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Daniele Manusia e Francesco Pacifico
Lo Spogliatoio s02e19
06 mag 2015
06 mag 2015
Giocare bene contro gente forte, farsi prendere per il culo, sperare che un gol possa cambiare tutto.
(di)
Daniele Manusia e Francesco Pacifico
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Il Bayern è arrivato secondo nel girone A solo per lo scontro diretto con la prima: in totale su 17 match ne ha vinte 15, pareggiata 1 e persa 1. Questo era il demone da sconfiggere in semifinale. Rispetto all’anno scorso abbiamo fatto passi da gigante, e giochiamo più o meno alla pari contro squadre da cui ne avremmo presi minimo 10. Ma il Bayern non era la solita squadra di ventenni, eccelsi dal punto di vista tecnico e fisico ma egoisti e con scarso senso tattico. Quelli del Bayern erano tutti giocatori con la G maiuscola, venti-trentenni che giocano (o hanno giocato) a calcio, in forma e ben disposti in campo. Ne eravamo coscienti e abbiamo approcciato la partita con sana concentrazione. Il discorso di Daniele nel prepartita è stato il nostro nono giocatore per tutto il primo tempo.

 



Stretti, compatti, sempre in sintonia. Nel primo tempo abbiamo giocato al nostro meglio. Le due linee del nostro  4-3-0, elastiche ma vicine tra loro, ci hanno permesso di coprire bene il campo e di non rimanere schiacciati dal loro possesso. Siamo stati anche pericolosi in almeno un paio di occasioni. Il Bayern ha utilizzato a lungo un play basso con 3 difensori di ruolo, agevolando di molto il nostro modo di giocare. Daniele, da centrale difensivo, è riuscito sia a raddoppiare sui loro attaccanti che ad occupare lo spazio tra le nostre 2 linee, dando sostegno al centrocampo. Lo scoglio vero da superare erano i primi 10 minuti del secondo tempo, per questo nell’intervallo ho chiesto a tutti di dare il 100% non appena rientrati in campo.

 



Sullo 0-0 ho avuto un’occasione d’oro, su passaggio di VC al limite dell’area ho caricato frettolosamente e steccato il tiro. Poi è stata la volta di CF, con un tiro sparato molto oltre la traversa. Una delle punizioni al bilancino di TL ha fatto il pelo all'incrocio. Nel secondo tempo una diagonale di MG, a portiere ormai battuto, è rotolata a pochi centimetri dal palo. Dei tiri di TL e VC, nell’arrembaggio finale, alcuni sono usciti fuori di poco, altri sono stati neutralizzati dal portiere. Non ho mai afferrato come contro il Bayern quanto ogni partita sia la somma di momenti spaiati, di tanti piccoli bivi imboccati in un senso o nell’altro.

 



Il Bayern Monaco non ci ha concesso le solite pause che un incontro equilibrato ti lascia, intermezzi nei quali prendere fiato contro avversari dalla maglietta attillata tirata su fisici allenati, con i visi puliti e la sicumera in volto di chi ha finito il girone in cima alla classifica. Se poi questi conoscono anche la sacra arte della triangolazione veloce, allora c’è solo da corrergli dietro. La loro palla girava velocemente da una fascia all’altra con tre tocchi, spesso di prima. Il loro attaccante faceva la sponda fissa per le avanzate larghe, ma noi tamponavamo con una generosità degna del buon samaritano. Alcune nostre fasi di gioco ricordavano le battaglie di William Wallace di

nei prati verdi di Scozia, dove lui e la sua gente, caricata da discorsi, combattevano nemici dieci volte più grandi in numero e forza; mentre noi, sul verde posticcio di quarta generazione chiedevamo un anticipo di forze al nostro fisico, che poi si prenderà due o tre giorni per tornare integro. All’indomani di ogni nostra partita ci scambiamo messaggi in cui lamentiamo contratture, lividi e ginocchia che non articolano a dovere.

