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L'Italia di Conte senza stereotipi
01 lug 2016
01 lug 2016
Per quanto suoni paradossale, l'Italia di Conte ha mostrato un gioco posizionale migliore della Spagna di Del Bosque.
(articolo)
15 min
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Articolo tradotto dall’originale di Martí Perarnau, pubblicato per la rubrica “The Tactical Room” del Perarnau Magazine.

Il calcio si gioca con le idee, con i giocatori, con entrambe le cose o con poco di entrambe. Quando idee e giocatori adeguati convergono nel massimo livello di eccellenza, comprensione, coesione ed esecuzione allora appaiono squadre che consideriamo eccezionali. Non ce ne sono state tante nella storia, cosa che mostra la difficoltà nel riunire tutte le condizioni necessarie per far sorgere questi fenomeni.

Da sole le idee non vincono le partite e a volte hanno la peggio davanti a un gesto geniale - o fortunato - di un singolo talento. E anche idee eccellenti soccombono se sono state eseguite in modo pessimo. Esistono giocatori in grado di uccidere qualsiasi idea dell’avversario: Pelé, Di Stefano e Maradona sono stati maestri in questo. Altri, come Cruyff, non solo uccidevano le idee degli altri, ma piantavano le proprie lì dove arrivavano, anche quando alla fine hanno perso. Messi è la sublimazione di tutti gli esempi fatti, in un’epoca che fortunatamente facilita lo sviluppo dei grandi attaccanti.

Se i giocatori sono fondamentali, lo sono anche le idee. L’Italia diretta da Antonio Conte ha idee molto interessanti, che non hanno niente a che vedere con il Catenaccio. La stupidità di questi tempi frenetici ha steso un velo di stereotipi anche sul calcio, aumentando i cliché e le frasi fatte prive di significato. La principale responsabilità di questa insensatezza appartiene all’industria dei mezzi di comunicazione, rivelatisi incapaci di osservare, domandare, analizzare e spiegare quello che succede intorno al calcio, che sia in Spagna, Inghilterra, Germania, Italia, Argentina o qualsiasi altro posto. A parte brillanti eccezioni, la maggioranza si muove in un pantano, per cui non bisogna sorprendersi se 60 anni dopo che i “Magici Magiari” conquistarono Wembley, l’Inghilterra continui senza direzione o punto di riferimento; che in Argentina si sia perpetrata durante una decade un attentato di massa alla ragionevolezza discutendo ogni prestazione di Messi; che in Italia si continui a rivendicare un tipo di gioco che in realtà non si pratica; che in Germania le contraddizioni siano molto forti anche se rimangono nascoste dietro al talento gigantesco dei suoi giocatori più giovani e il flusso incessante dei suoi trionfi; e che in Spagna si conosca appena cosa significa il Gioco di Posizione, cosa che equivale a non sapere a cosa si gioca (o si giocava). Se già è triste non sapere perché si perde, è ancora peggio non sapere perché si è vinto tanto. Il gran fallimento dei mass media è non essere stati in grado di mostrare, spiegare e istruire sulle cause che hanno proporzionato un grande ciclo di vittorie.

Per questo nella preview di Italia-Spagna ti possono distruggere le orecchie e far sanguinare gli occhi con le allusioni al catenaccio italiano e al tiqui-taca spagnolo. La confusione è colossale: con eccezioni minime, nessuno pratica il catenaccio in Italia da tempo immemore; e confondere al giorno d’oggi la posizione con il possesso è desolante. Però a forza di slogan ed etichette, la stupidità avanza inarrestabile e per questo si capisce sempre meno quello che succede sul terreno di gioco, con un abbondante numero di analisti che, quando rimangono con poco da dire - perché non comprendono quanto succede in campo - ricorrono inevitabilmente alle solite realtà intangibili: intensità, attitudine, preparazione fisica, ambizione, fame, coraggio. Quando non si conosce il motivo per il quale succedono le cose, si preferisce ricorrere ad atti di fede.

