La partita d’andata era stata tra le più enigmatiche dell’Inter in questa stagione. A un gioco mai così brillante, avevano fatto da riflesso pochi tiri e un risultato durissimo e all’apparenza irreversibile per il ritorno. Quella partita col Liverpool pareva al contempo l’apice del periodo luminoso vissuto all’inizio del 2022, e la sua fine, perché in quella partita si leggevano in controluce i problemi che poi l’Inter ha mostrato nelle settimane successive. In sostanza, una difficoltà patologica a creare occasioni ma soprattutto a convertirle. Un lavoro di Dzeko al contempo paradossalmente sostanzioso e fumoso, il cortocircuito mentale di Lautaro Martinez, sempre più inconcludente ed estraneo alla squadra.
Quella partita sembra aver ferito l’Inter, mentre ha continuato a caricare il Liverpool, protagonista di una stagione non sempre brillante ma sempre incredibilmente solida - e la solidità è uno degli aspetti più sottovalutati di una squadra abbagliante nei suoi momenti migliori. Da quel giorno la squadra di Klopp ha vinto tutte le partite a parte la finale di Carabao Cup contro il Chelsea, in cui comunque non ha perso nei tempi regolamentari e ha poi vinto ai rigori. Non perdeva ad Anfield da un anno, aveva vinto tutte le sue partite di Champions League. Solo cinque squadre nella storia del calcio italiano sono riuscite a vincere in quello stadio. Non le migliori premesse per compiere l'impresa, ovvero vincere almeno 2-0 per andare ai tempi supplementari.
Il Liverpool pare invulnerabile
Quando alla fine del primo tempo, la partita era ferma sullo zero a zero, tutto sommato Inzaghi poteva essere soddisfatto. L’Inter aveva tenuto bene il campo, come si dice con una delle tante espressioni militari che imbevono il linguaggio sportivo. Cosa significa tenere bene il campo? Ad Anfield significa soprattutto non lasciarsi schiacciare dalla pressione angosciante che il Liverpool sa mettere ai suoi avversari, specie in certi momenti di trance. L’Inter ha avuto il coraggio di andare a pressare in avanti sulla costruzione dal basso di Alisson. Quando non riusciva riconquistare palla, o comunque a sporcare la costruzione, la squadra arretrava per non concedere la profondità. L'Inter ha mantenuto comunque sempre un baricentro medio, senza impigrirsi o restare troppo passiva nella propria metà campo. Ha sofferto, certo, perché è impossibile non soffrire contro il Liverpool ad Anfield. Poco dopo l'interruzione causata da un tifoso del Liverpool che ha avuto un arresto cardiaco, Matip ha colpito una traversa sugli sviluppi di un calcio d’angolo, in un momenti in cui i Reds hanno cominciato ad andare dalla bandierina a ripetizione, montando un piccolo assedio medievale. A livello tattico, gli smarcamenti di Diogo Jota alle spalle di Brozovic sono stati un problema da leggere.
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Jota spesso si scambiava la posizione con Mané, che con l’ingresso in squadra di Luis Diaz sta giocando sempre più da punta. Ieri il senegalese però era in una giornata opaca.
L’Inter però non è mai andata davvero in crisi, anche grazie a come è riuscita a resistere alla pressione del Liverpool. L'uscita dal basso ha tenuto anche contro uno dei migliori pressing in Europa e il giocatore sopra le righe di ieri è stato, ancora una volta, Marcelo Brozovic, autore di un’altra masterclass di regia. La sua tecnica sembra asciugarsi e diventare più essenziale e appuntita partita dopo partita, ma è soprattutto il suo dinamismo e l’intelligenza con cui lo usa a spiccare, anche nel contesto più difficile, anche contro la squadra che sa pressare con maggiore ferocia. Ha coperto una quantità assurda di campo, e ha manipolato le linee del Liverpool a tutte le altezze.