 



Mi sentivo in forma e la partita era così tesa che era difficile pensare ai miei demoni personali. Le gambe andavano e i chili in più servivano per dare sportellate agli avversari. Avevo ricevuto chiari compiti difensivi dal mister, anche quando giocavo a centrocampo: non farli arrivare al tiro era la mia priorità, poi se spingo anche meglio, ma tendenzialmente per quello ci sono due tra VC, GG e GDA sulle fasce, e sia TL che MG al centro. Forse il mio inconscio pensa questo quando al decimo dialogo con VC con un doppio uno due mi ritrovo al tiro dal limite, il primo tiro viene respinto dalla difesa e la palla torna sui miei piedi: perfetta per un siluro al volo che finisce alto sulla traversa. Me lo rinfaccerò per tutto il post partita, creandomi un nuovo demone.

 



Ben dentro il secondo tempo, in svantaggio 2-0, in affanno nel recupero e nella gestione della palla, quasi mai pericolosi, avevamo un solo vantaggio: loro pensavano di aver già vinto, ma noi sapevamo che non era vero. Quando facciamo sul serio il punteggio delle nostre partite si abbassa fino a diventare calcistico (playoff dello scorso anno: 1-0; 1-1; 1-1; 2-1. Quest’anno: 1-0; 2-2) e, proprio come nel calcio, nel nostro calciotto la sfida non è mai davvero chiusa, al massimo lo sembra. «Ci basta un gol e cambia tutto», mi ripetevo mentre venivo anticipato, perdevo contrasti, finivo a sbattere contro i loro pettorali. Un gol può arrivare sempre, un gol può non arrivare mai. Stavolta non è arrivato e quella consapevolezza di poter ancora vincere mentre l’avversario è certo di averlo già fatto è stata l’unica cosa della serata che mi ha fatto sentire in qualche modo superiore.

 



In questi due anni di tornei non sono mai stato pestato così chirurgicamente. Su un rinvio di MA, di spalle al loro difensore centrale, ho incassato in sincrono un calcio dietro al ginocchio e una spinta alla schiena senza che l’arbitro se ne accorgesse. In volata sulla fascia, un pestone in corsa sulla caviglia mi ha fatto sfilare via la scarpa dal piede. Quando ho rubato palla al loro terzino e puntato l’area, sono stato falciato da dietro. «Cerca di capire», ha detto il difensore. «Non potevo lasciarti andare». Quanto a falli non siamo stati da meno, ma mi ha impressionato l’accuratezza con cui quelli del Bayern distribuivano i loro, come tagliole nell’erba del Futbol imboscate nei posti giusti, e che scattavano al momento giusto.

 



A metà del secondo tempo mi ha tirato il polpaccio nello stesso punto di qualche settimana fa, sono dovuto uscire ma era già un po' che il Bayern mi aveva tagliato fuori dalla partita. Anziché il possesso elaborato del primo tempo, che li stancava e li faceva sbilanciare, hanno iniziato a giocare palle veloci per i tagli degli esterni, attaccando la seconda palla e impedendoci di uscire palla al piede dalla difesa. Avrei voluto fargli i complimenti per il cambio di strategia ma hanno iniziato a prenderci per il culo. Gli ho gridato che erano degli sfigati come noi, al capitano, che ha fatto la Primavera della Lazio (almeno così mi ha detto l'organizzatore), ho chiesto dove erano i suoi ex-compagni. Anche loro si divertono a prendere per il culo una squadra con l'esterno sinistro che in realtà è un giocatore di pallavolo?

