?
Per esempio, la prima volta che sono andato a Roma ero con un’amica che aveva preparato un pranzo semplice di pasta al sugo e una piccola insalata come contorno. La pasta era ottima. E allora, con nonchalance, io versai un po’ di insalata nel piatto della pasta. La mia amica rimase scioccata. Se avessi schiaffato un topo morto sul tavolo sarebbe stato meno inopportuno. Per tutta la settimana lei raccontò ai suoi amici quello che avevo combinato, e anche i suoi amici rimasero disgustati. Ma in Inghilterra servire l’insalata nel piatto “sbagliato” non è un errore. Insomma, c’è una differenza culturale interessante. Cosa c’è dietro questa differenza? Allora, per farla breve… ho finito con lo scrivere un libro sulla cultura gastronomica romana.
In realtà, è un libro sulle basi culturali in senso lato della cultura gastronomica. Questo mi ha portato a tuffarmi a capofitto negli insegnamenti della Chiesa, nel Satyricon, e Donizetti, i magnifici libri di Piero Camporesi, San Girolamo che pensa che il cibo sia male, Caterina da Siena che si autoinfligge torture, e il bizzarro cannibalismo dell’Eucarestia, e tutti i poveri romani che hanno sofferto la fame nel corso dei secoli. Poi scopri il “Balletto delle castagne”. E ti accorgi che il cibo nei film di Dario Argento è orribile, così gli chiedi perché e lui ti risponde che è perché è celiaco, e ti racconta storie fantastiche su Visconti, Leone, Fellini, Mastroianni e il loro rapporto col cibo. Poi Pasolini che ti porta a “La Ricotta”, che ti porta alle antiche rovine che a loro volta ti portano alla roba strana della Caffarella, così scopri che la tradizione gastronomica romana è sostanzialmente ebraica, così vai al Ghetto… e tutto questo comincia con un po’ di insalata nel piatto sbagliato. Il libro è uscito bene. Penso sia meglio di Brilliant Orange, in realtà. Ma va contro ciò che agli inglesi piace pensare dell’Italia. Gli inglesi credono che tutti gli italiani vivano in cima a colline toscane soleggiate e passano le giornate a mangiare cibo magnifico, a fare sesso fantastico e a cantare arie da Puccini… scusa. Mi avevi fatto una domanda sul calcio?
Un concetto chiave per comprendere l’idea di calcio olandese è quello di “spazio”. Come il grande Ajax reinventò il concetto di spazio nel calcio?
In Olanda, per un colpo di fortuna, sono capitati due personaggi straordinari nello stesso periodo. Rinus Michels, un ex giocatore diventato tecnico, che studiava il calcio di altri paesi, e Johan Cruyff, un ragazzo di Betondorp (che significa “villaggio di cemento”), un quartiere operaio lungo la strada per lo stadio dell’Ajax, che è stato forse il più grande genio naturale nella storia del gioco. Il piano iniziale di Michels era un 4-2-4 alla brasiliana. Gradualmente, sulla scia di ciò che Cruyff e gli altri facevano in campo, è evoluto verso un ultra-flessibile 4-3-3 con giocatori che si scambiavano le posizioni costantemente.
Tra il 1965 e il 1971, hanno cambiato tutto. Fu un processo collaborativo. Anche altri contribuirono. C’è un capitolo in cui personaggi chiave come il vice allenatore Bobby Haarms o Velibor Vasović, difensore jugoslavo, discutono su chi ha contribuito di più, se Michels o i giocatori. Provo uno strano sentimento: quando scrissi il libro, tutte queste persone erano vive. Ora non ci sono più.
Quali sono le radici culturali di questa maniera peculiare di concepire lo spazio?
Lungo il suo racconto si può percepire una tensione fra creatività individuale e sistema. Come gli olandesi sono riusciti a conciliare due idee talvolta in contrasto?
Sul campo non apprezzava le giocate a effetto o i dribbling, non ci crede. Ciò che lo preoccupava erano il movimento, la posizione, le trame del gioco e lo sviluppo di un’intesa quasi telepatica fra i giocatori. Invecchiando era sempre più preso dall’idea di creare l’assist perfetto per gli altri, o il passaggio decisivo prima dell’assist. Thierry Henry, che ha giocato anche con Zidane, Messi, Xavi, Iniesta e Ronaldinho, mi ha detto che Dennis era meglio di tutti questi. All’Inter non lo capirono. Volevano che giocasse in maniera individualista. Semplicemente dargli la palla e lasciargli creare i gol da solo. All’Inter preferivano Rubén Sosa. Un po’ come dire che la “Macarena” è meglio di Mozart.
Come vennero armonizzate creatività individuale e sistema dal grande Ajax e dalla Nazionale olandese?
Nella storia olandese, la propensione al pensiero astratto ha sempre implicato anche la discussione razionale di ogni tipo di autorità. Nel calcio, mentre da un lato Rinus Michels, il tecnico del grande Ajax, era noto per imporre una rigida disciplina, dall’altro lato “Calcio Totale” significò anche un certo grado di autonomia conquistato dai giocatori, fino al punto di arrivare a una gestione quasi cooperativa della squadra quando a Michels successe Kovacs. Qual è il lato politico del Calcio Totale?
Il gusto calcistico olandese implica un livello di intellettualizzazione la cui natura non è del tutto chiara. Se da un lato esalta l’arte di un Cruyff, dall’altro significativo è anche l’approccio dell’Ajax anni ’90 di van Gaal, dove “gli avversari non sono più nemici da sconfiggere in battaglia, ma piuttosto problemi da risolvere”. Il sofisticato calcio olandese è più calcio-arte o calcio-scienza?
L’intelligenza in Olanda è rispettata e premiata. I giocatori sono spinti a pensare in campo. Sono sempre stato affascinato da questo, perché non è la stessa cosa del “Joga Bonito” brasiliano. Non è nemmeno l’estetica argentina, tedesca o italiana. Ed è lontano anni luce dall’Inghilterra in cui la mentalità è più militaresca, e sono la passione, l’orgoglio e l’impegno a essere apprezzati per primi.
Qual è l’idea di bellezza tipica del calcio olandese? Lei afferma che sebbene affermino un’idea di calcio offensiva, gli olandesi non sono di certo i brasiliani d’Europa.
Come incarnò l’individuo Cruyff la rivoluzione del calcio olandese negli anni ’70 e quanto, retorica a parte, dell’eredità di Cruyff è rimasto nel calcio e nella società olandese attuale?