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L'Inter si ritrova nella difficoltà
27 ott 2016
Nel momento più delicato, Frank de Boer trova alcune certezze per il futuro.
(articolo)
8 min
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Il destino dell’Inter in questo periodo sembra decidersi sempre all’ottantottesimo minuto. La scorsa domenica pomeriggio un intervento di Santon piuttosto scellerato, a coronamento della più brutta partita della nuova Inter di Frank de Boer, aveva regalato all’Atalanta il rigore della vittoria; ieri sera una conclusione di Icardi (che ha lasciato la scia arcobaleno come i best goal di Virtua Striker) ha restituito la fiducia necessaria a confermare la panchina di de Boer.

Inter-Torino ha confermato l’esistenza reale di quel legame intimo e magari invisibile che connette la prestazione al risultato. Di fronte all’evidenza che il calcio è sempre deciso dagli episodi, in questo caso l’errore del difensore o l’invenzione dell’attaccante, va sottolineato che nelle ultime due uscite in campionato l’Inter ha perso una partita in cui ha creato pochissimo, senza entrare mai in area di rigore (0,2 xG, minimo stagionale), quella con l’Atalanta; e ha vinto quella una partita in cui ha creato moltissimo, portando spesso quattro o cinque uomini a ridosso dell’area (2,5 xG, massimo stagionale), contro il Torino, appunto.

Per spiegarsi come sia possibile che una squadra tocchi il suo punto più basso e poi quello più alto nel giro di tre giorni, almeno sul piano della produzione offensiva, è inevitabile considerare le motivazioni personali, l’orgoglio, le energie nervose. In minima parte, però, hanno influito anche le scelte di formazione.

Cambia Inter

Frank de Boer ha preso tre decisioni rilevanti rispetto alla formazione di partenza. La prima era obbligata, perché la lunga squalifica di Medel costringeva a reinventare il centrocampo, e quindi spazio a João Mário playmaker davanti alla difesa con Brozovic e Banega interni (l’olandese ha poi ugualmente voluto lanciare un segnale, lasciando Kondogbia e Felipe Melo in tribuna per scelta tecnica).

La seconda era preventivabile, Ansaldi titolare dal primo minuto e Nagatomo che rileva il posto di Santon a sinistra (una scelta che ha pagato: è proprio il giapponese a recuperare un pallone che stava morendo in rimessa laterale qualche secondo prima del 2-1 di Icardi).

La terza è stata coraggiosa, Éder in campo e Perisic in panchina, nonostante l’italo-brasiliano fosse uscito stremato dalla partita di Bergamo.

Segnali incoraggianti: sul cross respinto dal Torino, l’Inter occupa benissimo il centro e guadagna subito un altro possesso offensivo, oltre che una grande occasione da gol.

Anche nella gestione dei cambi, de Boer non ha preferisco semplificarsi la vita: ne ha effettuato solo uno, a un quarto d’ora dalla fine, per sostituire Éder come sempre generosissimo e come sempre in riserva. In quel momento poteva scegliere tra Perisic, il giocatore più quotato tra quelli che sedevano in panchina, e Gabigol, il giocatore più atteso dal pubblico. Ha scelto Palacio, una decisione che non ha dato una svolta netta alla partita ma ha confermato quanto de Boer si senta al comando della squadra, libero di prendersi delle responsabilità anche quando queste non incontrano il favore popolare.

Ma nonostante i cambi l’Inter non cambia nei principi: i terzini sono sempre molto alti, le ali sempre molto coinvolte, il centrocampo non ferma la palla. È cambiata, però, l’applicazione degli stessi principi, sono cambiate le distanze tra i giocatori, il ritmo delle giocate. Sono stati anche i movimenti senza palla a rendere possibile tutto questo, soprattutto quelli di João Mário, che ha la sicurezza per avanzare senza palla e divincolarsi dalla marcatura di Belotti generando due effetti positivi: un uomo in più per la gestione del possesso, un dubbio in più per le marcature avversarie.

La connessione tra João Mário e Nagatomo è interessante. Finalmente l’Inter riesce a tornare al centro dopo aver spostato la palla sugli esterni.

Da parte sua, Mihajlovic ha invece inserito corsa e dinamismo nel suo 4-3-3, sacrificando la qualità di Baselli e Benassi per l’aggressività di Obi e Acquah. Una scelta che sarebbe potuta essere condivisibile: Acquah ha seguito Banega ovunque limitandone il raggio di azione, mentre Obi si è orientato direttamente sui centrali difensivi dell’Inter, in supporto a Belotti che invece pedinava João Mário. Una scelta difensiva, che infatti ha tagliato ogni riferimento centrale all’Inter.

Ma a conti fatti questa mossa non ha funzionato perfettamente (per Obi uno score desolante di 0 palloni recuperati) e ha separato il Torino in due tronconi: i difensori centrali riuscivano agilmente a condurre la palla fino al centrocampo, perché Moretti e Rossettini hanno quella qualità e perché l’Inter glielo concedeva, ma a quel punto non avevano più riferimenti centrali e dovevano provare il lancio lungo, consegnando spesso la palla alla difesa nerazzurra.

Il triangolo difensivo funziona bene, da lì in poi manca qualcosa, e la prestazione opaca di Iago Falque e Ljajic non ha aiutato.

