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Daniele Manusia e Francesco Pacifico
Lo Spogliatoio s02e03
02 dic 2014
02 dic 2014
In questa puntata del nostro diario da un torneo di calciotto a Roma: il complesso di Walter White e avversari mantenuti, ritardi, pioggia, il bisogno di giocare sempre e comunque.
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Daniele Manusia e Francesco Pacifico
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A tavola dopo la partita GG diceva che l'arbitro non mi aveva espulso solo perché mi conosce da troppo. Anche il resto del tavolo rideva, io stavo ancora male per la partita e ho chiesto: “Ma perché, scusa, che ho fatto?”. A quel punto AD, il portiere nuovo che mi conosce appena e che per il resto della cena è stato più che altro spettatore, è scoppiato a ridere, ma non era una battuta. Poi AD ha detto che lui in campo non si era divertito stavolta. Abbiamo cambiato pizzeria perché la settimana scorsa in quella in cui andavamo ci hanno fatto pagare gli amari: avevano già fatto il conto senza che lo chiedessimo perché stavano chiudendo e quando abbiamo chiesto gli amari hanno avuto la faccia tosta di portarci uno scontrino a parte. Scherzando dicevamo di portare lì le coppe vinte dall'AIK finora, tipo sede sociale, ma per noi è importante avere un posto nostro dove andare dopo le partite. Dopo la cosa degli amari però eravamo tutti d'accordo che fosse il caso di cambiare, per cui stavolta siamo andati in un posto carino, poco "nostro", ma almeno abbiamo fatto bella figura con le fidanzate che ci avevano accompagnato (la mia e quella di VC) e che avevano preso freddo e pioggia al campo (oggi hanno entrambe il torcicollo).

 


Venivo da un appuntamento a Tor Fiscale, Roma Sud, Tuscolana, alle sette. Sono passato a prendere GDA a venti minuti di macchina da lì, davanti a un centro commerciale, sotto la pioggia. Mandavo foto ai compagni in cui mostravo le luci natalizie del centro commerciale e il fatto che ero al volante con la maglia dell’AIK perché sapevo che avrei fatto pelo pelo coi tempi visto che mi ero incaricato di prendere il nuovo portiere, AD, ormai sostituto fisso di JL, che non può mai. AD lavora a Prati e non ha mezzi suoi perché vive a Roma da poco. Niente, sotto il diluvio attraversiamo Roma, da casa di GDA a Prati sono venti chilometri se passi dalla Tangenziale, e facciamo i venti km. Arriviamo a venti minuti dalla partita e pioviggina, sta smettendo, AD deve finire una cosa in ufficio, dice scendo tra due minuti, invece ce ne mette più di dieci, e io mi levo la tuta, sono in pantaloncini con sotto la calzamaglia sportiva, mi infilo gli scarpini, tolgo il cappotto e faccio il riscaldamento sul marciapiede. Tutto pur di giocare.

 


Sembrava non dovessimo giocare, la partita prima era iniziata con un'ora di ritardo perché gli organizzatori avevano fatto casino e poi si erano anche spenti i riflettori per la pioggia (tre volte, e ogni volta ci vuole un quarto d'ora perché si riaccendano). Gli avversari non volevano giocare perché il giorno dopo avevano scuola (uno di loro deve avere la scuola parecchio lontana perché diceva di doversi svegliare alle cinque). Ho provato a convincerli indicando ALZ e dicendo che lui a casa aveva un figlio piccolo, poi ho sbroccato all'organizzatore perché il casino lo aveva fatto lui. Francesco era venuto vestito da calcio al campo e a un certo punto ha detto: “Se non si gioca devo rompere qualcosa”. Anche l'arbitro voleva andarsene e diceva che la fascia destra secondo lui era impraticabile. Alla fine abbiamo giocato perché l'organizzatore ha minacciato gli avversari di dargliela persa a tavolino.

