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Daniele Manusia e Francesco Pacifico
Lo Spogliatoio s02 e13
14 mar 2015
14 mar 2015
Differenze tra circoli e scarpini, gente esclusa, Better Call Saul.
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Daniele Manusia e Francesco Pacifico
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In queste ultime settimane abbiamo preso una decisione: stabilire che c’è una differenza fra il gruppo di amici che si è creato da quest’estate in qua e chi viene a giocare e basta. Abbiamo messo al margine ALZ, che gioca da anni con noi e si è visto arrivare in squadra, l’estate scorsa per il torneo estivo, persone come VC, GG, MG, CF, che portando in squadra tanta voglia di bere e mangiare e usare WhatsApp hanno reso impossibile ad altri, specie ai padri di famiglia come il vecchio capitano FC, di sentirsi parte del gruppo.

 

Abbiamo allontanato ALZ male, chiudendo da un giorno all’altro il gruppo Facebook delle convocazioni e stabilendo unilateralmente il principio che se noi otto amici ci siamo tutti, ci serve solo il portiere (di recente, il grande MA, anche lui pescato tra i lettori) e un decimo per fare in tutto due cambi. Tra noi abbiamo litigato per tutta la settimana: qualcuno era contrario al modo in cui si era svolta la cosa.

 



È la vittoria più larga di sempre in un torneo da quando faccio parte dell'AIK. È arrivata nella settimana in cui abbiamo fatto una scelta difficile quanto necessaria, quella di valutare chi convocare in aggiunta a "noi", per una volta tutti abili e arruolati. Abbiamo marcato la differenza tra chi è dentro al clan e chi invece è un componente "esterno", marcando la parte finale di un processo evolutivo inarrestabile. L'aver segnato un limite ci ha definito, ci ha permesso di riconoscerci.

 

Sul campo per oltre cinquanta minuti abbiamo dominato come non mai. Verso la fine della partita dalla fascia destra mi sono scoperto osservare compiaciuto i movimenti e l'azione dei miei compagni. Niente accade per caso. «Non ci si può aspettare che gli studenti lavorino come una squadra solo perché sono stati messi in gruppo». Lev Vygotskij.

 



Giocare al Fubtbolclub, zona Villaggio Olimpico, ci fa sentire molto più giocatori rispetto a quando giochiamo al Mirage, zona Tor di Quinto, dove sembra di giocare nella Terra di Mezzo, orfana però di hobbit e folletti (che, forse, ci guardano nascosti nelle sterpaglie). Al Mirage il campo è sempre mezzo illuminato, i fari sono bassi e i fasci di luce diradati, mentre al Futbol l’illuminazione ti fa sentire in campo nel posticipo serale di Sky. Al Mirage il campo è stretto ma lungo, al Futbol invece è corto ma largo. Al Mirage il bar è vecchio, l’acciaio del bancone è rigato e c’è il Corriere dello Sport spiegazzato e buttato sull’unico tavolo di plastica che compone l’arredamento. Al Futbol il bar ha l’aspetto moderno, il bancone è sempre lucido, e ci sono gli sgabelli trendy dove sedersi, sorseggiando un gin tonic di fronte alla vetrata che dà sul continuo viavai verso i campi. Al Mirage c’è il Tevere a cento metri e il campo è fiancheggiato dalla ferrovia laziale, i cui treni ti superano in velocità quando corri. Al Futbol c’è l’Auditorium a pochi passi e, quando Vasco Rossi suona all’Olimpico, l’eco delle note arriva fin sui campi. Al Mirage gli spogliatoi sono piccoli prefabbricati rialzati da terra, al Futbol gli spogliatoi sono in muratura, caldi e ampi: ci si cambia tutti assieme.