Un problema di degenerazione

Il problema della Nazionale spagnola non è la generazione, ma la degenerazione. “Fine del ciclo”? Immagino che ci si riferisca a un ciclo di vittorie. Di certo quello è finito, ma non ora: nel 2014. Anche se in quell’occasione giocavano ancora quelli che adesso, secondo la teoria dominante, sono risultati decisivi nella loro assenza: Xavi e Xabi Alonso, allora ancora abbastanza lontani dal perdere il loro livello migliore, come poi è avvenuto per il catalano nel triplette del Barça nel 2015, con il basco che invece ancora continua a offrire magnifiche prestazioni con il Bayern. C’è stata una fine del ciclo di vittorie, però non tanto dei giocatori. Dal 2008, quando è iniziato questo ciclo di trionfi, il rinnovamento e la sostituzione tra i giocatori è stato continuo. Della Nazionale campione del 2008 sono rimasti solo Iniesta e Sergio Ramos come insostituibili e meno Fàbregas e Silva. Il resto ha dato l’addio lungo il tragitto. Quindi, di che fine della generazione parlano? Non è, forse, che a chiudere il ciclo dei trionfi sia stata l’inerzia?

Ah l’inerzia! Il calcio si costruisce a partire dalle idee, come ha spiegato Conte. A suo tempo, Luis Aragonés raggruppò una serie di concetti che nella sua dialettica rozza non è riuscito a pulire, però ha permesso alla Spagna di giocare in un modo preciso: si distingueva per passaggi a terra, spesso corti e larghi solo se potevano essere precisi. Per questo ha unito giocatori dal profilo differente che però si completavano tra loro e che avevano in comune la grande qualità tecnica: principalmente Xavi, Iniesta, Senna, Fàbregas e Silva. Hanno vinto. Dopo è arrivato Guardiola al Barça e ha imposto il Gioco di Posizione; in un primo momento in modo eterodosso, poi più avanti, quando le vittorie hanno sorriso alla squadra senza sosta, in un modo diventato ortodosso. Al punto che quel Barcellona rappresenta tuttora il canone ufficiale del Gioco di Posizione.

Vicente del Bosque, persona saggia e allenatore con un profilo da “amministratore” e non da “architetto”, ha sfruttato in un modo straordinariamente intelligente le due eredità: quella di Aragonés, un po’ informale e senza una struttura intellettuale molto definita; e quella di Guardiola, canonica e accademica. Ha fatto di più: ha sfruttato la dinamica competitiva che entrambi avevano impiantato e, in un periodo in cui il Barça ha vinto tutto, Del Bosque ha vestito la Spagna con i colori del Barcellona. L’inerzia di queste due spinte di partenza è risultata inarrestabile, e il ciclo di vittorie è proseguito senza fermarsi. Però il calcio è un animale che non sta mai fermo. La contemplazione è il peggior nemico del gioco perché quello che non si allena si dimentica. Le idee di oggi vengono superate per il processo evolutivo, che naturalmente è anche il più importante nella vita del calcio. C’è una frase che da sola rappresenta una vera sciagura: “non aggiustare ciò che non è rotto”. Al contrario! Quello che funziona deve essere cambiato perché se non si cambia, ci si imputridisce, si invecchia, si diventa obsoleti e si rimane inghiottiti dal processo evolutivo. L’evoluzione non è un bella presentazione su Power Point: è un animale insaziabile. Non vi fidate di chi vi dice e argomenta che le cose che funzionano non vanno toccate. È una di quelle frasi fatte che portano al fallimento.