 


Ho detto ai ragazzini varie cose mentre aspettavamo tra il campo e gli spogliatoi, tutti assembrati. Ma la cosa ridicola è che avevo così paura di non giocare che non riuscivo ad affrontarli di persona altrimenti mi arrabbiavo troppo e poi non giocavano. Ho detto: “Se non volete giocare allora significa che il calcio per voi non è importante come per noi”. E: “Voi non capite, se io non gioco stasera mi devo ammazzare”. Poi sono andato dietro la costruzione che ospita gli spogliatoi e ho fatto cadere una scala alta sette metri che era appoggiata alla parete. Ho anche tirato una bottiglia di birra raccolta per terra, ma ha sbattuto contro la rete e ha fatto un suono tondo senza rompersi. Cosa per cui sono stato molto preso in giro da AI, il fotografo, e da FS, accompagnatore. Li ho abbracciati: avevo davvero bisogno di giocare. In questo periodo gli impegni professionali serali stanno raggiungendo quote-vita troppo alte, e mi pare di fare troppe rinunce a fronte di pochi risultati. Poi: la prima di campionato ero a Bologna, la seconda ho lottato contro la febbre mentre la sera prima avevo una presentazione a Roma, la terza, questa di cui stiamo parlando, arrivo e il campo ha i riflettori difettosi: e io il giorno dopo devo andare a Milano.

 


Mi capita di non avere un'idea certa di me stesso e di pensare che farei prima a chiedere alle persone che mi conoscono chi sono davvero. Che magari uno sconosciuto ha un'idea di me più vera di quella che ho io. Mentre gioco perdo il controllo e mi allontano dall'immagine a cui vorrei corrispondere (quella del leader saggio e carismatico che piace a tutti e ha sempre ragione). Con la mia ragazza a casa guardiamo spesso una trasmissione francese su crimini complessi e sono rari gli assassini che riescono a riconoscere di essere dei veri assassini. Quelli che strangolano le donne confessano di averle fatto sbattere con la testa su un angolo del letto, pur di non ammettere di aver ucciso sapendo che avrebbero ucciso. I sadici stanno muti, in tribunale diventano opachi come pezzi del mobilio, oppure parlano della propria madre che non li ha amati abbastanza. Ho paura di non poter conoscere l'estensione dei miei difetti, di approfittare delle persone a cui voglio bene, di essere un coglione, di non essere bravo a fare quello che amo, di essere un patetico trentenne coi capelli bianchi che rosica giocando contro i ragazzini. Come quel momento in cui Walter White prende coscienza di se e dice “I'm the one who knocks”. Solo che io ho paura di realizzare, un giorno: “Sono io la merda”.

 


Come dice Daniele, metà dell’esperienza del calcio è arrivare al campo. Per il resto, stavo sotto aspirina e ricostituenti da una settimana, ero debole e ho giocato male, senza gambe. Abbiamo segnato tre gol da palle ferme: un angolo e due punizioni. Ho solo fatto la mia parte sul secondo gol, la prima punizione di Daniele, spostandomi e spostando il difensore per far passare la palla dove il portiere non vedeva.

 


Una doppietta su punizione non mi era mai successo, entrambe da centrocampo, facendo schizzare la palla su un palo, sfruttando i blocchi di Francesco e GDA (che ha segnato il vantaggio di testa su calcio d'angolo, schiacciando la palla perché giocava a pallavolo). Forse sulla seconda c'era fallo sul portiere. Prima di batterla ho perso, non lo so, un minuto a chiedere all'arbitro di far indietreggiare la barriera. Non avevo chiesto la distanza e avrei potuto calciare mentre il portiere era sul palo, mi sono sentito buonissimo a non farlo e quando la barriera è avanzata di un passo mi sono impuntato. Alla fine ho vinto io e sono indietreggiati, poi ho segnato e i due in barriera mi hanno battuto le mani come se avessi fatto qualcosa di scorretto.

 


Ma questa partita era fatta di allegrie fra noi e gli amici in panchina: EV, la nostra prima illustratrice, MS, la ragazza di VC, e AI e FS. AI si aggirava assurdamente per il campo facendoci le foto, non voglio sapere cosa può pensare un avversario di una cosa simile. Il momento più alto della mia partita è stato sbroccare al portiere, che aveva credo proprio la metà dei miei anni, perché mi aveva dato uno spintone da dietro correndomi addosso perché un campanile dalla mia difesa stava arrivando proprio dov’ero piazzato io. Allora ho fatto la cosa da matto che pensa: ho lottato lealmente con il difensore che mi marcava, ci siamo menati tutta la partita stringendoci la mano quando occorreva, ora arriva questo scemo che mi infila due pugni nella schiena mentre guardo per aria che arrivi il pallone. Mi sono voltato e l’ho minacciato, gli ho chiesto che pensava di fare. Quanto è liscia la faccia di uno che ha la metà dei tuoi anni. Quanto capisco come mai mi danno tutti del lei ovunque vado. I compagni sono impazziti, Daniele ne ha tenuto lontano uno tenendolo per il collo. Io sono andato dall’arbitro e gli ho detto che il cartellino giallo ci stava per il mio fallo di reazione. L’arbitro ha insistito che mi doveva ammonire, poi ha detto che lui non ha i guardalinee quindi non poteva vedere, da centrocampo, se quello mi spingeva.