 



Come previsto, a inizio secondo tempo il Bayern ha alzato il ritmo. Ma hanno anche arretrato il regista a centrale di difesa, che da quella posizione, salendo con la palla al piede e aggiungendosi all'altro centrocampista è riuscito a creare superiorità numerica nella mia zona. Nonostante ciò, il loro vantaggio è stato del tutto casuale: un calcio di punizione da posizione molto defilata, premiato dall’unico errore del nostro portiere MA. Abbiamo perso compattezza e lì a centrocampo, per la prima volta quest’anno, mi sentivo in balia del loro gioco. Mi sentivo solo e impotente. Anche questo sogno mi stava scivolando via e non sapevo cosa fare per resistere. Abbiamo provato a cambiare l’inerzia della partita con il 3-3-1. Sentivo la responsabilità di dover fare di più ma non avevo testa e gambe. E mi sentivo in colpa.  Abbiamo perso 3-0. Al fischio finale mi sono sdraiato solo a lato della panchina, completamente svuotato di tutte le mie energie.

 



La partita con il Bayern Monaco è stata l’unica nella quale non ho creato neanche una volta un pericolo nella metà campo avversaria. Ho giocato tutte e ventuno le partite di quest’anno, senza mai saltarne una, ma mai come contro il Bayern ho avuto una sensazione di impotenza. Loro hanno costruito e hanno fallito diversi gol, anche nel primo tempo, abbastanza facili. Zeman sulla loro panca sarebbe stato soddisfatto anche dello zero a zero visto come stavano giocando. Noi invece siamo arrivati sotto porta sempre di rimessa, sempre in inferiorità numerica: eravamo la provinciale che esce dal fortino in ripartenza. Abbiamo tenuto comunque il campo, in maniera ordinata almeno per un tempo. Poi, c’è stato l’arrivo dell’inevitabile, il primo gol su punizione, il due a zero poco dopo, e per me la partita è finita lì. Abbiamo preso il terzo perché ci siamo sbilanciati in avanti, e poco dopo e io e CF abbiamo salvato il quarto rocambolescamente, fra scivolate sulla linea e rinvii disperati.

 



Ho chiesto all’arbitro di recuperare il tempo che stavamo perdendo in un litigio nei pressi della loro area. Il capitano mi guarda irridente e mi dice che potremmo giocare altre quattro ore e non segneremmo comunque. Mi sforzo di ignorarlo, ma poi ci fanno il terzo e lui torna da solo sull’argomento: «Che chiedevi tu? Il recupero?», mentre un suo compagno sta rientrando lentamente col pallone sottobraccio e so che non posso provare a prenderglielo per battere in fretta, lui farebbe qualcosa di meschino, tipo nasconderselo dietro la schiena o allontanarlo. Questo mi innervosisce e un po’ mi delude, non sembravano degli stronzi. Penso che forse era il loro modo di sfogare la frustrazione per aver dovuto faticare, per battere gente come noi, molto più di quanto avrebbero voluto. Gli urlo che hanno vinto e stanno comunque rosicando. Anche se lo penso davvero suona ridicolo. A fine partita il loro terzino sinistro, che sembrava il più cattivo di tutti, viene da me e si scusa a nome di tutta la sua squadra. Lo ringrazio, lo saluto e poi incrocio il capitano, che mi sfila davanti senza salutarmi.

 



In motorino mentre tornavo a casa ho avuto una crisi di pianto. A dodici anni mi prendevano in giro perché quando la palla era lontana parlavo con l'attaccante che stavo marcando. Ero quasi sempre io a parlare, gli attaccanti non rispondevano. Poi ho iniziato a litigarci. Poi ho smesso, due settimane fa. Contro il Bayern ho giocato in silenzio, ho risposto dalla panchina quando ci prendevano per il culo e poi ho avuto una crisi di pianto. La nostra prestazione nel primo tempo avrebbe dovuto valorizzare anche la loro reazione nel secondo, ma invece ci odiavano. Non ho capito perché non ci hanno rispettato.  Perché avevamo meno talento di loro? In motorino ho capito che quelli del Bayern erano degli sfigati, ma io continuo a vivere con l'illusione di poter piacere a tutti.

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