Il vero problema della Spagna non è l’assenza pesante di Xavi e Xabi Alonso. Ovviamente senza di loro non si può realizzare in alcun modo la stessa operazione con lo stesso risultato. La qualità tecnica di Xavi ha permesso di modificare la vocazione del gioco a seconda delle necessità: se si voleva attaccare, Xavi conduceva la squadra coma la guida di una cordata, di accampamento in accampamento fino alla cima definitiva; se si doveva difendere un risultato (e ricordiamo che la Spagna ha vinto i suoi titoli a forza di 1-0), Xavi utilizzava la sua qualità per conservare il possesso ed eseguire quello che può essere chiamato “possesso difensivo” (che era solo uno strumento, ma l’industria degli stereotipi l’ha voluto rendere una essenza). Per quanto riguarda Xabi Alonso: senza dubbio la qualità dei sui lanci, i cambi di campo, la facilità e diversità con cui faceva uscire il pallone dalla difesa, come un vero quarterback, sono caratteristiche di cui si sente la mancanza. Bisogna ripetere che la Spagna non perde adesso perché loro due non sono più presenti: entrambi hanno giocato nel Mondiale e la Spagna ha perso lo stesso in modo netto, anche se questo non deve ridimensionare il loro ritiro, come quello di due giocatori molto particolari come Puyol e Villa.

Penso che il problema non sia tanto nella generazione di giocatori, ma nella degenerazione del gioco. La Spagna non pratica più il Gioco di Posizione come faceva prima. Perché? Perché è un modello di gioco che necessita di una dedizione artigianale e conoscenza profonda. Senza voler sospettare della conoscenza del CT, quello che è innegabile è la difficile implementazione della dedizione artigianale in nazionale.

Prima di tutto perché i tempi per allenarsi con la nazionale non facilitano questa dedizione, ragion per cui spesso si dà priorità a un blocco centrale di un club (Juve in Italia, Bayern in Germania). E poi perché il nucleo centrale dell’attuale Spagna (Piqué-Busquets-Iniesta) già non beneficia del modello di gioco originale del Barcellona, che è mutato negli ultimi anni. (È ovvio che il Barça ha sacrificato e modificato in forma netta il suo gioco di posizione in beneficio al rendimento esplosivo della MSN).

Per questo motivo, la Spagna non riceve più una spinta ideologica, né una dinamica di gioco dal Barcellona, che permettano a Del Bosque di mantenere il modello del gioco di posizione, introducendo le sue sfumature competitive e personali (come ha fatto nel 2010 con il doble pivote Busquets-Alonso). E, all’apparenza, nella fase di preparazione non sono bastati i ricordi per avere un rendimento sufficiente e compensare l’inerzia perduta. Il risultato di questo processo non è la sconfitta, ma l’attenuazione del modello.

Si può dire che oggi la Spagna non pratica il Gioco di Posizione, anche se alcuni dei suoi giocatori lo vogliano in momenti concreti e si mantenga l’apparenza. È questa la causa della sconfitta con l’Italia? No. La Spagna può battere l’Italia senza praticare il Gioco di Posizione e può perdere praticandolo. O viceversa. Io non conosco la causa esatta della sconfitta (e chi dice di saperla forse si avventura in modo esagerato) più in là del fatto che l’Italia ha giocato bene e la Spagna molto male, però non voglio riflettere su questo, ma indicare che il cambio di modello di gioco è una realtà nella Spagna.

Non lo segnalo come una critica o un lamento, ma come una prova. E, naturalmente, non so qual è la soluzione né sono in grado di poterne offrire una. In questo caso, la fine del ciclo è certa, però non per l’addio di determinati giocatori, né per le sconfitte, ma per il lento e graduale addio a un modo di giocare. Starà a chi compete decidere come giocare d’ora in avanti.