 


La mia partita è finita dopo la seconda punizione. Ho perso la palla del 3-2 perché su un rimpallo sono arrivato troppo carico per spazzarla in Tangenziale, spazzarla insieme al piede di chi avesse osato venire nel contrasto, invece l'ho lisciata e hanno segnato. Poi ho fatto il coatto con il 7 avversario che era tutta la partita che chiedeva fallo, rigore, ammonizione, espulsione e si era anche lamentato con l'arbitro del fatto che LD giocava con gli occhiali. Gli ho stretto la faccia in una mano e l'ho minacciato. Era insopportabile, persino GDA ha rosicato con il 7, e GDA è Sulley di

. nessuno l'ha mai visto sul serio arrabbiato e per questo faceva paura. Quando su un angolo l'ho visto entrare in area ho detto a GDA: “Mi meni il 7?”. GDA ha annuito. Ci hanno assediato e abbiamo resistito entrando su ogni pallone con una determinazione eccessiva e ammirevole. A fine partita mi sono avvicinato alla loro panchina e ho detto: “Avevate ragione voi, era meglio non giocare. Però è andata così, accettate la sconfitta”. Il portiere che aveva litigato con Francesco mi ha chiesto: “Dimmi la verità: potrei essere suo figlio, vero?”. Un altro mi fa: “Prendete le vostre mogli e andate a casa”.

 


Non ho fatto gli ultimi cinque minuti, tanto avevo le gambe leggere. Sono stato in panchina a tifare con gli altri. ALZ mi ha snobbato quando mi sono avvicinato a lui contro la rete: era arrabbiato per quanto abbiamo fatto casino con l’arbitro, fra noi, e con gli avversari. Io lo trovo divertente, o quantomeno necessario, secondo ovviamente quanto sono frustrato quella settimana, e la settimana scorsa lo ero. Anche questa: vediamo che succede mercoledì. Dalla panchina ho urlato al loro 7, che mi pareva un moccioso strafottente. Gli ho urlato: “Setteeee, setteeee”, e siccome non si girava ho concluso con “ascemooooo”. Poi ho urlato al portiere: “Portiè! È colpa tua che non vi hanno dato sto rigore!” Perché era il suo fallo a me che aveva convinto poi l’arbitro ad arbitrare in nostro favore. Alla fine gli ho anche urlato: “Amantenutooooo”. I compagni mi hanno detto che lui manco saprà cosa vuol dire mantenuto.

 


Non sono riuscito a iniziare la rubrica come al solito la sera stessa o il giorno dopo. Mi sono scritto con FV, capitano del Sassuolo, che avevo incontrato al campo. Ho chiesto a Francesco se sono una merda, ho chiesto anche a FS che era venuto a vederci giocare per la prima volta. Non riesco a vedere il mio percorso e a me piacciono i percorsi. Al bagno tengo un libro di citazioni di

e sulla quarta di copertina c'è una descrizione bellissima: “A narcissistic self-promoter who eventually became a man of enduring spirituality through a journey of formidable test”. Quando siamo tornati a casa all'una di notte c'era una chiave spezzata nella serratura del portone. Ho iniziato a citofonare ai vicini, poi a tutto il palazzo, poi ho preso a calci il portone di ferro e vetro. A qualche decina di metri da noi c'era un tipo con una pettorina, credo, della polizia, che provava a svegliare un barbone con la punta del piede. Nessuno aveva risposto al citofono e pensavo che saremmo dovuti andare in un albergo a ore. La mia fidanzata ha preso una forcina, l'ha deformata per infilarla nella serratura e ha fatto uscire il pezzo di chiave incastrata.

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