 

Al Mirage se vuoi rimanere a cena dopo la partita c’è la pizza al metro, con la margherita servita con l’origano da mangiare in una sala dai colori freddi e dall’arredamento vintage. Al Futbol c’è la sala grande con tavoli e sedie di design, e puoi ordinare l’hamburger al piatto (e fra un mese ceneremo in terrazza all’aperto, godendoci la quiete del Villaggio Olimpico e il frinire dei grilli). Al Futbol c’è il negozio dello sponsor della Roma dal passaggio obbligatorio, al Mirage al massimo compri una lecca lecca al bar. La strada per arrivare al Mirage è sconnessa e piena di buche, si percorre a passo d’uomo e quando piove sembra di fare il Camel Trophy. Al Futbol ci si arriva velocemente, si esce dalla tangenziale e ci si acclima guardando le altre squadre giocare su via dei Campi Sportivi. Al Mirage oltre la recinzione c’è il buio pesto, al Futbol c’è la tribuna con le assi in legno molto larghe e la copertura, buona per la pioggia d’inverno e per il sole d’estate. Al Mirage stiamo sempre a chiedere all’arbitro o alla panchina quanto tempo manca alla fine, al Futbol c’è il display enorme a cristalli liquidi issato a metà fra due campi: facciamo da soli. Al Mirage prima di ogni partita assisto all’allenamento di una squadra di calcetto femminile e a delle sgambate di alcuni imberbi

. Al Futbol giocano spesso vecchie glorie dall’aspetto curato e il tocco felpato. Al Mirage ci sono i campi da tennis, al Futbol ci sono i campi da Padel, la nuova moda dei fichetti di Roma nord scarsi a tennis. E poi: al Futbol abbiamo vinto campionato e coppa, e al Mirage? Niente (e io ci ho anche perso un match di tennis al terzo set in un torneo).

 



In difesa con CF, CC e Daniele c’è stata un’ottima circolazione di palla. Ci ha permesso di cambiare fronte e di gestire sempre il ritmo. Gli avversari sono gli unici vecchi più o meno quanto noi in tutto il torneo, e si vede che hanno perso l’attaccante forte: prima di noi hanno preso molti gol anche dal Chelsea, che noi affronteremo la prossima settimana. Ho segnato il gol dell’1-0 appostandomi sul palo e poi ho segnato ancora dalla stessa posizione correggendo in porta un tiro deviato dal portiere. Da quando porto tacchi da calcio ho segnato in ogni partita. Potrei fare di questa cosa dei tacchetti una metafora, ma la verità è che del mondo e della connessione tra calciotto e mondo non mi frega più niente, voglio solo giocare.

 



L’immagine che riassume di più la partita è quella del portiere dell’Everton che, a metà del secondo tempo, litiga con i suoi, si siede sull’erba con la schiena incollata al palo e rifiuta di continuare a giocare. Ha appena incassato il quinto o sesto gol, non ricordo, la palla è al centro e i compagni e l’arbitro lo invitano a rialzarsi. Lui scuote la testa, tiene il broncio, mugugna. Il loro attaccante suggerisce di lasciar perdere. «Tanto quando battiamo si rialza». È così, in effetti; appena l’arbitro fischia, scatta in piedi come un pop-up. Alla fine è una goleada. Eppure l’estate scorsa, meno di un anno fa, l’Everton di stasera eravamo noi. Ricordo il passo stizzito con cui, a partita in corso, TL abbandonava il campo dopo una lite con Daniele. O il 9-1—stesso punteggio ma alla rovescia—preso all’avvio di maggio.

 

Vado a rileggermi la puntata dello Spogliatoio di allora, è la seconda. C’è Daniele che inveisce contro la squadra avversaria che, in vantaggio di sei gol a uno, «cerca di segnare e segnare ancora senza alcun rispetto». Chissà se la pensa così, ora che a vincere siamo noi. Siamo stati irrispettosi? Aveva ragione TL a dire di chiuderla lì e smettere di infierire? Non credo, non lo so. Nove gol sono tanti, troppi; ma smettere di giocare, fare melina nella propria metà campo, calciare apposta addosso al portiere o fuori, non è peggio? La modestia in ghingheri non è una forma di arroganza? Penso alla strada fatta coi compagni, guardo il monitor e riassaporo il punteggio.