L’Italia pratica il gioco di posizione

Dice Antonio Conte: “Loro avevano il talento, noi avevamo le idee. E le idee hanno battuto il talento.” Le sue idee si inseriscono perfettamente nel Gioco di Posizione. Se abbiamo stabilito in modo netto che la Spagna ora non lo pratica più - nella sua versione canonica -, dobbiamo affermare che l’Italia invece sì. Questa affermazione può risultare uno choc, soprattutto se il lettore si è lasciato influenzare da chi ancora ricorre al Catenaccio per etichettare qualsiasi squadra italiana. Invece è un gioco di posizione, di orientamento verticale, praticato da una squadra che si schiera con un 3-4-3 con il pallone e un 5-3-2 senza di esso, cosa che risulta quasi strano affermare, ma è così: giocatori posizionati su differenti altezze, una squadra ampia per aprire corridoi interni, ricerca dell’uomo libero, creazione della superiorità numerica alle spalle dell’avversario: tutti fondamenti del Gioco di Posizione praticato dagli Azzurri.

Non è un Gioco di Posizione sofisticato, ortodosso e accademico, quindi risulta più difficile da percepire e analizzare, però contiene tutti i princìpi e li mette in pratica con maestria. Detto in altro modo: è un Gioco di Posizione con poche idee, però eseguite molto bene, come la ricerca della superiorità nell’uscita della palla dalla difesa verso e al centro del campo; o il centrocampista davanti alla difesa come uomo sempre libero, in alternativa a una delle mezzali e a uno dei tre centrali difensivi. Idee accompagnate da una pressione aggressiva su chi porta palla e il ricorso ad azioni rischiose con palloni diretti alla sua punta (Pellè), che si muove vicinissimo alla seconda punta (Éder), un tandem (alto + basso) di tradizione molto italiana. Con l’aggiunta della migliore virtù di ogni strategia: i giocatori conoscono tutti i dettagli e condividono l’idea di gioco del CT.

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Antonio Conte è furbo e non dirà in pubblico nulla di quanto scritto prima perché l’opinione pubblica in Italia non è disposta ad ascoltare quel messaggio. Numerosi media italiani continuano ancorati ai vecchi concetti “intangibili”: la fede, il coraggio, l’inno, la lotta incessabile, quanto siamo furbi, il “gioco all’italiana”… Sempre il ricorso alla fede.. ma per caso quando sono caduti in malo modo in altri tornei è stato perché hanno cantato meno l’inno? No, oggi è il gioco posizionale quello che dà forza all’Italia.

Il nucleo juventino è essenziale, ma non solo perché si conoscono e condividono un contesto positivo - nato proprio grazie a Conte (architetto) e mantenuto da Allegri (amministratore) - ma anche perché tutti e quattro (Buffon + la BBC) sono inamovibili nella struttura del gioco: l’uscita della palla, la ricerca della superiorità nel centro attraverso il terzo centrale, la ricerca di uomini per formare triangoli. Juventus allo stato puro, 5-3-2 senza palla, 3-4-3 con essa, l’Italia come paradigma di un altro modo di concepire il Gioco di Posizione. Senza dubbio, in modo contro-culturale per l’opinione pubblica italiana, per non parlare di chi ancora li etichetta come “catenacciari”. Per tutto questo, Conte rivendica il valore delle idee, però è astuto e si vede bene dallo spiegare quali sono queste idee, non sia mai che in Italia vengano colti di sorpresa dalla cosa e si rompano i cliché e le prime pagine tutte sulla sfera emotiva:

Il complesso 5-3-2

Attaccare un 5-3-2 è un incubo quasi sempre, specialmente se a proporlo è una squadra esperta, composta da giocatori con qualità specifiche. Il 5-3-2 vuole prima di tutto attrarre gli avversari al centro della difesa per bloccarlo lì, in un vicolo cieco. Ci sono vari esempi recenti in cui questa strategia ha distrutto una squadra.

Nel maggio del 2014, il Bayern l’ha usato nella finale della Coppa di Germania contro il Borussia Dortmund. Era una novità inaspettata che Guardiola ha utilizzato per via delle sue innumerevoli assenze per infortunio e che ha spiazzato tanto Jürgen Klopp da portare il BVB a non organizzare un solo contropiede in 120 minuti.