Come nella partita d’andata, però, l’Inter dà l’impressione di non poter dare davvero fastidio al Liverpool. Al 33’ sembra aver rotto la pressione avversaria in modo pericoloso: Brozovic dribbla Jones e serve Lautaro Martinez in profondità con tutto il campo davanti. All’improvviso sbuca van Dijk, in anticipo e in recupero. È dalla partita d’andata che il Liverpool offre questo senso di invulnerabilità: l’Inter è costretta ad alzare molto il livello delle proprie giocate, facendo un grande sforzo, mentre al Liverpool pare bastare l’ordinario per disinnescare ogni pericolo. Un secondo prima pare esserci una grande occasione per l’Inter, un secondo dopo van Dijk ha già chiuso camminando. È un senso di invulnerabilità e controllo che passa da tante cose: la qualità dei propri giocatori, l’esperienza maturata in quei contesti ma soprattutto un’organizzazione tattica che non tralascia alcun dettaglio. Prendiamo un calcio di punizione per l’Inter all’inizio del secondo tempo. È quel tipo di punizione indiretta in cui la balistica velenosa di Calhanoglu può fare danni. La difesa del Liverpool tiene una linea altissima appena fuori l’area, e dopo il calcio rimane impassibile e disciplinata, facendo fare una figura magra agli attaccanti dell’Inter che hanno ingenuamente tagliato in avanti.
Ne sono finiti tre in fuorigioco.
Magari è una piccola cosa, ma è il riflesso dell’organizzazione capillare su cui si basa il senso di controllo e sicurezza con cui il Liverpool gioca queste partite. Cosa c’è di più difficile da affrontare, di una squadra che gioca sempre come se fosse impossibile da battere?
Il disordine di inizio secondo tempo
A volte il Liverpool non pare fare niente di eccezionale. Anche ieri sembrava accontentarsi del semplice controllo del risultato, e l’Inter - come nella partita d’andata - ha coltivato l’illusione di essere al sicuro, di non rischiare niente. Proprio in quei momenti il Liverpool avanza, subdolamente guadagna terreno, esercita una pressione fisica e tecnica sempre maggiore. Nonostante il Liverpool sia noto soprattutto per i suoi ritmi forsennati, la verità è che nessuna squadra sa gestire così bene il tempo del gioco: scegliere i momenti in cui accelerare o decelerare, e soprattutto saperlo fare sia con che senza palla, modulando le altezze del pressing e i suoi inneschi adattandoli a ogni circostanza e a ogni avversario.
All’inizio del secondo tempo, per esempio, il Liverpool si fa più intenso, le riconquiste alte del pallone vengono scandite dal grido sempre più feroce di Anfield. Intorno al 50’ l’Inter non sembra più riuscire a uscire dalla propria metà campo, come un fighter finito sotto la morsa di Khabib Nurmagomedov. Il Liverpool infila tre recuperi alti consecutivi del pallone, con un Curtis Jones incredibilmente efficace in queste situazioni. È il momento in cui il Liverpool costruisce la sua occasione migliore della partita, con Salah arrivato a concludere a porta vuota dopo un’uscita un po’ ingessata di Handanovic, colpendo il palo.
Eppure, proprio in quel momento, il Liverpool, si allunga un po’. La partita si stropiccia e diventa più disordinata. L’Inter allora, timidamente, prova ad approfittarne. Nascono due azioni alle spalle di Trent Alexander-Arnold. Nella prima Perisic ha un primo controllo in corsa maestoso, e Calhanoglu tira addosso a un difensore; nella seconda, due minuti dopo, è Brozovic che intuisce che quella è una zona molla degli avversari, e si inserisce. Mette una palla d’esterno su cui Sanchez fa velo per Lautaro, al centro dell’area. Sembra quasi di sentire il rumore della sua paranoia di sbagliare, nel ritardo della conclusione, che parte strozzata e colpisce il piede di un difensore.