 



C’è stato un momento della partita in cui gli argini si sono rotti e li abbiamo travolti, scendevamo giù come una fiaccolata sulla neve, coordinati e luminosi, scambiandoci il pallone per piacere estetico più che per mandarlo davvero in porta. Tanto ci finiva lo stesso. GG è un appassionato di serie tv e negli ultimi tempi è stato così in fissa con

, lo spin off di

, da produrre dei Vine con le scene più significative e, soprattutto, citare con entusiasmo le catchphrase. Dopo la grande azione del sesto o settimo gol, conclusasi con un cross di GG deviato in porta da un loro difensore, ho esclamato «It’s showtime, folks!», che a quanto ho capito è quello che l’avvocato Saul dice prima di darsi da fare. Le mie intenzioni erano puramente celebrative, gli avversari ormai erano comparse senza volto che non aveva senso sfottere, eppure Daniele mi ha ripreso intimandomi di rimandare a fine partita quel genere di comportamenti irrispettosi. Mi sono sentito come se l’AIK avesse un codice d’onore: puoi pure urlare di tutto e prendere a calci i tuoi avversari, ma se stai dominando contro una squadra di gente a posto i festeggiamenti debbono avvenire all’insegna della sobrietà.

 



Il migliore in campo, se non altro perché tutti si aspettano sempre che sia una pippa e invece ultimamente corre, sbrana gli avversari e pure segna, è GDA, ex pallavolista, insegnante, rubacuori riluttante, che ha fatto una doppietta che include un gol stile

con tuffo orizzontale, gamba tesa, al volo.

 



«Siamo delle pippe» è il leitmotiv delle nostre vittorie. A guardarci dall’esterno direi che l’impressione sia confermata dal nostro aspetto. Nessuno di noi ha il fisico adatto, pochi muscoli, molte pance, moltissime barbe. E poi le scarpe, nessuno o quasi di noi possiede quelle giuste.

 

Un tempo il vero giocatore lo riconoscevo dagli scarpini che indossava, dal grasso sulla pelle e dal numero dei tacchetti. Ora è tutto cambiato, le scarpe sono di plastica e di colori sempre nuovi. Nella doccia Francesco, felice per la sua doppietta (e per essere stato protagonista nella nostra prima goleada) sostiene che i suoi miglioramenti siano attribuibili ai suoi nuovi Magista, credo bianchi con baffo verde. Secondo me invece ha solo preso coscienza delle giocate che sa fare e ha una incredibile capacità di migliorare sulle indicazioni che riceve. Ho provato a dirglielo ma mi accusa di fare il pompiere. Negli anni novanta un attaccante come lui avrebbe indossato i Mercurial del Fenomeno.

 

Quando Daniele è tranquillo, la squadra gira al meglio. Il suo ruolo di allenatore-giocatore non è facile, ma ultimamente sembra aver trovato il giusto equilibrio. Molti incoraggiamenti e poche, ma chiare, indicazioni. Ha smesso anche di guardarsi le scarpe dopo ogni giocata (per lui Magista gialle con cavigliera, fossi in lui andrei a cercare un bel paio di Pantofola d’oro su cui passare il grasso di foca) e il risultato è che ha alzato di molto il suo rendimento.

 

Sono un fan delle scarpe nere. GG è un metallaro che indossa Nike rosa fosforescenti con baffo giallo modello Hypervenom. Sono l’unico che continua a passargli la palla... Se avesse un po’ di rispetto per sé stesso indosserebbe dei Predator (gli stessi di VC, unico di tutti noi ad avere piena coerenza tra stile di gioco e modello). MG—Adidas Predator—ha l’estro e la leggerezza per distogliere l’attenzione: è un giocatore da Puma King.

 

Io ho smesso di comprare scarpe da calcio (gioco con quelle da calcetto con tacchetti bassi da diversi anni). Non mi sento più giocatore da tempo e gli scarpini sono un capitolo chiuso. Sono solo un ricordo di fango e pozzolana, puzza di grasso e di piedi, di sogni svaniti e modelli che non esistono più.

 
 

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