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Daniele Manusia e Francesco Pacifico
Lo Spogliatoio s02e17
22 apr 2015
22 apr 2015
È iniziata la fase a eliminazione diretta, grandi gol, equilibri precari e insulti degli avversari.
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Daniele Manusia e Francesco Pacifico
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Sono entrato nell'AIK quasi un anno fa, verso la fine del torneo estivo. Ai playoff della scorsa stagione eravamo i perdenti annunciati e abbiamo vinto contro ogni pronostico. Quest'anno è diverso perché siamo arrivati al terzo posto del girone. L'asticella degli obiettivi si è alzata in maniera naturale, abbiamo fatto il salto di qualità, ma questi playoff sono comunque un'impresa. Sono uscito incolume da due anni di pugilato, ma mi sono “fatto” il setto nasale a 17 anni giocando a calcio con la squadra del liceo, una settimana fa mi sono aperto il sopracciglio a calcetto con la squadra del giornale in cui lavoro. Cinque punti chiusi sopra l'occhio e praticamente non ho giocato gli ottavi. Ho dato pochi cambi, in panchina guardavo con la speranza che i miei compagni vincessero la prima partita da dentro o fuori.

 



La strategia era quella di studiarli per i 7 minuti iniziali, fino al nostro primo cambio. Daniele aveva raccolto due indiscrezioni su questo Liverpool: portiere forte; centrocampista centrale uomo chiave. Il portiere non saprei dire se fosse forte, del centrocampista centrale mi sarei dovuto occupare io, «come fanno con Pirlo», ha detto Daniele. In assenza di Francesco, in viaggio di nozze, dovevo fare io il centravanti, ma giocando

a centrocampo. Seguire il loro play in marcatura, dare profondità, ma anche fornire un appoggio per far risalire la squadra. In pratica ho finito per fare da collante tra la squadra e me stesso.

 



Dopo i primi minuti di gioco, mentre coprivo una palla diretta in fallo laterale, il loro terzino mi si è incollato dietro; la palla era già oltre la linea quando ho sentito una fitta alla coscia, e ho capito che mi aveva dato una ginocchiata. Allora ho compreso che quella col Liverpool sarebbe stata una partita fisica e ho fatto il gesto mentale di abbassare la visiera dell’elmo. Ho cozzato col numero 7 e col numero 8, i più agili e attaccabrighe dei loro. Il numero 5 era enorme, mi ha dato una manata sulla schiena, io gli ho rubato alcuni palloni zappandogli sui piedi. A fine partita mi sono accorto di avere il polpaccio escoriato, una striscia spellata via da non so chi, né quando.

 



Prendere il tempo al tuo avversario è tutto se vuoi fare gol su un inserimento dalle retrovie. Dopo qualche minuto di gioco TL, aka il “sinistro migliore di Roma nord”, tiene palla largo, sulla fascia opposta alla mia che gioco a destra. Alza lo sguardo, è il segnale che aspettavo: prendo il tempo al mio giovane marcatore puntando il secondo palo, quello a me più vicino. La palla di TL disegna una parabola in aria che si dirige esattamente dove l’allenatore metterebbe la X sugli schemi, mentre corro alzo lo sguardo verso la palla e la perdo per colpa delle luci dei riflettori. Continuo a correre, ho un metro di vantaggio sul mio avversario, come un running-back arrivo dove TL, in versione quarterback, mi aveva dato appuntamento, ma sono leggermente in ritardo per il colpo di testa e leggermente in anticipo per calciare. Che c’è nel mezzo? Una bella ginocchiata. Basterà a fare gol, penso. È bastata.

 



Dopo l'1-0 ho dato un'indicazione: «Abbassiamo il baricentro e facciamoli uscire». Erano più atletici (leggi: giovani) e avrebbero aumentato il ritmo, io volevo farli stancare, coprire il centro, e ripartire. Ma non ho mai detto: «Spazzate ogni pallone che recuperiamo». Quella è un'informazione arrivata dal campo con cui abbiamo dovuto fare i conti: non riuscivamo a costruire un'azione con la palla a terra. MG è finito a fare la boa, qualche contropiede, molta sofferenza. Un'ottima difesa che mi ha lasciato con un livido sulla coscia sinistra che mi blocca tutto il muscolo, un altro sulla parte interna del ginocchio destro che sembra la galassia che tenevo come sfondo del desktop del mio primo pc. Il loro numero 8 ha passato il secondo tempo dicendoci che eravamo scarsi: «Lo vedo da come battete i falli laterali». Io avevo promesso che non avrei litigato con nessuno e ce l'ho fatta pensando a quanto avrebbe rosicato l'8 a fine partita. A metà della ripresa erano più stanchi di noi, ho cominciato a sentirmi sereno come un pugile chiuso in guardia che capisce il braccio del suo avversario comincia a scaricarsi. Abbiamo rischiato solo su una mischia in cui l'arbitro avrebbe potuto fischiare rigore, e un tiro alto uscito da un rimpallo. Sul piano del gioco non sono deluso dalla “mia” squadra, anzi, la mia filosofia è che gli altri saranno anche più forti, ma noi possiamo comunque vincere.