Un minuto dopo arriva quell’incredibile gol. L’azione nasce ancora a sinistra, ma stavolta da un recupero alto di Perisic che intercetta un passaggio in verticale. Quando Lautaro riceve lo scarico di Sanchez, dà uno sguardo davanti a sé, nota che ha spazio, allora lascia scorrere la palla in avanti. A quel punto è frontale alla palla e molto defilato dalla porta, per come si avvicina non sembra poter calciare. È quello che pensa van Dijk, che non accorcia in avanti e lascia a Lautaro lo spazio per provare una conclusione tecnicamente difficilissima, di mezzo esterno, con la gamba che resta rigida oscillando in avanti. È uno di quei gol che sembrano disegnati, in cui la palla prende una traiettoria a uscire imparabile, perfetta sotto l’incrocio lontano dei pali. Quando la palla fa il suo splendido effetto ottico con la rete, Lautaro rimane fermo per un istante, quasi non ci crede. Dopo che aveva sbagliato quell’occasione, due minuti prima, Inzaghi aveva mandato a scaldare Correa.
Il gol scalfisce il senso di invulnerabilità del Liverpool per la prima volta nel doppio confronto. All’improvviso l’Inter si ritrova a un solo gol dai tempi supplementari. Comincia a crederci, e forse il Liverpool in quel momento si spaventa, impreparato ad affrontare una partita di sofferenza. Quel momento però dura solo un paio di minuti, il tempo per Alexis Sanchez di rimediare il secondo cartellino giallo. Fino a quel momento aveva giocato una buona partita, ma questa non è una stagione da buone partite per Sanchez ma da grandi momenti, in positivo o in negativo. La dinamica dell’intervento è abbastanza crudele: era andato chiaramente sul pallone, e c’è un po’ di sfortuna nel fatto che sulla spinta dell’intervento sia finito per entrare pericolosamente su Matip.
Da quel momento i bollori dell’Inter si spengono. Simone Inzaghi fa qualche sostituzione, forse un tantino conservativa. Pressa con un solo attaccante, Correa, lasciando che il Liverpool controlli il risultato serenamente fino al novantesimo. Forse però non si poteva fare di più, arrivati a quel punto.
L’Inter avrebbe meritato di più nei 180 minuti?
L’Inter diventa la sesta squadra italiana a vincere ad Anfield, ma viene eliminata. Quando Inzaghi parla di “tanti rimpianti” dopo la partita si riferisce soprattutto alla possibilità di giocare l’ultima mezz’ora in parità numerica e con un solo gol da recuperare. Quella mezz’ora impossibile è il rimpianto maggiore dell’Inter in questa complicata eliminatoria di Champions. Una finestra di tempo mai esistita e su cui è lecito fantasticare. Quando ci sono partite così i bilanci non coinvolgono solo le singole squadre ma il calcio italiano tutto. Gira una febbre a tirare fuori il giudizio più universale. Eppure qualsiasi risposta univoca suonerebbe falsa. Come è forzato consolarci con la storia che l’Inter avrebbe meritato di più, o che è stata sfortunata. Nei 180 minuti l’Inter ha giocato - sul piano tecnico, tattico e fisico - a un livello complessivo che forse non immaginava. Può trarre coraggio dalla prestazione collettiva e di quella di alcuni giocatori che si sono dimostrati all’altezza di questi palcoscenici, Skriniar e Brozovic sopra a tutti. Ha vinto ad Anfield in un'eliminatoria di Champions.
Eppure è stato il Liverpool a fare di più: a costruire più occasioni, a rischiare meno, a meritare il passaggio del turno in sostanza. Nella partita d’andata, con una prestazione subdola ma efficace; al ritorno, dove ha colpito tre pali, ha controllato quasi sempre la gara nonostante i dettagli sembravano potergli girare tutti contro - oltre i tre pali, due salvataggi surreali sulla linea di Vidal e Skriniar. La qualificazione non è mai stata in discussione, tranne che per quel paio di minuti.