L’Italia di metà anni Ottanta era un paese fieramente democristiano, piuttosto riservato nel flirtare col socialismo e in cui solo da poco si erano fatte rumorose le istanze dell’imprenditoria privata, simboleggiata sappiamo tutti da chi. L’intera comunicazione televisiva legata allo sport è appaltata alla RAI, e magari non è del tutto casuale che tra le quattro città che si sono spartite gli scudetti dal 1981 al 1987 sia clamorosamente assente Milano. In questo Paese, un bel giorno, arriva Ruud Gullit.
Il Gullit che si è visto un po’ più raramente: quello al PSV Eindhoven.
Alleluja
Le circostanze dell’acquisto di Gullit, dal PSV Eindhoven al Milan per 13 miliardi, sono romanzesche. Berlusconi aveva perso la testa per lui assistendo dagli spalti del Camp Nou a un Trofeo Gamper a cui partecipa anche la squadra del signor Philips: nonostante sia un avversario, i tifosi del Barcellona lo acclamano alla maniera di un torero, urlando “olé!” a ogni cavalcata di 40 metri di un giocatore che si fa beffe delle convenzioni del calcio su carta. Il Cavaliere spedisce Ariedo Braida nella sua camera all’Hotel Princesa Sofia, lo stesso dove due anni prima il Napoli aveva imbastito la mitologica trattativa Maradona. Il problema è che Braida non sa una parola d’inglese, Gullit non sa una parola d’italiano e il timido approccio al Tulipano Nero termina lost in translation. È l’estate del 1986 e il corteggiamento di Berlusconi prosegue per tutto l’autunno. In ottobre Gullit partecipa a Milano alla registrazione di un disco natalizio dall’ispirato titolo Alleluja, con ricavato a favore dei bambini del Salvador, a cui partecipano altre 23 stelle della serie A (o presunte tali: ci sono anche Corneliusson, Trifunovic, Marino Magrin). Ruud è l’unico dei presenti a non giocare in Italia: se non è un indizio questo.
Presentazione su Telenova, all’interno della trasmissione “MilanInter”, del backstage della canzoncina a cura di un imberbe Marco Civoli, “quattro minuti e trenta secondi di buona musica, facce simpatiche con tanti bambini”. Gullit compare brevemente intorno ai 2:30.
Le naturali doti da showman di Gullit convincono ancora di più Berlusconi che “l’uomo del Duemila” dev’essere suo. Un mese dopo, il blitz decisivo. Il Presidente vola ad Amsterdam per incontrare Gullit e van Basten in una suite dell’hotel Amstel, dopo la partita Olanda-Polonia: accanto a loro il procuratore Apollonius Konijnenburg, una specie di padre putativo di Mino Raiola, che ne raccoglierà l’eredità di dominus del mercato olandese. Si chiude l’accordo; un soddisfatto Konijnenburg si rimette in macchina per tornare a casa, ma il motore è ingolfato. Da lontano Berlusconi osserva la scena e interviene, sotto la pioggia, a spingere l’auto di Apollonius per consentirgli di tornare a casa. L’episodio è riportato in un libro del giornalista olandese Jan-Cees Butter intitolato Het perfecte Elftal (La squadra perfetta).
Per tutto l’inverno proseguono i viaggi informali in Italia della famiglia Gullit. A gennaio, sotto la neve, Ruud è a Milanello per le visite mediche, relativamente in incognito («Si è mosso anche Galliani per seguirlo, abbandonando l’importantissima riunione per il passaggio di Rete Quattro a Callisto Tanzi»); poche settimane dopo, si presenta la moglie Yvonne per cercare casa (troverà una modesta dimora a Milano Due: 280 metri quadri con giardino, piscina e sala giochi). L’acquisto viene formalizzato a marzo, nel giro di 48 ore decisive per comprendere l’estetica del berlusconismo, che soprattutto in quel decennio è più che mai sostanza.
Il 20 marzo Berlusconi chiude a suon di miliardi l’ingaggio di Enrica Bonaccorti, Pippo Baudo e Raffaella Carrà, punte di diamante del parterre de roi con cui il Biscione punta a infrangere il monopolio RAI dei lustrini e dell’intrattenimento. Molto emozionata al cospetto dei giornalisti che le chiedono conto dei 7 miliardi di ingaggio per due anni, Raffaella risponde di massimi sistemi: «Penso che la tv commerciale sia la televisione del futuro». La mattina dopo Berlusconi raduna i suoi pretoriani e vola in jet privato a Eindhoven, dove chiude ufficialmente l’affare del quale i media olandesi danno notizia con edizioni straordinarie dei tg. Per legioni di editorialisti l’accostamento tra le due campagne acquisti suona automatico: ecco l’Italia dei sogni di Berlusconi, dove tutto ha un prezzo, nulla è inaccessibile e ogni figurina è tessera di quel mosaico spettacolare che oggi, più cinici e assuefatti alla società dei consumi, amiamo chiamare showbiz.
The Rivera Incident
Ma Ruud è qualcosa di più. Ha un senso dell’umorismo quasi lunare, ben poco mediterraneo, cui abbina una spiccata coscienza di sé e del proprio ruolo nella società, inusuale persino oggi, figuriamoci trent’anni fa. Perciò il 15 aprile, alla conferenza stampa di presentazione, reagisce alle domande preconfezionate della stampa in modo indimenticabile.
Gullit, siamo ad aprile e il Milan non è ancora sicuro di qualificarsi in coppa UEFA: se non dovesse riuscirci, lei cosa penserebbe? «È una domanda stupida. In Olanda abbiamo un detto: se mia madre aveva pisello, era mio padre». Brusii, risate. «Mi hanno detto che qui in Italia escono tre quotidiani sportivi, e che sopra c’è scritta spazzatura. È vero che è così?». Deve intervenire Galliani: «Gullit è abituato a dire ciò che pensa, indipendentemente dalla linea della società». Ci immaginiamo un Berlusconi che nascosto da qualche parte si frega le mani sghignazzante.
La conferenza prosegue su questi toni, alle domande provinciali dei giornalisti Gullit risponde con divertito candore. In che ruolo spera di giocare? Chi è il suo musicista preferito? Ogni volta che si lava i capelli, deve rifare le treccine? Finché qualcuno, forse a tradimento, non gli mette sotto il naso una foto di Gianni Rivera con in mano il Pallone d’Oro vinto nel 1969. Lo riconosce? «Who is this?», sibila Ruud preso alla sprovvista. Apriti cielo.
L’incidente di Rivera darà fiato ai giornali per giorni e giorni: «Se Donadoni andasse a giocare all’Ajax e non riconoscesse Cruijff, che figura ci farebbe?», argomenta Gianni Mura. Ancora più divertente è il giro delle smentite, fumose e contraddittorie, che danno l’idea di quale attualissima tempesta mediatica Gullit abbia scatenato al primo colpo, con due decenni d’anticipo sulla prima uscita pubblica in italiano di José Mourinho. Il Milan cerca di riparare sostenendo che Gullit avesse capito «When is this?», quando è successo che Rivera avesse vinto il Pallone d’Oro? Qualche mese dopo, al Guerin Sportivo, Ruud darà invece una seconda versione: «Avevo capito “che stadio è quello?”, e avevo risposto “non lo so”». L’autrice di quest’intervista è Licia Granello, giornalista di Repubblica da due anni al seguito dei rossoneri, che ci offre l’assist perfetto per raccontare i rapporti tra Gullit e l’altra metà del cielo.