Qualche settimana più tardi, Louis Van Gaal ha realizzato la stessa operazione contro la Spagna al Mondiale, con un risultati magnifici. Era un piano disegnato mesi prima, come ha spiegato Arjen Robben in una lunga conversazione che abbiamo avuto proprio prima della finale di Coppa di Germania tra Bayern e Dortmund: “Domani giocheremo la finale esattamente come Louis Van Gaal vuole farci giocare contro la Spagna a questo Mondiale.”

Il Cile ha utilizzato il 5-3-2 spesso e la Spagna è stata tra le sue vittime. L’Italia sono due anni che applica questo modello di gioco che Conte ha impiantato con successo alla Juventus dei cinque titoli consecutivi.

Attaccare questo schieramento è molto complesso ed esige l’utilizzo di parecchie risorse, sia tattiche che umane, e come minimo un gioco in cui proliferano i dribblatori e la capacità di giocare sull’esterno del campo. L’obiettivo prioritario di questo schieramento in difesa posizionale è quello di dirigere l’avversario verso la zona centrale. Il 5-3-2 forma una sorta di “U” maiuscola che espelle l’avversario dalle fasce e le induce a dirigersi verso il centro, dove le iniziative vengono spezzate dall’accumulazione di uomini. Affinché accada c’è bisogno di una grande organizzazione collettiva. L’Italia ce l’ha perché la coincidenza ideologica tra Conte, Buffon e la BBC non solo è totale, ma anche duratura nel tempo visto che loro stessi iniziarono questo progetto. E nell’essere un Gioco di Posizione non straordinariamente ricco di variabili, il CT ha potuto traslare e lavorare con queste idee con precisione durante questi due anni.

Una questione differente è se all’Italia questo possa bastare per battere la Germania. Come per quanto riguarda la Spagna, i tedeschi non hanno in Nazionale ali pure dal dribbling secco, anche se Julian Draxler può occupare uno di questi ruoli. Secondo me, la costruzione del gioco tedesco non ha eguali al momento in Europa grazie essenzialmente a tre giocatori: Boateng, Kroos e Kimmich, per caratteristiche diverse.

Boateng, perché apporta una qualità eccezionale nei suoi lanci lunghi, verticali o in diagonale. Kroos, perché probabilmente non c’è al momento un centrocampista più efficiente per portare una squadra in pianta stabile nella metà campo rivale e controllare il ritmo della partita. E Kimmich proprio perché è il compagno più adatto per permettere a Kroos di fare il suo lavoro. (Kimmich è lontano dall’essere Lahm, però è chi più di tutti si avvicina al lavoro che il capitano tedesco ha eseguito nello scorso Mondiale: prendere le decisioni di un centrocampista, però farle da una posizione teorica di terzino. È stato un movimento decisivo che Löw ha potenziato nella Germania. Schweinsteiger ha mantenuto la posizione senza l’obbligo di prendere decisioni; Kroos ha potuto fare il suo gioco sapendo che era Lahm a gestire il ritmo della partita e Khedira si è potuto sviluppare come mezzala, la sua migliore versione).

La Germania ha due punti deboli: l’organizzazione poco efficiente del suo attacco posizionale e, di conseguenza, una difficoltosa transizione difensiva, accresciuta dal fatto che Khedira è più una mezzala che non si preoccupa di guardarsi le spalle che un centrocampista in grado mantenere la posizione. L’assenza di ali pure obbliga ad attaccare sugli esterni con i terzini, che quindi non possono aiutare al centro i centrocampisti e questo è un rischio enorme per la Germania se deve affrontare il 5-3-2 di Conte, perché può coincidere con il desiderio dell’Italia di attrarre i suoi rivali nella zona centrale e incagliare lì una Germania che ha già la tendenza a finirci. Probabilmente per attaccare bene questo 5-3-2 ci vorrebbe un 3-4-3 molto organizzato.

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