Cambia Miranda

Lo stile di gioco di Miranda, molto conservativo, poco propenso all’aggressione e alla verticalità, emergeva tra i principali punti critici nel sistema di de Boer. Contro il Torino, il centrale brasiliano ha interpretato uno spartito completamente diverso, richiamando la linea in pressione alta, allontanando Belotti dall’area di rigore, prendendosi anche la libertà di cercare gli uomini tra le linee (notevole il collegamento con Candreva, nella mappa di passaggio qui sopra).

Questa modifica consistente nell’approccio alla gara non gli ha però impedito di essere la solita garanzia nei contrasti e negli anticipi in area di rigore, il suo habitat naturale.

Miranda commette fallo, ma è quello che serve all’Inter per non perdere le distanze.

Il gol subito dall’Inter è stato decisamente fortunoso, oltre che un saggio di forza, intuito e controllo in corsa del “Gallo” Belotti. Sugli sviluppi di un lancio lungo di Hart, Ansaldi inciampa tra le gambe di Murillo e spiana la strada al numero 9 granata (e Miranda stava recuperando anche qui). Per il resto, il Torino ha provato soltanto 4 conclusioni, contro le 17 dell’Inter, di cui soltanto 2 nello specchio difeso da Handanovic, contro le 7 dell’Inter.

Ottime risposte da una fase difensiva accusata spesso di spregiudicatezza, a conferma che all’Inter non mancasse l’equilibrio, più banalmente mancava l’attenzione. E inoltre, il blocco basso difensivo finalmente compatto ha permesso di creare le condizioni per far valere la superiorità tecnica a centrocampo e in attacco: l’Inter ha portato al tiro tutti i suoi uomini offensivi, da João Mário a Icardi, spesso risalendo il campo rapidamente e provando a riaggredire le respinte della difesa, come anche in occasione del gol del vantaggio.

Mihajlovic cambia

Con l’Inter in vantaggio, a causa di un’uscita bassa discretamente goffa di Joe Hart, capace di tutto e del suo contrario, Mihajlovic ha stravolto l’assetto del Torino. Al calcio di inizio del secondo tempo, si è presentato con Iago Falque in panchina e Maxi López in campo.

È stata una bella iniezione di fiducia per Maxi, che dovrebbe aver perso i sette chili di «lavatrice» che portava sulla schiena, e ultimamente contro l’Inter trova sempre le motivazioni giuste (è stato protagonista delle due recenti vittorie granata al Meazza).

Maxi prende posizione tra i due centrali, nasconde la palla, crea spazi per Belotti. Si può apprezzare anche l’ottima tecnica di base di Barreca, il giovane terzino sinistro.

Maxi López ha agito al fianco di Belotti in quello che andava disegnandosi come un 4-3-1-2, con Ljajic alle loro spalle liberissimo di spaziare da destra a sinistra. Questo cambio ha fatto perdere riferimenti all’Inter, creando incertezze ai due centrali di difesa sui tempi di uscita, come nell’occasione del gol di Belotti. Il Torino non è riuscito comunque a creare molte occasioni, come nel primo tempo, ma è riuscito a organizzarsi nella metà campo avversaria in maniera meno prevedibile.

Il dilemma del “cosa fare con la palla una volta arrivati a centrocampo” è stato progressivamente superato, e Mihajlovic deve aver pensato di risolverlo definitivamente con l’inserimento di Baselli e Benassi: l’indebolimento della mediana, però, ha prestato il fianco alle ripartenze dell’Inter che questa volta ha avuto la qualità a centrocampo per risalire il campo rapidamente. Il Toro ha provato a fare la partita fino alla fine, ma non ha avuto la necessaria brillantezza, né la necessaria compattezza. In compenso si è confermato quel tipo di squadra con la sufficiente varietà offensiva per strappare punti anche nelle giornate peggiori.

Dal bivio in poi

Per la classifica dell’Inter non cambia molto, ma per l’Inter cambia tutto. I tre punti erano indispensabili per non compromettere definitivamente la stagione, esattamente come lo erano giovedì scorso contro il Southampton. Ma in Europa League l’Inter è stata una squadra reattiva, neanche troppo ordinata, pericolosamente simile alle sue versioni più recenti, così come lo è stato il risultato finale, il consueto 1-0. Ieri è apparsa finalmente veloce, a tratti furente, in grado di compattarsi con dieci uomini dietro la palla e poi risalire il campo con ordine, sfruttandolo in ampiezza e in lunghezza con tutti gli effettivi.

Anche se questa foga agonistica si è spesso tradotta in scelte sbagliate, o semplicemente imprecise, adesso l’Inter sa di avere dei punti fermi, o quasi (certo va ritestato, ma il centrocampo con João Mário, Brozovic e Banega sembra il più promettente tra quelli visti fin qui), e soprattutto margini di miglioramento. In attesa di scoprire se è ancora possibile raggiungere picchi più bassi oppure picchi più alti, questa settimana di montagne russe ha lasciato in eredità una squadra abbastanza convincente da cui ripartire.

Bonus: scivolate di Emiliano Moretti

Vanno spese due parole sulla partita di Emiliano Moretti, che ci ricorda che la tecnica difensiva, esattamente come quella offensiva, non ha età, e che a 35 anni si può ancora essere un modernissimo interprete del ruolo in uno dei campionati più competitivi al mondo.

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