 



Il loro playmaker una marcatura a uomo non se la meritava. All’inizio non si capiva neppure chi fosse, anche perché sono partiti pure loro con il 4-2-1. Dopo il nostro gol sono passati al 3-3-1 e noi ci siamo asserragliati a difendere il vantaggio per più di tre quarti della partita. Ho cercato di disturbarli quando impostavano da dietro e di allungarli e creare spazio quando il pallone ce l’avevamo noi. Nella solitaria fatica dell’unica punta, l’assenza del fuorigioco è un sollievo e io ne approfitto per deformare la loro difesa, mettendomi oltre la linea. Spesso parto da sinistra, mi segue il loro terzino destro, a quel punto mi trasferisco in area e poi arrivo sull’altra fascia, o se c’è lo spazio torno indietro chiedendo la palla sui piedi. Che stanchezza.

 



«Domani ho italiano la prima ora: che palle», fa uno spettatore a uno dei nostri avversari prima di entrare in campo. Puzzano di gioventù: questi sono i nostri avversari, giovani, giovanissimi corridori molto suscettibili, sempre pronti a litigare. Noi invece abbiamo il lavoro, la famiglia e qualcuno pure i figli. Io le ho tutte queste cose, quindi se uno di loro cerca di prendere la palla mentre ce l’ho in mano, per prendersi la punizione o il fallo laterale, io mi giro e gli vengo muso a muso. E occhio: io ho la barba. Stai proteggendo la palla verso l’out con il corpo per buttarmi addosso alla rete? Bene, ti abbraccio e ti scaravento addosso alla rete assieme a me. E poi appena mi sfiorano chiamo fallo, sempre. Lo faccio perché voglio prendere tempo, rifiatare, farci salire. Qualcuno dei miei compagni mi prende in giro per questo, mi paragonano a Totti, ma io so che guadagno qualcosina con l’arbitro facendo così.

 



Oltre Francesco in viaggio di nozze, ci mancava LD, che si è stirato per bene una ventina di giorni fa e potrà rientrare solo a maggio. È juventino, penso a lui che ci guarda come Pogba guarda i suoi sperando che lo portino in finale di Champions, quella vera, per giocarla. Lui è il nostro Pogba, senza un vero ruolo, tanto talento, giovane. I ritmi della partita erano altissimi, il vantaggio ci ha portato a difendere e quando arretriamo alziamo un campo di forza a protezione della porta, uno schermo che regge l'urto dei colpi avversari respingendo ogni loro tentativo. C'è un quadrato invisibile sul campo nel quale nessuno può entrare, costi quel che costi. Compatti e uniti, spalla a spalla. Todos juntos, non si passa. Ai quarti, allez. C'è il Monaco. Di nuovo ritorna la Juve, ma questo di Monaco l'anno scorso è arrivato in finale. Un nuovo boss di fine livello per l'AIK, in questo videogioco che speriamo infinito, ma che prima o poi finirà.

 



Ho l'impressione che dopo

ALZ (la cacciata che non voleva essere una cacciata) e i contrasti tra Daniele e GG, nelle ultime settimane ci siamo stabilizzati. Un equilibrio precario ma che tiene. Siamo stati una piccola famiglia stretta intorno a Francesco per il suo matrimonio, ci siamo coordinati per regalargli il pallone con le firme della squadra. Lo spirito di squadra si vede anche da cose come questa. O dal fatto che nel mio borsone nuovo di zecca (prima venivo al campo con lo zaino e i miei compagni mi criticavano) c'è finalmente lo spazio per il regalo che mi fece VC un paio di mesi fa, per il mio compleanno: il suo iconico tappetino pieghevole da spogliatoio.

 



Ci siamo comportati in maniera orribile con ALZ, anche se abbiamo discusso a lungo su come era giusto comportarci. ALZ adesso ci odia a ragione come i nostri avversari. Ho saputo dall'organizzatore che si lamentano di noi, VC ha fama di provocatore e rissaiolo, su di me non ha detto niente forse per amicizia, ma quasi tutti escono dal campo insultandoci, a denti stretti o ad alta voce. Il capitano del Sassuolo era diventato nostro amico dopo aver giocato contro lo scorso anno, ci scrivevamo e ci vedevamo ogni tanto, ma dopo la partita di ritorno di poche settimana fa, in cui ero fuori controllo, io mi vergogno e ho l'impressione che lui sia sparito. A volte è difficile anche per noi vedere il senso di queste partite.

 



La sera prima del matrimonio di FP abbiamo festeggiato in un locale nei pressi di un campo di calcetto, illuminato tra i palazzi di Roma sud. Eravamo tutti tra il secondo e il quarto drink quando abbiamo chiesto a dei dodicenni di sfidarci. Il gestore del campo non voleva lasciarci giocare e non ho capito bene come abbiamo fatto a convincerlo. Chi erano e che ci facevano lì quei bambini, alle undici di notte (avevamo iniziato a bere presto)? Perché il campo era acceso? È durata forse un quarto d’ora, abbiamo pareggiato e tirato i rigori, quello decisivo l'ha tirato di punta FM, futura sposa di Francesco. Alla fine un bambino ha detto a un altro: «È stato er giorno più strano della vita mia». Non ho idea di che cos’altro gli fosse successo nelle ore precedenti.

 
 

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